Riecco i soliti due, Nadal e Federer per il duello n.39

Editoriali del Direttore

Riecco i soliti due, Nadal e Federer per il duello n.39

PARIGI – Roger sempre più sorprendente. Torna e vince come se nulla fosse anche dopo 3 ore e mezzo e scambi di 10 e più palleggi contro un Wawrinka di lusso. Ma Wilander lo critica e lui…

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Roger Federer e Rafa Nadal - Shanghai 2017 (foto via Twitter, @SH_RolexMasters)
 

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da Parigi, il nostro inviato

Ma non dovevamo vederci più? Questo potrebbe dire Rafa Nadal a Roger Federer che sembrava aver messo una pietra sopra sulla sua carriera sulla terra rossa quando, dopo l’incidente del bagnetto ai gemelli che lo aveva tenuto lontano dal Roland Garros 2016, decise di non giocarci più nel 2017 e nel 2018, e quasi tutti pensavamo che a Parigi non lo avremmo mai più rivisto. Rafa, naturalmente, a abbandonare Parigi non ci ha proprio mai pensato. Mica è scemo. L’ha vinto 11 volte, punta a vincere per la dodicesima.

Quando poi Roger ha annunciato che sarebbe tornato a giocare sulla terra rossa di Madrid, per poi ripresentarsi al Roland Garros, quasi tutti – incluso lui per primo – esprimevamo seri dubbi sulle sue chance di essere davvero competitivo sulla soglia dei 38 anni su una superficie così faticosa, dove gli scambi non di rado superano i 5 colpi e anche i 10.

E invece eccolo qui, di nuovo orgoglioso superstite tra i quattro migliori del torneo, con un solo set perso in 5 incontri. Eccolo qui capace di prendersi una gran rivincita su Stan Wawrinka che nel 2015, nella sua ultima esibizione sul “rosso parigino” proprio qui lo aveva dominato in tre set, 64 63 76.

Lo ha battuto in 4 set (76 46 76 64) a dispetto di tante, davvero troppe occasioni mancate, 16 palle break su 18, grazie soprattutto ai due tie-break vinti dove nei quali si è spesso affidato ad avventurosi, eppur saggi, serve&volley. “Il solo modo per battere uno Stan in queste grandi condizioni di forma era variare il più possibile il gioco, giocare il meno possibile palle uguali” ha detto Roger. Come dargli torto?

Vero, ma sapete che nel duello All-Swiss Federer ha fatto 16 punti in più di Wawrinka (e non sono pochi), facendo 16 punti su 23 quando lo scambio ha superato i 9 palleggi, 29 punti contro 26 di Stan quando i palleggi sono stati da 5 a 8? Ed è stato in campo 3 ore e 35, quando già qualche anno fa lo si era visto in difficoltà dopo le due ore e mezzo.

E non crediate che l’oretta di sospensione dovuta alla pioggia gli abbia giovato. Anzi. Quando non si è più giovanissimi, e né lui né Stan lo sono anche se a quasi 38 anni e a 34 paiono essersi dimenticati del certificato anagrafico fermarsi per un’ora e poi ripartire è molto più duro che non andare a diritto, senza pause.  Credo che questo sia stato uno dei quarti di finale complessivamente più anziani, 72 anni!, nella storia degli Slam open, anche se in taluni del passato c’erano i quasi quarantennis Connors e Rosewall ad alzare la media.

Vero semmai che questo martedì non faceva il caldo di domenica (31 gradi). Si fossero giocate 3 ore e mezzo a quella temperatura avrebbero avuto altro peso, ben altro dispendio di energie. Chissà, magari si sarebbe intrisa di sudore perfino la Uniqlo grigia di Roger, per solito immacolata.

Espressa tutta la mia ammirazione per l’arzillo “vecchietto” di Basilea, mi corre l’obbligo di notare quanto lui non si smentisca mai quando si tratti di essere politically correct, neppure un attimo dopo aver vinto il match su Stan e debba esprimere le sue prime sensazioni al microfono di Cedric Pioline, nel tripudio della folla che ama anche Wawrinka ci mancherebbe!, ma – si sa – Roger all’applausometro stravince sempre dappertutto, anche con Stan The Man, unico mortale capace di interrompere in tre Slam lo strapotere dei supermen Fab 4 e di conquistare, da outsider, le simpatie generali di chi dello stra-dominio dei quattro non ne poteva più e aspirava solo a nuove brezze.

Ebbene che dice Roger? “È stata dura, davvero dura, che grande match ha giocato Stan, mi fa davvero piacere  rivederlo in questa forma. Abbiamo giocato davvero un match di alto livello. Per batterlo dovevo fare molte cose diverse, variare tagli, angoli, attaccare…ho avuto anche fortuna quando su un punto importante ho fatto una volée vincente con il legno (reminiscenze di un tempo che fu…il legno non c’è più, semmai il telaio), ma è stata la forza di Stan che mi ha costretto a prendere dei rischi, a fare ogni volta qualcosa di diverso”.

E fin qui, per carità, bellissimo che Roger voglia tributare all’amico sconfitto, plauso e meriti. Sacrosanto anche che dica: “Sono contento di aver fatto la scelta che ho fatto, di essere tornato a giocare qui, di ritrovarmi in semifinale, fra i quattro migliori giocatori del torneo…– anche qui nulla da dire ma poi aggiunge – e sono felice anche di ritrovarmi a dover giocare con Rafa Nadal”.

Roger Federer e Fabrice Santoro – Roland Garros 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Ecco, qui invece Roger ha un tantino esagerato. L’ho pensato io, l’han pensato in tanti, l’ha pensato anche Rafa Nadal cui quando questa frase gli è stata riferita in spagnolo da un collega suo compatriota ha commentato, con il sorriso sulle labbra: “Che sia contento di essersi riqualificato per una semifinale al Roland Garros ci credo…ma che sia felice perché venerdì incontrerà me, ci credo un po’ meno”.

Rafa non lo ha detto con strafottenza, sia chiaro. Non l’ha detto perché è convinto di far polpette di Roger sulla terra rossa, magari sulla base dei precedenti (5 vittorie su 5 qui al Roland Garros, 11 vittorie su 13 sui campi rossi, con sole due sconfitte risalenti a 12 e 10 anni fa, nelle finali di Amburgo 2007 e di Madrid 2009), ma lo ha detto perché come noi ha rilevato quella sottile arte diplomatica che fa sempre dire a Federer le cose più giuste in tutte le situazioni. Sempre politically correct.

Ciò detto, anche se ci sono ancora due giorni per parlarne perché le semifinali maschili si giocano di venerdì – e questo è il motivo per il quale mentre di martedì i quarti femminili si sono giocati prima e dopo quelli maschili, di mercoledì verranno giocato tutti prima: al giovedì si devono giocare le semifinali – e certo Roger avrà recuperato le fatiche di questo martedì, se a quasi 38 anni Roger avesse trovato la chiave per battere Rafa Nadal (che non gli ha più strappato il servizio dal primo game del quinto set della finale dell’Australia Open 2017 e ci ha perso le ultimi cinque volte) anche sulla terra battuta del suo regno… beh credo che potremmo raccontare tutti di aver assistito a un miracolo.

Mats Wilander ha sottolineato una debolezza di Federer che Roger non ha per nulla gradito quando un giornalista gliel’ha riferita: “Hai avuto un sacco di palle break, difficili da convertire oggi, e chiudere è stato abbastanza complicato. Credo che tu abbia fatto un paio di doppi falli nell’ultimo gioco. Mats Wilander dice che invecchiando la pressione per te diventa più difficile da gestire. Mi chiedo se chiudere le partite oggi stia diventando un po’ più difficile per te. “No“, ha risposto con il sorriso ma senza troppe titubanze! “E salutatemi Mats. Non la prendo sul personale, ma comunque mandategli i miei saluti“.

Sorrideva, ma è sembrato anche un po’ acido. Lì, per una volta, Roger non è stato politically correct. E avreste dovuto vedere la sua espressione. Mi ha fatto pensare che forse fra Mats, che esprime spesso suoi giudizi senza troppi peli sulla lingua, e Roger, non corra buon sangue. Ma magari è stato solo un episodio. Appurerò personalmente con Mats.  

A proposito di miracoli…non è un miracolo, invece, che Fabio Fognini abbia realizzato il sogno che accarezzava da sei anni, da quando divenne n.13 del mondo quell’estate dei due tornei tedeschi vinti, Amburgo e Stoccarda, più la finale di Umago, anche se poi tutto sembrava essere sfumato… fino all’aprile scorso, quando ha vinto a Montecarlo il suo primo Masters 1000. Ho scritto ieri perché secondo me Fabio non sfigura affatto al cospetto dei gran parte di quei 15 giocatori che hanno raggiunto come best ranking il n.10, anche se è certo vero che negli Slam l’aver conquistato in tutti questi anni un solo quarto di finale sottolinea che molto più in alto non poteva pretendere di salire.

Ho anche scritto in quel pezzo – lo dico per i più pigri che non vogliono rileggere il mio editoriale – che in questi ultimi tre lustri sia i posti nel ranking sia nelle fasi finali degli Slam erano quasi sempre occupati dai Fab Four e da altri tipo Berdych, Ferrer, Tsonga che sono stati prepotenti nell’accaparrarsi i posti migliori, lasciando solo strapuntini – motivo per cui far strada negli Slam e nel ranking non era proprio banale. Anche quest’anno Fabio faceva notare, con discreta modestia, “ho perso contro Thiem, Tsitsipas e Zverev che sono tutti più forti di me, e molto meglio classificati, i primi alle spalle dei soliti che hanno vinto tutto e che prima o poi dovranno farsi da parte, e quindi non ho poi troppo da rimproverarmi”.

Fabio Fognini – Roland Garros 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Direi che non fa una piega il discorso che ha fatto, mentre a parer mio poteva evitare di essere piuttosto scortese con un paio di giornalisti stranieri che hanno provato a fargli un paio di domande e si sono sentiti rispondere con poco garbo. Il primo era un americano corrispondente a Roma dell’Associated Press, il secondo – mi pare di ricordare – un tedesco che voleva chiedere qualcosa su Zverev. Non capisco né perché Fabio non potesse essere più gentile con loro, né perché debba sempre essere solo io che non teme di farglielo presente. Sono fatto così: a me dispiace vedere un collega che se ne esce scuotendo la testa. Non mi piacerebbe che un tennista straniero lo facesse con me.

Ciò detto, e ripetuto, sono invece molto contento per il traguardo raggiunto da Fabio. Potrà raccontarlo a Federico quando il figlioletto che porta il nome di un altro Federico, Luzzi (e questo è stato invece un bellissimo gesto), gli chiederà: “Ma tu papà, quanto sei stato forte?”. E rispondergli sono stato un top 10, uno dei primi dieci del mondo, sarà più bello che dire “Sono stato n.11”, anche se in verità non dovrebbe fare quasi alcuna differenza.

Chiudo, dopo aver letto una nota in cui si segnalavano tutti gli altri top 10 della storia del tennis italiano maschile, e cioè:

  • Nicola Pietrangeli: n.3 nel 1959 e nel 1960 (classifica stilata dal giornalista inglese Lance Tingay)
  • Adriano Panatta: n.4 il 24 agosto 1976 (computer, era open)
  • Corrado Barazzutti: n.7 il 21 agosto 1978 (computer, era open)
  • Uberto de Morpurgo: n.8 nel 1930 (classifica stilata dal giornalista inglese Wallys Myers)
  • Giorgio De Stefani: n.9 nel 1934 (classifica stilata dal giornalista inglese Wallys Myers)
  • Fabio Fognini: n.10 il 10 giugno 2019 (computer, era open).

Ebbene ci sono i tre dell’era Open con Panatta n.4, Barazzutti n.7 e ora Fabio n.10 (inciso: Fabio ha detto che d’ora in poi vorrebbe puntare soprattutto ai grandi tornei, però si è un tantino contraddetto quando ha poi fatto sapere che giocherà i tornei di Gstaad e Umago invece di quelli sul cemento in preparazione dell’US Open: la scelta è certamente collegata alla necessità di difendere i punti del 2018 e il ranking) e poi quelli dell’era Amateur ante 1968, con de Morpurgo, De Stefani e Pietrangeli,

Nella nota si leggeva che Pietrangeli sarebbe stato il più forte di tutti. Beh, senza nulla togliere al grande Nicola, che è stato fortissimo dai 23 a 38 anni (il Federer de noantri…) e quindi un campione molto più resistente come durata al vertice e all’anagrafe di Panatta e Barazzutti, devo dire però che Adriano Panatta è stato n.4 (troppo brevemente, questo sì) quando nel ranking venivano presi in considerazione proprio tutti i migliori tennisti in circolazione. Invece all’epoca di Pietrangeli i migliori erano tutti professionisti.

Difatti nella prima delle due finali vinte a Parigi (1959) Nicola battè il sudafricano Vermaak che non valeva davvero uno dei primi 25 tennisti del mondo. Molto meglio di lui Neale Fraser sconfitto in semifinale. E quando fa il bis l’anno dopo supera il modesto Alain Bresson, un Martin Mulligan ancora giovanissimo, Mario Llamas, Gerard Pilet, Andres Gimeno, un altro francese Robert Haiilet e in finale il cileno Luis Ayala in cinque set. Discreti giocatori ma poco più che onesti, non veri campioni. I migliori erano Gimeno e Ayala. Ora sta a vedere…che nemmeno Pietrangeli mi saluterà più! In realtà non è certo colpa sua se i vari Gonzales, Trabert, Hoad, Rosewall, Sedgman etcetera erano passati alla troupe dei professionisti di Jack Kramer. Lui è stato un grande, ma non ha potuto misurarsi sempre con i più grandi.

Ciò detto è vero che Rosewall disse una volta: “Se noi migliori del mondo stessimo per un mese senza allenarsi su una isola deserta e poi riprendessimo a giocare, Nicola Pietrangeli batterebbe tutti”.


Per commentare il nuovo ‘appuntamento’ tra Federer e Nadal, che si troveranno di fronte per la 39esima volta, ho chiesto al grande amico e collega Steve Flink di scambiare qualche parola con me. Se ho messo di proposito la cravatta che mi aveva regalato? Può darsi…

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