04/08/2012 08:59 CEST - Rassegna Nazionale

Maratoneta Federer, domani Murray (Martucci, Marcotti, Azzolini, Maltese, Ferrero, Scanzi); Federer cuore e anima, spirito da gigante (Bergonzi, Tommasi, De Bellis); E oggi finale Serena- Sharapova (Martucci); Tennis a colori e senza verde (Azzolini)

04-08-2012

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a cura di Davide Uccella

King Roger, maratoneta Federer, c'è ancora Murray (Vicenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 04-08-2012)


Segnatevi questi numeri: 4 ore 26 minuti, e 19-17. Sono tempo del match e punteggio del terzo, decisivo, set di una partita drammatica, bellissima ma anche atroce, che è già nella storia del tennis assoluto come lunghezza sulla distanza breve. Sono il responso della prima, incredibile, semifinale di singolare maschile ai Giochi, i secondi che vengono ospitati a Wimbledon, i primi a Church Road. E consegnano l'ennesima coccarda al più grande tennista di sempre, Roger Federer, il padrone del campo e dell'erba più famosa dello sport. Perché, a 5 giorni dai 31 anni, al Magnifico non basta il record di 7 successi a Wimbledon classico (da dividere nell'era open con Pete Sampras), non basta il primato assoluto di 17 trionfi Slam, non basta essere tornato numero 1 firmando il nuovo record di settimane in vetta (289). Vuole anche, assolutissimamente, l'oro olimpico in singolare, da abbinare a quello di doppio. Sempre che domani Andy Murray, approdato in finale sconfiggendo Novak Djokovic, sia d'accordo nel perdere anche la finale replay di Wimbledon.


Vittime Sul campo più famoso dello sport, Federer ha chiuso la carriera di Sampras, ha stroncato Philippoussis e Roddick, e ha fatto piangere Murray. E, sulla ribalta olimpica, che prepara da almeno due anni e che l'esalta, sotto gli occhi del mondo, sacrifica anche il povero Juan Martin Del Potro. Colpevole di avergli soffiato gli Us Open 2009 e avergli resistito tanto, stavolta, con potenza e tenacia. E quindi condannato ad uscire dal giardino del re affranto, abbracciando Roger, a rete, per rientrare poi sotto coperta a capo chino, e la disperata necessità di ritrovarsi per il misto con Gisela Dulko (perso anche quello, coi campioni di Wimbledon, Raymond-Mike Bryan). «"Era giù, era triste, so quanto contasse per lui, spero non sia troppo deluso, ci sono passato anch'io. Gli ho detto che dev'essere orgoglioso di aver giocato un match cosa bene - dall'inizio alla fine non gliel'avevo mai visto fare - e di aver fatto parte di qualcosa di speciale". Per lui non è finita, spero reagisca a giochi una gran finale per il bronzo», commenta il re dei re sorpreso per i pianti dei bimbi («Sembrava d'essere a casa, ma non c'è un limite d'età, 10-15 anni, sul Centre Court?») e per l'assenza di cravatte nel Royal Box olimpico.

 
Spettacolo Quando le battaglie tennistiche sono così numericamente importanti, si parla di violenti, scorbutici, bracci di ferro, tipo Djokovic-Nadal, folle mulinar di braccia e muscoli fino allo sfinimento totale dei gladiatori del tennis moderno. Infatti il precedente record temporale (dal '68) sui 3 set era di Ra-fa che aveva domato Nole in 4 ore 3 minuti della semifinale di Madrid 2009. Ma questa semifinale è stata anche bella, piena di colpi spettacolari, di incertezza, e di nervi. Assolutamente indecifrabile, dopo il primo set vinto da Delpo e il secondo da RogerExpress dopo mille e un tentativo di tutt'e due di rubare il tempo all'altro, rischiando ed aumentando quindi il margine d'errore. Sotto gli occhi di 14mila spettatori, più passionali e stupiti che mai, perché filtrati da canali non tennistici. E increduli di un terzo set di 163 minuti. Con l'argentino che batte per primo ed è quindi sempre avanti nel punteggio, e lo svizzero che, quando finalmente va avanti di un break 10-9 e serve per il match, perde la battuta a zero («ero troppo nervoso »). Con l'argentino che resiste a 3 palle-break sul 14-14, epperò, allo stremo delle forze, non può evitare il 17-18, può cancellare il primo match-point sparando il passante nella pancia di Roger, ma deve inchinarsi al secondo, di rovescio.


Magia Roger nega che il Centre Court gli dia un extra: «Anzi, è velocissimo e con Delpo che serve a 200 all'ora è difficile controllare la palla sul primo e sul secondo colpo. E' stata più importante l'esperienza di aver giocato già per qualcosa di davvero, davvero grande». Roger non è un superuomo, perciò la gente lo ama, a Wimbledon (che lo chiama a gran voce, incluso Kobe Bryant), come ovunque: «Che emozione, alla fine ero completamente scarico, dopo aver servito sempre sotto nel punteggio, sapendo che appena perdevo il game perdevo la partita. Ma più si andava avanti, più mi esaltavo e vivevo sensazioni da finale di Slam». Roger è sincero: «Sono passato attraverso tante emozioni, mi sono visto più volte sconfitto, ma anche con le medaglie. E questa è stata una grande spinta. Perciò ora non potrei essere più felice e soddisfatto per me e per la Svizzera: abbiamo vinto la prima medaglia, spero che ispirino gli altri atleti del mio paese». Segnatevi i suoi numeri. Ne farà altri.


Federer una roccia, in finale col record (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport, 04-08-2012)


Una partita infinita, pieno di colpi di scena, ribaltamenti di fronte, con break per l'uno e l'altro. Ma alla fine - dopo un'interminabile partita di 4h26', nuovo record olimpico dopo le 3h56' di Tsonga-Raonic e in assoluto sui tre set dopo le 4h'02' di NadalDjokovic a Madrid 2009 - è la solidità, ancor più mentale che fisica, di Roger Federer a regalargli la prima finale olimpica della sua incredibile carriera, battendo Juan Martin Del Potro per 3-6 7-6 19-17.
Dopo l'oro in doppio a Pechino, re Roger, tornato dopo Wimbledon al primo posto del ranking mondiale, corre anche per l'oro. A dispetto dell'anagrafe. Perché il suo talento sembra intonso nonostante gli anni, i match, le rincorse a rete. La finale di domani sarà una replica di quella del recente Wimbledon: per la gioia del popolo britannico, infatti lo svizzero ritroverà Andy Murray, che nell'altra semifinale è stato capace di infliggere un doppio 7-5 a Novak Djokovic.


ILLUSIONE - Del Potro in più di un momento del match si era illuso di poter regalare all'Argentina la finale di domani. Ma a match finito, dopo la consueta stretta di mano, non ha più saputo trattenere le lacrime, lasciandosi andare a un pianto a dirotto, incontrollato, che ha commosso i 16.000 del Centre Court. Ormai non resta che piangere agli avversari di Federer: quattro settimane fa era toccato a Murray cedere all'emozione al termine della finale dei Championships.
Sotto di un set, falloso più del solito, il campione svizzero si è ritrovato in tempo per trascinare la seconda frazione al tie-break, poi vinto. Quindi nel terzo, anche nei momenti più delicati, quando si è trovato sotto di un break, ha strappato il contro-break. Ma alla stretta finale all'argentino sono saltati i nervi, ha pagato un calo di concentrazione fatale che ha assicurato la vittoria a Federer.


MARATONA – “E' stata una grande partita - il commento di Federer - Juan Martin ha fatto un ottimo match, peccato per lui per il tie-break nel secondo set. Non ricordo di aver mai giocato un match così lungo al meglio dei tre set. E' stata una partita che ha portato via tante energie fisiche e mentali”. Complimenti d'obbligo all'avversario che ha comunque disputato un grande match, nuovamente ai suoi migliori livelli come quando batteva lo stesso Federer nella finale di New York. “Mi dispiace molto per Juan, ma lui può essere orgoglioso della partita che ha fatto”, ha dichiarato sportivo lo svizzero. Nessun segreto dietro alla sua vittoria, solo la tenuta mentale, la consapevolezza di essere un campione che non conosce la parola declino. “Forse ha fatto la differenza la concentrazione. Diciamo che quest'anno la differenza la sta facendo la testa, forse un po' la mia forma fisica e un po' di fortuna: anche questa mi è servita - ha spiegato lo svizzero - Ho vinto ma avrei potuto perdere, quindi sono molto contento”.


Se Federer ha già annunciato che non prenderà parte all'ATP 1000 di Toronto, alla ripresa del calendario del circuito, Del Potro fa fatica a trovare le parole per spiegare questa sconfitta. “E' sicuramente una delle più dure della mia carriera - l'ammissione dell'argentino - Perché questa volta giocavo non per me e il montepremi ma per il mio paese. Anche se ho dato tutto e ho giocato un gran match, sento di aver deluso i miei compatrioti. Ma devo anche riconoscere di aver perso contro un grande”.


Federer che fatica con Del Potro! Fuori anche Bracciali e la Vinci (Daniele Azzolini, Tuttosport, 04-08-2012)


Milionari carissimi, puri come dilettanti, nababbi olimpici che si commuovono alle vittorie e si sciolgono alle inevitabili sconfitte. Juan Martin Del Potro sparge stile di pianto sugli autografi dei fans, come facevano le innamorate di una volta sulle lettere ai fidanzati lontani. Effetti di un'Olimpia moderna che, una volta ogni quattro anni, vale la pena di onorare. Con partitoni da cineteca, persino, di quelli che vanno oltre il confine dell'immaginazione, e risorgono dalle loro ceneri quando sembrano finiti, per riprendere la rincorsa e tornare in bilico. Così succede fra il campione del vero Wimbledon, Roger Federer, e il pivot Juan Martin del Potro che lo sfida alla pari in questa edizione del Wimbledon a colori. Quando Federer ottiene il primo break del suo match siamo già 9 pari nel terzo e si fa appena in tempo ad accorgersi che neanche quello è sufficiente per vincere e raggiungere, al quarto tentativo, la sua prima finale olimpica. Curioso soggetto Del Potro. Omone dallo sguardo che tende al vago ma tennista capace di inusitate prove di forza. Un po' cieca, forse, ma ammirevole per la pressione che mette, sui colpi e sui nervi degli avversari. Non per niente uno dei due soli vincitori di Slam (l'altro è Djokovic) nel decennio di Federer e Nadal. Un tipo, Del Potro, che potreste benissimo vedere nei panni del killer che si rialza d'improvviso con un urlo agghiacciante, mentre l'eroe sanguinante pensava ormai di averlo fatto fuori. Federer ha resistito all'impatto ma ha dovuto cedere il break appena conquistato, sul 10-9 del terzo, e correre per 17 game, prima di venirne a capo, sul 19-17 finale. Ebbene 4 ore e 26' è il match più lungo mai giocato in era Open sui 3 set. Dunque pure ai Giochi. Roger troverà come nel Wimbledon vero Andy Murray, che ha battuto in semifinale Novak Djokovic con un duplice 7-5.


VINCI E BRACCIALI KO Il tennis si avvicina al podio. E gli ultimi italiani escono nei quarti del misto: Vinci e Bracciali battuti da Lisicki e Kas. Serena lascia 3 game alla Azarenka, che è (dovrebbe essere) la n. 1. Eharepova si abbatte sulla Kiri1enko che è (dovrebbe essere) sua amica. Ma sconfitta è l'erba. I trapianti pre-germogliati non hanno resistito, il Centre Court impone ai tennisti di pulirsi le scarpe battendoci le loro racchette, come al Roland Garros. I Giochi sull'erba finiscono sulla terra, mai protagonisti sono i migliori milionari in circolazione.


Magia a Wimbledon, il maratoneta Federer fa piangere Del Potro (Curzio Maltese, La Repubblica, 04-08-2012)


Wimbledon is magic. Dall'alto dei suoi 135 anni di storia, una ventina in più delle moderne Olimpiadi, il più antico torneo del mondo guarda con commiserazione a questi Giochi senza eroi e senza imprese, con troppi vuoti negli stadi e troppe stelle cadenti in gara. Sono corsi invece tutti ieri nella giornata delle semifinali ai cancelli del All England Lawn Tennis & Croquet Club. Non entrava uno spillo, nelle tribune dei semplici mortali, taglieggiati da prezzi di rapina, come nei settori dei Vip scrocconi e dei clienti degli sponsor. Hanno avuto ragione perché la giornata ha riservata una delle più belle imprese di Londra 2012, la semifinale maschile fra il padrone di Wimbledon, Roger Federer, che soltanto un mese fa aveva eguagliato le7vittoriediSamprassullasacra erba, e l'indomabile argentino Juan Martin Del Potro. Alla fine il n.1 del mondo ha domatolo sfidante, ma al prezzo di una maratona incredibile di 4 ore e 26 minuti, record assoluto di durata nell'era open per un incontro al meglio dei tre set, con un punteggio che parla da solo: 3-6, 76 (7-5), 19-17. Soltanto 22 minuti in meno della storica finale Federer Nadal del 2008, rubricata con una certa enfasi come “la più bella partita di tutti i tempi”.


Ora, i numeri nello sport e nel tennis sono importanti, come ha insegnato il maestro Rino Tommasi. Ma poi c'è da dire dello spettacolo. Il duello di ieri era lo scontro di fantasia e potenza. Aveva il sapore di un pomeriggio all'arena. Da un lato il toro argentino all'attacco con bordate di servizio da oltre 200 all'ora, dall'altra l'incredibile varietà di colpi del torero di Basilea. Del Potro ha sfiorato la partita della vita, la replica della finale degli Us Open del 2009, quando riuscì a battere lo svizzero con una partita perfetta. Alla fine delle maratona c'è voluto il miglior Federer, quello capace di dipingere traiettorie impensabili con il diritto, di sfruttare ogni rimbalzo con una velocità pazzesca e di non sbagliare uno smash che è uno. Del Potro ha avuto il merito di non arrendersi mai, neppure quando era costretto ad arrancare sulle lunghe leve fino alla rete per certe smorzate improvvise, ingannevoli e sublimi. Soltanto al 38 gioco del terzo set, di fronte all'ultima invenzione del genio, ha dovuto ammainare la bandiera e uscire fra le lacrime sue e di tutta l'Argentina.


Senza ombra di dubbio è stata la più emozionante sfida di tennis olimpico a memoria d'uomo. Il gioiello della corona nel più bel torneo mai visto da Seoul '88, quando il tennis è tornato nel programma dei Giochi. Un miracolo che soltanto la magia di Wimbledon riesce a spiegare. Ne abbiamo visti negli anni di tennisti milionari snobbare i Giochi, sbattere in faccia la porta alle federazioni, prendere la coppa Davis come un allenamento ai tornei del Grande Slam. Qui a Londra 2012 hanno voluto venire tutti e impegnarsi fino alla morte. Non c'era il solo Nadal, bloccato dalla tendi-nite, ma in realtà Rafa non c'era stato neppure all'ultimo Wimbledon, sbattuto fuori al 2 turno dal ceco Rosol, n.100. Periiresto, qui non c'è stato spazio per sorprese, per il Davide di turno capace di abbattere Golia, il sudafricano che brucia l'invincibile Phelps all'ultima bracciata, il vecchio gregario che stacca il campionissimo Cavendish, l'Honduras di calcio che elimina la Spagna. Gli eroi del tennis non hanno deluso. La finale per l'oro sarà l'esatta replica di quella del mese sco r-so, con l'idolo inglese Murray, che si è sbarazzato di uno Djokovic ormai appannato in 7-5, 7-5, all'assalto del divino Roger Federer. Il primo tennista della storia che potrebbe per l'ottava volta trionfare nel tempio di Wimbledon. È un peccato che alla festa del tennis olimpico manchi un tocco d'azzurro. Gli azzurri si sono giocati l'ultima chance di medaglia uscendo ai quarti nel doppio misto, dove Vinci e Bracciali hanno dovuto arrendersi ai tedeschi Lisicki e Kas al super tie break per 710. È un caso in cui si può legittimamente invocare la sfortuna, ma l'unico per noi. I fallimenti azzurri nel tennis sono storia antica, con vecchie ragioni, ma tanto è diventato perfino inutile discuterne.


Imbattibile Federer, in finale e nel mito (Federico Ferrero, L’Unità, 04-08-2012)


Piangono, Palito e Roger, incollati in un abbraccio che restituisce il sapore dell'amore fraterno. Juan Martin ha l'aria di non volersi più staccare dal suo carnefice, gli sussurra parole in un orecchio, forse alla ricerca di un'impossibile consolazione.
Quando gli addetti smontano il campo lui ancora è là, non ce la fa a richiamare le gambone verso gli spogliatoi dell'Alt England Club: resta sprofondato nella solitudine della sconfitta più amara, con gli occhi gonfi e l'anima svuotata di ogni sentimento. È che si è reso conto di aver smarrito, in un pomeriggio di sangue e capolavori, la ricetta anti Federer - quella scovata nel 2009 a New York - e di aver perso per sempre un pezzo di cuore, quello che ha offerto alla sua patria giocando a lungo il miglior tennis che gli si potesse chiedere.
L'altro, il Migliore, è palesemente imparentato con gli omini dotati di antenne. Ma ha i sentimenti degli umani: in una rara dichiarazione d'amore per la sua Svizzera, a vent'anni dalla tuttora misteriosa medaglia d'oro di Marc Rosset, lo si è visto baciare la croce bianca ricamata sulla maglietta rossa. In questo Wimbledon variopinto che fa da mamma ai Giochi, l'oro in singolare è più di un desiderio, ormai è un diritto che vuole avocare a sé.
Questa incantevole semifinale del torneo olimpico tra Federer e Del Potro si è risolta in una classica di quattro ore e 25 minuti; durata da primato per un match al meglio dei tre set nell'Era Open. In tanto si è racchiusa l'ennesima prova di prima-zia di Re Roger, in un record agevolato, giusto ricordarlo, dall'introduzio-ne del tie-break, soluzione benedetta dalla tivù per il suo potere di sforbiciare il tempo indeterminato del tennis. Nella sua sterminata produzioni di colpi, Federer riesce a consumare meno energie atletiche. Quelle mentali, invece, le sapeva succhiare solo l'ospedalizzato Nadal, e la sicurezza con cui Roger ha tenuto i turni di servizio nel terzo set - tutti potenzialmente fatali, dal 4 a 5 in poi - ha dell'inverosimile, come del resto resteranno inspiegate alcune soluzioni di controbalzo che il padrone dell'erba ha usato per condire un repertorio da genio dell'arte sportiva.
Neanche l'aver perso a zero il servizio sul 10-9 ha scalfito la sua imperturbabilità: lui la chiama consapevolezza e abitudine a gestire la pressione, l'osservatore non pub che riconoscere il genio. Misurato con un match gigantesco, 3-6 7-6(5) 19-17, il resto del menu impallidisce.
Come il tennis di Viktoria Azarenka, entrata come numero uno del computer e spazzolata via dal Centrale dalla vera regina, miss Tyson in gonnella Serena Williams. Cui toccherà giocarsi la finale con Maria Sharapova, più forte dell'amica Kirilenko, una Maria più piccina, ugualmente carina e rantolante ma meno veemente. Fa poca notizia anche il ritorno a casa a mani vuote della spedizione italiana con l'ultima fiammella, il duo misto Bracciali-Vinci, soffiata via all'ingresso delle semifinali da un'ottima erbivora, Sabine Lisicki, e dal socio tedesco Kas. Era lecito aspettarsi di meglio, è ancor più onesto accettare di non essere protagonisti contro i grandi.


Un bronzo a sciabolate, spettacolo tennis (Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano, 04-08-2012)


[…] Quello generale ha invece riguardato il tennis. Che ha un rapporto conflittuale con le Olimpiadi. Esduso dai Giochi dal '28 al '68, poi reinserito come "esibizione" fino al 1988. Da allora, vincitori un po' minori. Fino a quattro anni fa, quando l'oro è andato a Rafael Nadal, assente a Londra per infortunio. Il tennis olimpico è equiparato a un Masters 1000: come Roma, non come Wimbledon. Sebbene, quest'anno, si giochi sugli stessi campi.
Roger Federer diceva di voler chiudere con l'oro a Londra 2012. C'è molto vicino. E non si ritirerà a fine anno. Ieri era opposto in semifinale a Juan Martin Del Potro, l'argentino che lo sconfisse nella finale degli Us Open 2009. Quel Federer sembrava finito, ma era solo terminata la dittatura: non i colpi di coda. ll 31 enne svizzero si è imposto 3-6; 7-6; 19-17. Quattro ore e 26 minuti, record per una partita al meglio dei tre set. Domani la finale. Del Potro ha giocato meglio, Federer è stato più solido. Un classico, anche se la vulgata generale sostiene che l'elvetico esibisca "il tennis migliore": è vero spesso, non sempre. Partita di livello raro, terminata con il pianto di entrambi. La carriera di Federerè scandita da fasi precise. La gioventù iconoclasta. La maturità ostinatamente inseguita e robotica- mente applicata, da Micheal Schumacher con racchetta, che ha portato alla monarchia assolutista 2003-07, noiosa e con avversari teneri. Con la piena esplosione di Nadal, sua kryptonite, la Tirannia dell'Algido si è conclusa.
Tra IL 2008 e il 2011, periodo nel quale ha comunque continuato a vincere, c'è stato l'autunno del patriarca. La fine è però lontana. Molto. Lo ribadiscono il Wimbledon di un mese fa e questa finale olimpica, mancata sia ad Atene (Berdych) che a Pechino (Blake). Il suo tennis è prossimo all'esercizio di stile, alla bellezza fredda. Inevitabile: è il dazio (passionale) che Roger ha accettato di pagare, barattando la ribellione giovanile - capelli tinti, racchette spaccate - con la trasformazione in efferato collezionista di record. Un Dexter permaloso e bulimico, dotatissimo, dai gesti rigorosamente bianchi. Ora che per vincere deve soffrire di più, se non altro sembra più umano. Le sue movenze commuovono gli innamorati del tennis che fu, e che - beninteso - Federer si guarda bene dal riapplicare: a rete non va quasi mai e senza la prima di servizio avrebbe perso anche eri in due set. Con Nadal malato, la strada torna per lui quasi spianata. Soprattutto tre set su cinque. Domani finale con Andy Murray. […]


Federer ci ha messo cuore e anima, uno spirito da gigante (Pier Bergonzi, La Gazzetta dello Sport, 04-08-2012)


Intanto grazie Roger! E grazie Juan Martin... Sul Centrale di Wimbledon ci capita di assistere a qualcosa che è molto più di una partita di tennis. È un incontro di boxe infinito, tra un picchiatore come l'argentino Del Potro e un raffinato stilista come Federer. Uno ha il cazzotto di un servizio spesso oltre i 200 all'ora e un dritto pesantissimo. L'altro punge di fioretto e con traiettorie al confine della genialità. Logico pensare da che parte stia il dio del tennis. E il pubblico del Centrale...


Alla fine, dopo quasi 4 ore e mezzo di pugni, vince Federer, uno che sta a Wimbledon come Puccini al Teatro della Scala. Roger appare sfinito, sofferente, emozionato e, forse, felice. Si avvicina al centro del campo e si appoggia (con le due mani) alla rete con qualche lacrima sul davanzale dello sguardo. Testa a inquadrare l'erba e pensieri accartocciati come le volée di giornata, Roger si ferma per stringere la mano al suo tenacissimo avversario. Poi i due si abbracciano. Juan Martin appoggia la testa sul collo di papà Roger ed escono tra gli applausi del pubblico in delirio. Chi per la prima volta (cose che succedono all'Olimpiade) ha messo naso, piedi e cuore dentro Wimbledon ha vissuto un pomeriggio straordinario. Arrivi con qualche palpitazione nel tempio del tennis come se entrassi al Louvre e il caso ti conduce fino a un urlo da un capolavoro: la partita (in 3 set) più lunga della storia. Una sfida con l'unità di un romanzo. Dentro puoi leggerci la vita. Finisce che rimani bloccato davanti a quella scena come improvvisamente colpito dalla «Sindrome di Stendhal », pardon dalla «Sindrome di Federer»... Grazie a Roger e Juan Martin, ma anche a Murray e Djokovic che in serata si sono a loro volta presi a pugni nella seconda semifinale. Grazie perché hanno interpretato da giganti lo spirito olimpico. Federer non ha forse giocato il suo match migliore e ha concesso molto a un picchiatore come Del Potro, ma in ogni singolo 15 abbiamo avuto la sensazione che ci tenesse, che volesse, terribilmente, raggiungere la finale dei Giochi. Lui, con la maglia rossa della Svizzera, dentro la cattedrale dei «gesti bianchi» è arrivato con l'anima dove non arrivavano le gambe e le braccia. Il pubblico, forse più indisciplinato e meno competente del solito, lo ha capito e ha sofferto con lui fino a quel liberatorio 19-17 del terzo set.


Un mese fa, sempre qui, sull'erba un po' spelacchiata del rettangolo verde più prestigioso del tennis, Federer aveva vinto Wimbledon per la settima volta battendo lo scozzese Andy Murray. Lo stesso che domani ritroverà nella finale olimpica.


A Pechino 2008 Roger vinse l'oro del doppio con Wawrinka, ma uscì ai quarti nel singolo e quella sconfitta brucia ancora. Il senso della sua attesa è anche, o soprattutto, nelle lacrime di ieri pomeriggio. Ci sono campioni che passano dai Giochi come da un fast food: prendono e ciao... Federer fa invece parte degli uomini che portano legna per alimentare il sacro fuoco di Olimpia.


Federer da record, ma l’hanno ammirato in pochi (Rino Tommasi, Libero Quotidiano, 04-08-2012)


Da quando il tennis è rientrato a pieno titolo nel programma olimpico questa edizione - comunque si concluda - promette di passare alla storia come la migliore tra quelle che si sono svolte dal 1988 ad oggi.


Il rapporto tra il tennis ed i Giochi si era interrotto, per ragioni mai completamente chiarite, dopo il 1924. Da una mai provata e documentata accusa di professionismo al desiderio di proteggere il prestigio del torneo di Wimbledon che gli inglesi non volevano che avesse ogni quattro anni la concorrenza di un evento più importante e comunque piu' universale. Nel 1968 la Federazione Internazionale aveva convinto gli organizzatori delle Olimpiadi di Città del Messico ad inserire nel loro programma un torneo di tennis, che però ottenne un modesto successo ed una incompleta partecipazione anche perché svolto a Gaudalajara. Un secondo tentativo di riportare il tennis ai Giochi è stato effettuato a Los Angeles nel 1984 dove per il tennis è stata inventata una definizione molto anacronistica, quella di sport dimostrativo, che era stata utilizzata nelle prime edizioni quando veramente alcune discipline avevano bisogno di farsi conoscere prima di essere ufficialmente accettate. È andata bene che a Los Angeles le due gare di singolare furono vinte da Stefan Edberg e da Steffi Graf, fornendo al libro dei record i nomi di due futuri Campioni.


Rientrato ufficialmente nel programma olimpico il tennis non ha avuto sempre la stessa fortuna. Alcuni vincitori come Mecir a Seoul, Rosset a Barcellona e Massu ad Atene non avevano la qualità richiesta. È andata bene ad Atlanta dove Agassi ha salvato il prestigio del tennis olimpico perché incoraggiato da una sede che gli tornava comoda.


Sarà la fortunata coincidenza di una sede come quella di Wimbledon, ma questa volta il torneo non ha nulla da invidiare a quelli dello slam anche se si distingue nella formula perché gli uomini giocano qui al meglio dei tre set e non sulla lunga distanza del tre su cinque utilizzata nei quattro tornei maggiori. Sta di fatto che qui a Londra nei due tornei di singolare sono giunte in semifinale tre delle prime quattro teste di serie e dei primi quattro classificati nelle graduatorie mondiali. Gli intrusi, se così posso definirli, sono stati l'argentino Juan Martin Del Potro, numero 8 ma comunque vincitore di un torneo del Grande Slam, e Maria Kirilenko, numero 14 nella classifica femminile che è giunta in semifinale battendo la Kvitova, campionessa l'anno scorso a Wimbledon.


Nella prima semifinale del singolare maschile sembrava che Roger Federer e Juan Martin Del Potro si fossero messi d'accordo per stabilire un nuovo record. Si sono dovuti accontentare di quello del match più lungo (4 ore e 26') sulla distanza dei tre set. Alla fine ha vinto Federer che era andato in campo con un bilancio favorevole di 12 vittorie a 2. Federer ha servito per il match una prima volta sul 10 a 9 nel terzo set ma ha ceduto a zero quel game.
Unica nota deludente la mancanza del pubblico e dell'atmosfera che caratterizza il torneo di Wimbledon. Molti appassionati - e ne ho incontrati tantissimi, anche italiani - non sono riusciti a trovare un biglietto, ma le tribune non si sono riempite perché molti tagliandi erano finiti nelle mani degli sponsor che magari avevano interessi diversi dal tennis.


Federer, la lunga marcia dello svizzero globale (Giuseppe De Bellis, Il Giornale, 04-08-2012)


II boato della fine spiega il principio: Roger Federer è uno straniero a casa. Tutti in piedi. Vince lui e non conti le bandiere: svizzera, certo. Poi britannica, italiana, francese, americana, canadese. C'è n'è anche una delle isole Fiji. È l'unico atleta contemporaneo per cui tutto il mondo oggi faccia il tifo. Come se non avesse nazionalità, come se fosse figlio (...) (...) dello sport universale. Vince una semifinale olimpica nel giardino della sua villa. Perché Wimbledon è casa: sette vittorie, l'ultima un mese fa. Disse allora: mi fermo a Londra perché qui voglio vincere l'Olimpiade. Per la Svizzera, per il tennis. E almeno argento, per l'oro si decide domani. Però la partita di Federer stavolta non è la finale. È questa: entra nella storia come il match più lungo di quelli giocati nel due su tre. Finisce 19 a 17 per lo svizzero globale. Finisce con quel boato che mette in un angolo il povero argentino Del Potro, uno che gioca benissimo, che si diverte, che si sente a suo agio, che non ha paura. Sbaglia due colpi e perde. Perché con Federer succede co-si. Non vinci anche quando giochi al meglio. Non qui, su quest'erba sacra perii tennis e che ha trasformato Roger in un dio pagano.


Sventola anche una bandiera argentina, adesso. Omaggia lo sconfitto, saluta il vincitore. Perché se perdi con Federer è come non aver perso con un rivale. E la forza di un giocatore che non ha confini. Succede soltanto a quelli che identificano uno sport: Roger è il tennis e chiunque ami il tennis non può fare il tifo contro di lui. Capito? Ecco perché è l'Olimpiade. Un simbolo involontario: Bolt ha tanti con lui e però per forza qualcuno contro. Phelps anche: nelle piscine ci sono gli americani che stanno con gli americani, i britannici con i britannici, gli australiani con gli australiani. Per quanto Michael sia oltre, c'è sempre qualcuno che vorrebbe vederlo sconfitto. Con Federer no. Anche quando gioca con Andy Murray che qui rappresenta la Gran Bretagna intera, c'è mezzo centrale di Wimbledon che sta con lui. E l'altra metà non lo fa solo per dovere. Perché in fondo, dentro, anche loro lo amano.
Come fai a non invaghirti di uno così? II pubblico lo adora perché non picchia. Accarezza. Non c'è bisogno di forza quando c'è precisione, non c'è bisogno di velocità se c'è talento, non c'è bisogno di volgarità se si è signori. Lui non esaurisce mai le richieste all'arbitro di vedere il replay istantaneo dei punti contestati. Lo usa poche volte, per il resto si fida. Contempla l'errore degli altri perché non tollera il suo. Pensa: se sto concentrato non sbaglio mai. Poi gioca, sempre: servizio, volée, dritto, rovescio. Palla corta, palla tagliata. C'è il campionario intero del tennis nella sua sacca. Accompagna la pallina in qualunque modo. E la differenza con gli altri. E lo stacco tra quel popolo di picchiatori che hanno puntato tutto solo sulla forza e quelli che ci hanno messo la classe. Wimbledon è casa perché preferisce i raffinati ai rozzi. Il mondo lo porta a spasso come se fosse un amico di tutti perché qui lo sport è una cosa seria. Allora se qualcuno chiede: ma come dovrebbe essere il tennis? «Guarda Roger giocare e sai tutto quello che devi sapere». Parlano dello stile, dell'eleganza, dell'orgoglio del rovescio a una mano, co-si bello e così raro. Federer è il passato aggiornato al presente, senza nostalgia: classe, silenzio, educazione, intelligenza. E un tocco già visto, il soffio di una palla che sfiora le corde e si poggia sull'erba. Non ci sono novità: c'è la perfezione. Borg divinizzò il top spin ed entrò nella leggenda. Roger no. Fa semplicemente al meglio quello che altri hanno già creato. E vince.


Questa è l'altra differenza: un campione non cede, non molla, vede il traguardo e lo vuole. Per primo. Può accettare la sconfitta, ma non può piacergli. Del Potro è stato a un millimetro dal successo. Federer ha abbassato il passaggio a livello: no amico, qui non si passa. Non si accompagna la vittoria di un altro, anche quando hai deciso che sei nella fase discendente. Lui dice di intravedere la fine, ma di non volerci pensare. Si vince, ancora. Si vince tutto quello che si può. Wimbledon è la casa che lo protegge: stai qui e andrà tutto bene. Argento sicuro, oro ancora no. C'è un'altra partita. Lui ha vinto già alle Olimpiadi, ma nel doppio. E non è la stessa cosa. La Svizzera anche ha vinto a tennis: Marc Rosset si prese il primo torneo tennistico della storia, nel 1992 a Barcellona. Non ci sono record, qui. Né per se stesso, né per il suo Paese. C'è la voglia di vincere. Lo spirito olimpico vero è questo. Partecipare? Non se ne parla. Ha lasciato che la bandiera della Svizzera la portasse il suo compagno di doppio. Ci tiene, ma per lui è diverso. Il suo mondo non si chiude in un vessillo, anche se ama il tuo Paese, anche se sente l'orgoglio di una patria. Federer è soltanto oltre.


Andy vendetta? E oggi finale Serena – Sharapova (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 04-08-2012)


Dopo Federer-Del Potro, le altre semifinali olimpiche, pur succose, diventano un mero sotto-clou. Il beniamino di casa, lo scozzese Andy Murray, è troppo più motivato e cattivo dell'amico Novak Djokovic, sempre classe '87 e più giovane di una settimana, che l'ha fatto piangere negli ultimi due Australian Open (finale 2011 e semi 2012) ed ha già firmato 5 Slam. Stavolta l'allievo di Lendl gioca molto meglio e merita il doppio 7-5. Evidentemente la finale di Wimbledon di un mese fa gli ha evidenziato la necessità di picchiare il servizio a più non posso, non risparmiarsi, rischiare da fondocampo e di chiudere a rete. Così, imponendo il suo gioco e non mettendosi a inseguire la pallina-saponetta del serbo, Andy vince l'importantissimo primo set ed acquisisce il vantaggio di servire per primo nel secondo, liberandosi dell'extra pressione, per liberare il suo talento e sperare nella rivincita con Federer.


Donne Come da pronostico, Serena Williams e Maria Sharapova volano alla finale di oggi, liquidando Victoria Azarenka (6-1 6-2) e Maria Kirilenko (6-3 6-2), per replicare la finale di Wimbledon 2004, quando la 17enne russa beffò la numero 1: realtà lontanissime, dopo gli ultimi 7 successi di fila dell'afro-americana (8-2 i testa a testa) e la sua condizione dall'ultimo Wimbledon in qua. Masha, la gelida siberiana «made in Usa», scopre i valori nazionalistici e glissa sulla possibilità di diventare la seconda, dopo Steffi Graf, a vincere tutti gli Slam e anche i Giochi (tornerebbe anche n. 1). La Tyson del tennis, con 16 ace di giornata e 33 vincenti, caricata da 33 successi in 34 match, punta al medesimo Golden Slam di carriera.


Azzurri Si ammaina l'ultima bandiera italiana: gli specialisti di doppio, Roberta Vinci e Daniele Bracciali, vincono il primo set 6-4 ma poi cedono tie-break e super tie-break ai tedeschi Sabine Lisicki e Christopher Kas, nei quarti. «La Lisi-cki ha fatto la differenza, nella risposta e al servizio», chiosa Robertina.


Tennis a colori e senza verde, non è Wimbledon (Daniele Azzolini, Avvenire, 04-08-2012)


Wimbledon a colori, alla fin fine, dà ragione ai tradizionalisti, ai signori che almeno una volta l'anno indossano la giacca del club, a righe bianche, verdi e viola, brutta come non se ne sono mai viste, ma unica; ai tamarri che si appostano lungo i corrimano della viewing lane, per sbirciare i cappelli delle duchesse invitate nel Royal Box, simili alle fioriere di Buckingham Palace: sottolineano quelle improbabili, eppure audacissime architetture con larghi «ohhh» di meraviglia, poi se la ridono sguaiati non appena voltano l'angolo. Dà ragione ai soci, che tutti gli anni, da cinquant'anni, si riuniscono a Natale per la proiezione del film "Lawrence d'Arabia". A quelli che si mettono in coda solo per appiccicarsi sul petto la coccarda con la scritta: «Sì, io mi sono messo in coda». Al Popolo della Collina, che da 76 anni aspetta un inglese che vinca i Championships. Perché a Wimbledon così si chiama il torneo, "The Championships", i Campionati, ed è quasi un titolo nobiliare. Ma basta togliere un ingrediente, o aggiungerne sbadatamente un altro, e il risultato non è più lo stesso.


Così, Wimbledon a colori è un surrogato, tranne per i campioni che cercano medaglie. Talmente ricchi da permettersi una volta ogni quattro anni, e con infinito piacere, di vestire i panni che i ricchi vestono meglio, quelli di chi può permettersi di giocare a gratis. Dieci giorni da purissimi, entusiastici, generosissimi dilettanti... Capaci persino di sciogliersi in lacrime di fronte all'occasione persa, come fanno sollevatori di peso e canottieri, che hanno paghe da collaboratori coordinati e continuativi rispetto alle loro. Come fa Juan Martin del Potro, l'argentino, che ieri ha tenuto Federer in campo fino al 19-17 del terzo set, lungo un match che sembrava infinito. E uscito dal campo asciugandosi le guance, e ha firmato autografi inzuppandoli di lacrime. Lo svizzero incontrerà 1 idolo di casa Murray, che ha domato Djokovic. Le stille rigano anche il bel volto della russa Maria Kirilenko, sempre seconda quando c'è la Sharapova, anche lei bella, anche lei russa. Lucciconi che Victoria Azarenka appena trattiene, lei che è la numero uno ma sa che la più forte è sempre l'altra, la signora che le sta di fronte, Serena Williams.
Siamo alle finali, e ci sono i migliori in gara. I Giochi del tennis hanno tenuto fede all'impegno. Meno gli azzurri, che dopo molti proclami non avranno niente da festeggiare. Vinci e Bracciali, Roberta e Daniele, gli ultimi due, sono usciti ieri dal doppio misto, battuti dai tedeschi Lisicki e Kas. Tutti a casa, e a Rio, forse, ci sarà un'altra generazione. Eddie Seaward, il giardiniere "sir", il settimo head groundsman da che Wimbledon è Wimbledon, un ornino indurito dalla vita trascorsa all'aperto, non è del tutto contento del risultato. I campi olimpici non sono granché. L'erba ha tenuto un giorno e mezzo, poi s'è fatta poltiglia. Le finali si giocheranno su un campo di erba mista a terra che costringerà i tennisti a battere con forza le racchette sulle suole delle scarpe, come fanno al Roland Garros. Ma l'abbiamo detto, Wimbledon a colori non è Wimbledon. Forse, nella realtà, nemmeno esiste.
 

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