Roger Federer la favola infinita di un campione che sa piangere (Clerici, Piccardi, Semeraro, Lombardo, Azzolini)

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Roger Federer la favola infinita di un campione che sa piangere (Clerici, Piccardi, Semeraro, Lombardo, Azzolini)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Una storica impresa di cui Cilic è complice

 

Gianni Clerici, la repubblica del 29.01.2018

 

Penso che tutti, anche i più accaniti tifosi di calcio, sappiano che Roger Federer ha vinto il ventesimo Slam della sua attività di tennista. Mentre raggiungeva tale risultato mi trovavo a Lugano, dove ascoltavo i commenti dei bravissimi Claudio Mezzadri e Stefano Ferrando alla locale tv. Mi sono allora chiesto se qualcuno avesse esposto la bandiera rossocrociata ma, tornando verso il centro-città, la densissima nebbia mi ha forse impedito di vedere se qualche ticinese avesse ecceduto in patriottismo, sebbene Roger l’avrebbe meritato. Fermandomi poi per un caffè, un avventore che mi aveva riconosciuto mi ha chiesto “Ma lei, Clerici, non potrebbe chiedere che la balestra della statua di Guglielmo Tell ad Altdorf venisse sostituita con la racchetta di Roger?”. “E il nome di Guglielmo con Roger” ho ribattuto, con allegria. Chiedo perdono per simile inizio superficiale di una vicenda che rischia di diventare storica, e che ha spinto alle lacrime lo stesso Federer, non impedendogli, al contempo di sorridere. Piangeva tutta la famiglia Federer, eccettuati i bambini, che l’orario notturno doveva aver conciliato al sonno. Avrei dovuto piangere anch’io, per il mio coté svizzero, invece ero solo lieto per l’impresa di Roger, impresa della quale credo sia stato complice involontario il suo pur bravo avversario Marin Cilic. Infatti, arrivati al punto che, dopo quasi tre ore di gioco accanito, di inesausta ricerca della palla vincente, un violento diritto offre a Cilic il quarto set, Roger appare a tutti i milioni di telespettatori troppo provato per concedersi un altro giro del campo. Torna dal bagno, va subito 0-30 nel quinto set e io mi ritrovo a scuotere la testa, a dire ai miei vicini: “Se non ce l’ha fatta a 2 set a 1 e 3-1 al quarto, non ci sono più speranze”. Mi sbaglio in pieno. Sarà l’emozione di vedere Federer così provato, sarà la cecità sua o del suo team, ecco Marin cadere in quattro gravissimi errori, due diritti seguiti da due rovesci, che ridanno speranze al Federer stanco morto. Stanco morto sì, ma indomito, capace di raggiungere il 2-0, poi addirittura il 3-0, di fronte a un avversario di ben sette anni più giovane che, invece di togliergli le ultime forze, non fa che avventarsi, anche su palle più sfuggenti, cercando di chiudere gli scambi di fretta, con un colpo vincente. Un game perduto da Roger alla ricerca d’ossigeno e poi, dal 3 a 1, ecco il tennista vincente 12 punti a 1 per la foto ricordo. Segue la consegna della Coppa, da parte del mio amico Ashley Cooper, anche lui capace, oltre che di deridere sul campo il povero scriba, di 4 vittorie negli Slam. Poi il discorsetto del rappresentante della Ma, lo sponsor che afferma: «Il mondo non possiede più superlativi, per Federer»

 

«Ho smesso di contare gli Slam da un po’… La mia favola continua»

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 29.01.2018

 

Venti, Roger. «E un momento speciale: la favola continua». Come Charles Lindbergh alla fine della prima traversata in solitario senza scalo dell’Atlantico, Roger Federer pianta la sua pietra miliare al centro del tennis — 20 titoli Major in quindici anni, 6 Australian Open al pari di Emerson e Djokovic — con la disinvoltura di chi l’impresa l’ha realizzata, ed è troppo emotivamente coinvolto per apprezzarne l’enormità. Il croato Marin Cilic, da oggi nuovo numero 3 del mondo, è antagonista dignitoso ma accecato dalla luce del Migliore, che ha il potere di far sentire in soggezione chiunque si presenti al suo cospetto tranne Rafa Nadal, il niño che viaggia con l’antidoto nella tasca dei pantaloni: non a caso ricordiamo la finale di Melbourne 2017 con l’intensità di un’eclissi solare, un meteorite che sfiora la terra, un armageddon, altro che il brodino tiepido di ieri. Cinque set durati tre ore e mezza non traggano in inganno. L’incertezza è durata un game, il primo del quinto set, quando Federer è risalito di mestiere e polso dal burrone del quarto regalato (36% di prime palle, solo 6 vincenti), fiaccato dal caldo (si è giocato col tetto chiuso) e da un po’ di fisiologica fatica, mentre Cilic — che non difetta di muscolo però ha grossi buchi di personalità — forse con uno scrupolo di inconscio e istintivo rispetto non dava il colpo di grazia al maestro ferito. Lì, sul 6-2 6-7 (primo set ceduto dallo svizzero nel torneo) 6-3 3-6, Federer ha offerto una palla break simile a un ascensore per l’inferno: l’ha annullata con il servizio tornato incisivo, poi ha tenuto il game con un rovescio incrociato strettissimo, una di quelle diagonali con cui aveva sbrecciato il muro di Nadal l’anno scorso. Mirka, tesa come al match di debutto del marito (che l’ha omaggiata: «Senza mia moglie non sarei nessuno»), ha respirato e, con lei, tre quarti di orbe terracqueo (mai incontrato in tanti anni qualcuno che abbia l’improntitudine di tifargli contro). Il match, già finito dall’inzio, è imploso su se stesso con nessuna possibilità di tornare in equilibrio, vuoto di sugo e di pathos, perché — diciamocelo — il ventesimo di Federer era una storia già scritta in un tabellone oggettivamente in discesa cui né il perdente Berdych né l’arrembante Chung né il depotenziato Cilic hanno saputo cambiare trama. Una banalità, insomma, a cui non ci abitueremo mai. Poi, annessosi il terzo Major in dodici mesi con un servizio vincente di seconda palla che l’occhio di falco non ha osato contraddire, mentre l’ovazione risvegliava l’antico Rod Laver dalla pennichella post prandiale, Roger si è dato più di quanto non avesse fatto fin lì. Ha ringraziato tutti, ha posato per un milione di selfie, ha pianto lacrime vere, scosso da singhiozzi da attempato bambino di 36 anni e 137 giorni, secondo re più anziano dell’era open dopo Rosewall (Australian Open ’72 a 37 anni): «Faccio fatica a crederci io stesso…» ha ammesso. Prigionieri come siamo della strepitosa retorica della rivalità con Nadal, che al torneo è mancato più dell’ossigeno a costo di assistere all’ennesima replica di un déjà vu, incapaci di dire se l’epilogo sarebbe stato diverso con  Murray, Djokovic e Wawrinka a pieno servizio, di fronte al n. 20 rimaniamo sospesi tra l’umana voglia di ricambio (Zverev, Rublev, Shapovalov hanno deluso) e la sindrome di Stoccolma per il più grande, che probabilmente salterà di nuovo Parigi per puntare a Wimbledon, e a chissà cos’altro. «Se sono sano, cose buone possono ancora capitarmi». Ci tieni in pugno, benedetto/maledetto Federer.

 

Divino Federer ventesimo Slam

 

Stefano Semeraro, la stampa del 29.01.2018

 

Alla fine è stato Marin Cilic, lo sconfitto, a sorridere, quasi a consolare il vincente, Roger Federer, scoppiato a piangere come gli capita spesso, specie in Australia, mentre tutta la Rod Laver Arena – compreso Rod Laver in persona impegnato a immortalare la scena con il cellulare – lo applaudiva spandendo decibel quasi erotici sotto il tetto chiuso del centrale. I due Più Grandi che si osservavano, attraverso la lente della fotocamera e quella delle lacrime. Così questo ventesimo Slam vinto dal Genio al suo ventesimo anno di carriera e allo scoccare del 200 Slam dell’era Open (1968), si è trasformato in un’enorme specchio nel quale la storia del tennis si è ammirata Si e riconosciuta, e compiaciuta «Ho provato anche a trattenermi», ha spiegato Federer, «ma in fondo non credo che ci fosse una persona in tutto lo stadio che non volesse vedermi piangete. E queste lacrime sono per loro, quelli per cui continuo ad allenarmi e a sentirmi teso quando gioco». Per il pubblico di Melbourne, che l’aveva appena visto battere Marin Cilic in cinque set, una partita a tratti bella, anche se non indimenticabile come quella vinta un anno esatto fa contro Rafa Nadal, e per i milioni che stavano davanti al televisore. MOTIVI E NUMERI. Il sesto Australian Open di Federer, che pareggia il record di Roy Emerson e Novak Djokovic, il 96 titolo in carriera, con il traguardo dei 109 di Jimmy Connors che ormai entra nell’inquadratura. La rivincita dell’ultima finale di Wimbledon, che Roger avrebbe potuto chiudere in quattro set, dopo l’avvio shock contro un Cilic impastato, il tie-break perso e il terzo set che il croato gli ha offerto gentilmente, cedendo un servizio sciagurato nel sesto gioco. Ma che il Genio si è complicato da solo nel quarto, ed poi stato poi bravo a ricucire nei primi tre game del quinto, tutti andati ai vantaggi. Tre ore e tre minuti, un’eternità anche per un’immortale come lui. «II quarto set l’ho perso per i nervi», ha confessato. «Prima dei quarti con Berdych ero convinto di perdere, dopo la semifinale con Chung non sono riuscito ad addormentarmi fino alle 3 di notte. Giocare una finale di sera è complicato: a Wimbledon ti alzi e vai in campo, qui devi aspettare fino alle 6, tutta una giornata, e io da trentasei ore ormai non facevo che pensare a quanto sarebbe stato straordinario vincere il ventesimo Slam, e a quanto invece sarebbe stato orribile perderlo. Mi stavo consumando. Insomma, sono contento che sia finita». Federer ha mostrato le solite magie, un rovescio incrociato da delirio, un diritto in controbalzo quasi immorale, ma la partita l’ha vinta soprattutto con il servizio, l’arma che più di tutte gli consente di incassare punti facili e accorciare i tempi. A 36 anni e 173 giorni è il terzo dopo Laver e Rosewall a mettersi in tasca quattro Slam dopo i 30 anni, runico insieme a Rosewall a vincerne tre dopo i 35. Solo tre miti del tennis, tre donne, hanno più major di lui, ora: Margaret Court (24), Serena Williams (23) e Steffi Graf (22). Le prossime tappe? «Ho vinto tre Slam in dodici mesi, non riesco a crederci nemmeno io», ha spiegato. «Ora devo solo continuare a programmarmi bene, senza giocare tutti i tornei, restare affamato di vittorie, e forse capiteranno altre cose belle. Non credo che l’età sia un problema, è solo un numero. Poi mi aiuta molto avere un team magnifico, i miei genitori che sono così orgogliosi di quello che faccio, e mia moglie Mirka che si occupa dei bambini: senza di lei avrei già smesso da tempo». Difficilmente vedremo papà Federer al Roland Garros, e il numero 1, con tanti punti da difendere fino a Miami, resta un traguardo difficile. Ma l’incanto resta, questa è la notizia. Il viaggio continua. E come assicura Roger; «ci aspettano tempi interessanti».

 

Federer, il supereroe delle cose normali ha reso divino il tennis

 

Marco Lombardo, il giornale del 29.01.2018

 

E adesso che ha fatto venti magari c’è chi spiegherà comunque che Roger Federer non ci mancherà il giorno che avrà deciso di mettere fine alla magia. Poi ci diranno anche che il tennis va avanti, che lo sport vale più dei suoi campioni, pur grandi che siano stati. Eppure non troveranno più un aggettivo per definirlo, Roger; un superlativo per ricordare il momento in cui ha alzato la sua ventesima coppa di un torneo assoluto, ovvero l’attimo in cui tutto sarebbe già dovuto essere finito da tempo, almeno secondo pronostico. E invece: «Da Perth, dodici mesi fa, ad oggi, è stato un lungo viaggio. E questa è la fine di una favola». Il titolo è Da 17 a 20 Slam in soli dodici mesi. Ma non è, per fortuna, ancora la fine di una Grande Storia. La sua storia. La nostra storia. Piangevano tutti ieri – anzi, diciamolo, piangevamo – quando a Melbourne Roger non è riuscito a finire il suo discorso da vincitore: i singhiozzi si erano fatti più forti, e il merito di Marin Cilic è stato quello di aver reso la finale del ventesimo trionfo, il sesto agli Australian Open, una delle più difficili di sempre. Almeno emotivamente, perché Federer l’ha vinta tre volte e l’ha persa almeno due. Perché ad un certo punto il peso degli anni – di quegli anni che tutti tempo fa gli facevano notare con perfidia – sembrava riaffacciarsi: da 3-1 al quarto a 3-6, col vento alle spalle di Cilic. E invece Roger si è ribellato, ha sfidato la diffidenza di chi non conosce grandezza, ha vinto in cinque set (6-2, 6-7, 6-3, 3-6, 6-1) regalandosi l’ultimo come una passeggiata. E quando l’«occhio di falco» ha certificato il punto finale sono state lacrime, appunto, le stesse che bagnarono l’inizio di questo meraviglioso romanzo, ancora incompiuto, 15 anni fa a Wimbledon, quando sembrava impossibile che uno svizzero potesse diventare campione dell’erba più bella del tennis. Ma non era uno svizzero qualunque: era un cittadino del mondo. E il Supereroe di tutti. Un Supereroe che fa della normalità la sua pozione magica. Capace perfino un paio d’anni fa, di rompersi un menisco mentre faceva il bagnetto ai gemelli. Una moglie, quattro figli in coppia di due, neanche fosse un’equazione perfetta, due genitori che lo seguono in giro per il mondo quando c’è da vincere o anche quando c’è da consolarlo. Nulla è più umano di questo, ed è lo stesso Roger che lo ricorda: «E Mirka, mia moglie, che rende tutto possibile: senza il suo sostegno, avrei smesso già da molti anni. E invece quando le ho chiesto se fosse felice di questa vita, lei mi ha risposto che era mia prima supporter. E che dovevo andare avanti». Anche adesso, a 37 anni e con la pancia non ancora piena di gloria, «anche se io più di due settimane senza i miei figli non so più stare. Ma è mia moglie che si sobbarca un carico di lavoro enorme con i bambini: il suo no avrebbe fermato tutto. A lei e ai miei genitori, che sono così felici di venire ai tornei per vedermi, devo quello che sono». Roger Federer insomma è l’antitesi di tutto quanto fa spettacolo in questo mondo ormai ridotto ad una chiassosa vetrina: non è un ribelle, non ha tatuaggi, non dice (quasi mai) parolacce. Vive di passione e di talento, vive per lo sport e per la famiglia, facendo un mix di tutte queste cose come fosse una sola. Non è un famoso su un’isola ma un’isola tra i famosi. Roger è insomma un Supereroe che non ha bisogno di un fumetto per esistere: gli basta invece essere semplicemente un uomo. Qualcuno ha detto: non esiste altro dio del tennis al di fuori di lui. Più semplicemente forse non esiste altro essere umano che abbia trasformato il tennis in un questione così divina. E, probabilmente, non esistiterà mai più.

 

Venti Slam da sogno

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 29.01.2018

 

Venti Slam. Valgono più di un record. Valgono come il 9″58 di Bolt nel 100 di Berlina come i due voli oltre la fettuccia degli otto metri e novanta nel lungo, prima di Beamon a Città del Messico, poi di Powell a Tokyo ventitre anni dopo. Venti Slam sono come una scalata, la vetta del Kilimangiaro raggiunta da lilion Jomet in cinque ore e 23 minuti. Sono le dodici Champions League del Real Madrid, sono i 46″ e 91 nei 100 stile libero di Cesar Cielo Filho. È uno di quei record che l’uomo ha ritenuto impossibili, irraggiungibili, semplicemente disumani. Un record che non ha quasi senso. Non ci sono gli anni sufficienti, in una carriera, per raggiungere un record come questa Non si diceva così? Anche l’anno scorso, quando Roger ha firmatola diciottesima conquista proprio qui, a Melbourne, e dopa quando è arrivata la diciannovesima a Wimbledon, in luglio l’impresa di metterne insieme venti sembrava ancora lontana, inaccessibile. Ma Federer sta cambiando i termini della Storia, le regole, ha quasi trentasette anni, gioca ancora, a volte sembra giochi meglio di prima. Lui si, poteva riuscirvi. E lui, alla fine, vi è riuscita Al primo colpo, e soffrendo. Una nobilissima sofferenza che il pubblico ha cercato di lenire facendola propria, partecipando. Il sesto Open d’Australia è giunto da un’emozione di gruppo. Anche per questo il ventesimo Slam dell’Era Federer vale, da solo, tutto il tennis. Le lacrime e la vittoria, un connubio che scuote anche gli animi più duri. Il momento più intimo che si sposa ai gesti del trionfa e li ammorbidisce, li rende più comprensibili. Federer piange, ed 61a terza volta qui a Melbourne. Sono lacrime che tutti aspettavano e pazienza se finiscono per provocarne altrettante, in un curioso effetto domino. Se il Più Grande si commuove, figurarsi noi poveri mortali. Si ritrovò abbracciato a Nadal quando perse il torneo dei 2009. Erano lacrime di sconforto, e di rabbia, per una vittoria sfuggita di un niente. Pianse poi sulla spalla di Rod Laver, nel 2010, quando tornò a conquistare il titolo. Fu la vicinanza di quel grande a farlo straripare. Piange anche oggi, Roger, e c’è poco da fare, o da dire… È comunque un suo segno distintivo. Ma sono lacrime di pura gioia, stavolta. L’impresa è grande, la più grande che si possa immaginare. Venti Slam riscrivono di fatto la Storia del nostro sport, perché segnano una distanza forse incolmabile con lo stesso Laver, il vincitore di due Grand Slam e l’unico che possa competere con Federer. Laver chiuse la sua carriera a undici titoli, ma quante volte si è detta e scritta che se avesse potuto giocare gli Slam negli anni che visse da professionista, ne avrebbe vinti molti di più. Quanti di più? Nove di più? Federer si è spinto cosa in alto che anche Laver forse non avrebbe potuto gareggiare con lui. Un match difficile. E una bella finale. Cilic ha avuto momenti da grande campione, il recupero nel quarto set (sul 3-2), quando si è trovato sotto di un break e a un passo dalla sconfitta, lo ha condono a suon di colpi vincenti. Sembrava il Del Potro dei momenti più belli. Ogni dritto, ogni servizio, un punta E Federer lì a remare contro corrente, convinto che il momento propizio fosse passata Nel quinto set, Cilic ha avuto ancora una chance, sul primo game. Anzi, quattro chance, sotto forma di break point Poteva essere lui a staccarsi, a prendere il largo, e chissà come avrebbe reagito Federer, con quali forze… Ma i campioni sono fatti di lega speciale, coniati in qualche Zecca lassù, sull’Olimpo degli sportivi. Il quinto set si è giocato su pochi colpi, in un animo Federer è giunto a servire per il match, e ha chiuso a zero. No anzi… Ha chiuso ed esultato, ma sull’ultimo punto Cilic ha chiesto íl controllo dell’Occhio di Falco Effetto Var sul ventesimo Slam di Roger… Già inginocchio, le braccia in alto, Federer si è rialzato urlando che non era possibile. No infatti. Palla dentro di poco, verdetto confermata Roger ha potuto riprendere i festeggiamenti lì dove li aveva lasciati. Inginocchiandosi da capo. Venti Slam non bastano a ridare a Federer il numero uno. Nadal sarà ancora avanti per centocinquanta punti. Sono quelli accumulati con le vittorie sulla terra rossa. Ma forse non era la leadership l’obiettivo di Federer. Le sue 302 settimane in vetta sono già un record. C’era altro… La trentesima finale Slam da onorare. La sesta vittoria a Melbourne da conquistare. E quel ventesimo titolo, che porta il tennis dove nessuno pensava potesse giungere.

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