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20/11/2010 18:41 CEST - LA PROVOCAZIONE

Il Piccolo Federer e il Grande Bolelli

TENNIS - Un paio d'anni fa, nel suo momento di massimo splendore, Simone Bolelli era stato paragonato a Roger Federer. Ma la carriera dello svizzero, immensa e luminosa ma senza vittore in match veramente epici, giustifica un pensiero: non è che dobbiamo ribaltare il concetto e considere lo svizzero come un grande, immenso, Bolelli? Pier Paolo Zampieri      

Ubaldo risponde a varie critiche nei commenti, difendendo l'articolo pubblicato

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Nella vita il tempo passa. Nel tennis corre. Solo poco più di un anno fa dicevamo che Bolelli era un piccolo Federer. Quei gesti eleganti, quel rovescio a una mano, quel suono pulito della pallina in uscita dalla racchetta, quelle improvvise frustate liquide di dritto (cit.) e addirittura un certo distacco somatico dallo sforzo della partita. Come non azzardare il parallelismo? Bolelli era giovane, era entrato nei primi quaranta, magari non sarebbe diventato un campionissimo, però uno che da solo valeva il prezzo del biglietto si. Figuriamoci poi in mezzo a tanta omologazione bimane servizio-dritto-e-buonanotte e reduci dal ventennio nero del tennis italiano. In molti lo abbiamo visto palleggiare pigro a Roma, toc toc e poi BUM. All’improvviso. L’avversario di sale e lui indifferente come fosse la cosa più normale del mondo. In molti ci siamo guardati e abbiamo sorriso complici come solo i vecchi sanno fare. Magari non a Parigi ci dicevamo, magari non a Londra ci dicevamo, ma a Roma sì. Almeno una volta farà splendere la primavera romana e ci farà sentire di nuovo giovani col ventennio nero, che poi è già un trentennio, che diventerà solo un ricordo. Si, magari non un Grande Campione ma un Piccolo Federer sì. Perché nella vita il tempo passa, nel tennis corre e lui non lo fa. Questo ci dicevamo solo poco più di un anno fa.

Intanto però guardavamo lassù. A Parigi, a Londra a New York. E vedevamo le grandi frustate liquide originali, vedevamo quelle terribili rasoiate ad una mano lanciate con imbarazzante naturalezza, insomma vedevamo lo svizzero leggero come una nuvola fare Bum e vedevamo avversari sudati come marines che gli stringevano la mano quasi grati per la lezione impartita mentre lui alzava le coppe al cielo regale e tranquillo come in uno spot delle lamette. È il più forte di sempre. Questo ci dicevamo. Ma il tempo vola e anche se corri, nel tennis non basta. Piano piano abbiamo visto dell’altro. Prima solo a Parigi, poi a Roma, poi a Londra, poi anche a New York. Sempre più spesso abbiamo assistito allo straordinario paradosso del giocatore più grande di tutti che non ha mai davvero vinto una Grande Partita se non forse la prima. Quella con Sampras. Mai. Non si parla di partite importanti, lì può vantare un rosario chilometrico, nessuno come lui, si parla proprio delle Grandi Partite, di quei momenti irripetibili gravidi di silenzio e immanenza che rendono il tennis non solo lo sport dei Re, ma anche il Re degli sport (cit). Quei momenti in cui, diceva Jimbo, non c’è più il pubblico, non ci sono più i soldi, non c’è più la classifica, là fuori ci siamo solo io e tu. Tu e io. Insomma abbiamo visto che ogni volta qualcuno ha avuto l’ardire di salire, anche solo per un giorno, al suo livello, lui invece di decollare, da “là fuori” esce. All’inizio abbiamo pensato fosse solo una di quelle giornate benedette del russo, quello matto, poi abbiamo pensato che fosse colpa della terra, poi di uno strano patto tra quello spagnolo terribile e il Signor Freud, poi era la caviglia, non certo quell’argentino dal nome impronunciabile e dalla pancia inguardabile, poi dopo Melbourne ci siamo guardati e abbiamo detto è morto, il suo tempo è passato, “è la vita”, ma non appena il terribile spagnolo si è rotto, e con lui si è dissolto il Signor Freud, Lui è tornato con un ruggito, come non se ne fosse mai andato, è di nuovo Re ci siamo detti, ma ormai lo sapevamo, sempre senza Grandi Partite. Quelle col buon Tommy e col marine biondo nel loro prato preferito non valgono. Troppa la differenza col Re. Loro “là fuori” non possono nemmeno pensare di “entrare”. Ma non appena lo spagnolo è tornato a ruggire anche i bimani deluxe che davvero nulla possono contro la sua rasoiata ad una mano hanno cominciato a batterlo. A Parigi. A Londra. L’ultimo a New York, ovviamente in una Grande Partita. L’ultima persa in ordine di tempo.

Insomma, paradosso per paradosso forse non avevamo così sbagliato a dire che Bolelli era un Piccolo Federer, anche se sarebbe più corretto dire, anche se sembra una bestemmia, che è Federer, ad essere un grande, immenso, Bolelli. A due livelli sideralmente diversi entrambi non riescono a coniugare nel gioco i rispettivi potenziali e i nostri desideri. Uno a Roma, l’altro “là fuori”, l’unico posto dove non ha, ancora trionfato.
C’è ancora tempo.

Bibliografia

- Clerici G., 500 anni di Tennis, Mondadori, 2004, (1974)
- Freud S. Psicopatologia della vita quotidiana, Newton Compton, 1976, (1901)
- Drucker J., Jimmy Connors mi ha salvato la vita, Effepi Libri, 2006, (2004)
- Wallace D. F., Roger Federer un’esperienza religiosa, Casagrande, 2010

Pier Paolo Zampieri

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker