Il “caso Fognini e bombe su Wimbledon” fa discutere più che Berrettini in ottavi

Editoriali del Direttore

Il “caso Fognini e bombe su Wimbledon” fa discutere più che Berrettini in ottavi

LONDRA – Un esame delle tesi contrapposte. Alla fine parziale assoluzione, ma con la condizionale. È sinceramente consapevole d’aver sbagliato o si scusa senza crederci? Berrettini contro Federer: proviamo a giocarla così

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Fabio Fognini - Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

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da Londra, il direttore

Quando ha chiamato il mio giornale ieri sera, pochi minuti dopo che Berrettini era diventato il quinto tennista italiano dell’era Open a conquistare gli ottavi di finale di Wimbledon, mi sono reso conto che alla direzione interessava molto più che io scrivessi del “caso Fognini e bombe su Wimbledon” piuttosto che dell’exploit di Matteo Berrettini. Ciò sebbene Matteo avesse lottato 4 ore e 19 minuti e cinque set salvando tre matchpoint contro Schwartzman (dal quale aveva perso al Foro Italico) e fosse atteso questo lunedì dal re di questi prati, il suo idolo Roger Federer.

Non me ne sono stupito. Se Berrettini vince o perde una partita, anche importante, quasi eroica, interessa soltanto agli appassionati di tennis. Che magari danno anche a Wimbledon un valore romantico, epico diverso da altri tornei. Quel che ha detto Fognini invece – “Maledetti inglesi guarda, scoppiasse una bomba sul circolo, una bomba deve scoppiare qua” – investe anche settori extratennistici, perfino extrasportivi.

Si è giustificati dalla tensione, dal calore di un match che sta evolvendo in maniera diversa dalle aspettative, per dire qualunque cosa? Ci sono dei limiti che non si dovrebbero valicare? È una questione di educazione? È giusto essere severi nel valutare certe reazioni? Occorre tenere conto dei precedenti nel esprimere giudizi e nel decidere – chi dovrà farlo – se prendere sanzioni oppure no? Si deve o non si deve tenere conto della popolarità dei campioni dello sport presso i giovani e preoccuparsi dell’esempio negativo che possono dare? Meglio glissare senza eccedere a sottolineare una mancanza di educazione, di sensibilità in questo particolare momento storico, e forse anche di cultura, oppure sanzionare uno per educarne tanti?

Sono tutti interrogativi le cui risposte, di un tipo come di un altro, possono interessare anche chi non sa che nel tennis al 15 segue il 30, il 40 e poi il game, chi non sa cosa sia un tiebreak. Per questo motivo non mi stupisce che il “caso Fognini”, per l’appunto – e per malaugurata fortuita coincidenza, deflagrato con le sue bombe il giorno prima di una storica e triste ricorrenza londineseabbia colpito la direzione del mio giornale e quelle di gran parte dei quotidiani italiani e stranieri, ben più delle bombe di servizio a 141 miglia orarie (226,8 km orari) fatte esplodere da Matteo Berrettini.

Sentivo dire in sala stampa, infatti, che più di un giornale aveva optato per riservare spazio al “caso Fognini” al di fuori delle pagine sportive. Ritenendo evidentemente che fosse argomenti capace di interessare un’opinione pubblica allargata ai non tennisti. Sto scrivendo a notte inoltrata perché sono appena tornato a casa da una giornata che pareva doversi sviluppare tranquillamente con i due italiani una tantum programmati a inizio pomeriggio e cominciata blandamente, ma poi diventata inopinatamente piuttosto concitata e faticosa.

Le 4 ore e 19 di Berrettini andavano seguite – meno male siamo in tanti noi di Ubitennis – le interviste di Nadal e Federer anche, quella di Fognini guai a perdersela, Sousa – primo portoghese di sempre in ottavi a Wimbledon – ha finito con le luci del nuovo tetto sul n.1, le donne se le è gestite l’impareggiabile AGF, ma – anche per via del fatto che i Doherty Gates nella Middle Sunday sono chiusi – anziché soltanto due video, uno italiano e uno inglese, ne andavano preparati e fatti quattro, distogliendo anche un collaboratore a far da cameramen, mentre l’ignaro (delle questioni italiche) ‘hall of famer’ Steve Flink pressava per accelerare la realizzazione del video inglese con – ve le voglio dire quasi tutte – due bobbies in gonnella ci obbligavano per incomprensibili ragioni di sicurezza a registrarli fuori dalle solite aree di tutta la prima settimana e degli ultimi anni.

Poi ci s’è messa anche la pioggia. Tornare a casa sulla MP3 che la Piaggio mi garantisce dai tempi in cui conobbi il compianto Giovannino Agnelli una venticinquina d’anni fa, per arrivare bagnato come un pulcino non è stato piacevolissimo. Come ci sono arrivato ho dato occhiata ai commenti fermi da moderare – un centinaio erano già stati “filtrati” – e ne ho scelti al volo due che pubblico qui sotto perché mostrano due diversi modi di pensare e non avevo tempo, confesso, di leggermi tutti gli altri.

Il primo è di Silvia Pelliccioni Mattarelli (presumo non sia un nick name): Questa volta le frasi non sono di per sé così gravi, ma lo diventano nel contesto di una città che le bombe le ha avute anche di recente, per via del terrorismo. Gli inglesi non scherzano su queste cose. Ho lavorato in Uk e se ti azzardi a dire una barzelletta sugli ebrei rischi il licenziamento immediato. Vedremo come va a finire. Non ho visto la partita, ma dall’articolo si evince che invece di lottare, di nuovo Fognini si è perso in un’inutile e controproducente spreco di energia. Per fortuna che l’Italia, in questo periodo, è rappresentata anche da giocatori come Fabbiano, che per la maggior parte del tempo sorride in campo, da Seppi, un vero lord, e da Berrettini e Sonego!

Il secondo è di Schtennis: Non penso proprio che i tennisti sappiano che nel 1940 i campi di Wimbledon furono bombardati dalla Lutwaffe. Siamo in 55 milioni in Italia, più o meno: prima di questo articolo, probabilmente solo 1000 persone conoscevano questo fatto, 750 delle quali sono ultraottantenni appassionati di tennis. Si poteva ricordare l’infausto evento senza scrivere che “Fognini dovrebbe quanto meno sapere che nell’ottobre del ’40…” perchè è chiaro a tutti che la stragrande maggioranza dei tennisti di un certo livello non dedica alla storia più di una decina di ore in tutto il ciclo di studi. Alle 9 di mattina si è sul campo e si torna a casa alla sera, dopo una giornata di allenamenti. Poi, si parte e si fa un torneo dietro l’altro. E, comunque, i nazisti bombardarono Wimbledon perchè era stato in parte trasformato in base militare inglese e non perchè qualche tennista aveva chiamato uno Stuka per vendicarsi di qualche falso rimbalzo. Direi che è altresì chiaro a tutti che l’improvvida sortita del nostro, in preda alla tensione per una partita che stava andando male, non auspicava di certo un bombardamento: solo una persona in malafede può pensare che Fognini si augurasse una cosa simile. Le sue parole sono da stigmatizzare tanto quanto si deve stigmatizzare colui che urla “che dio ti fulmini!” al pilota della panda rossa che non rispetta lo stop. E’ presumibile che il proprietario della Tipo alla guida non desideri che dio fulmini all’istante il pilota della panda rossa ed è parimenti presumibile che le sue parole siano dettate dall’improvviso scoppio di rabbia per aver rischiato l’incidente. Detto questo, io preferirei sempre un “ma chi ti ha dato la patente?” o, nel nostro caso, “manco le patate crescono su ‘sto campo”. Detto questo, Fognini trovi il modo di sfogare la sua incoercibile rabbia sul campo con suoni incomprensibili, coniando se possibile una neolingua solo a lui conosciuta, tramite la quale augurare agli dei un’infinita crisi intestinale, al mondo una definitiva implosione ed ai giornalisti la fine dell’inchiostro.

Come vedete sono due approcci alla questione completamente diversi. Ma ragionevoli entrambi, anche se qualcuno può condividere di più il primo e qualcuno di più il secondo. Io vi dico soltanto, anche perché mi è stato riferito che non sono mancati i soliti “so tutto io” che hanno decretato che io avrei indicato una linea “politica” sulla questione Fognini – e magari avrei dovuto farlo – ma invece non l’ho fatto. Per un semplice motivo: non avevo trovato posto sull’infelice campo 14. Non ho sentito in diretta una parola di quelle pronunciate da Fognini.

Sull’infelicità di quella scelta – il campo 14 – sono abbastanza d’accordo con Fognini: potevano dargli il campo 2 o 3, visto che era testa di serie n.12 e dalla 4 alla 11 erano “saltate” tutte fuorché le prime tre e la 8 Nishikori. Ciò sebbene l’All England Club dovesse tener conto anche delle 5 top-ten del singolare femminile ancora in lizza e – certo che sì – anche del misto Serena Williams/Andy Murray che ha occupato tutte le prime pagine dei giornali inglesi.

Non sono d’accordo invece con chi critica gli organizzatori per aver messo Konta e Evans sul campo n.1… In tutti i Paesi del mondo, anche a Roma, se c’è un giocatore indigeno lo si mette sui campi di maggior affluenza, perché questo pretende il pubblico che paga. Che poi lo spettatore non Brit che avesse acquistato i biglietti del campo n.1 fosse fortemente insoddisfatto, è un altro discorso.

Ho seguito quindi i primi due set di Fabio dall’alto della terrazza che consente di vedere piuttosto bene sia il campo 14, quello di Fognini-Sandgren, sia il 18 di Berrettini-Schwartzman. Ma non consente di sentire cosa si dica in campo. Ho potuto constatare che Sandgren gioca meglio, ma molto meglio, della sua posizione in classifica. Fabio non ha perso da un brocco. Almeno ieri non lo è stato. Magari lo sarà con Querrey domani, in quello che è il primo derby americano in ottavi a Wimbledon dal 2000 a oggi. È un dato che non cito a caso: pensate, dal 1968 al 2000 i derby yankee nel torneo di Wimbledon erano stati 72. Dal 2001 al 2019 non ce n’è stato più uno fino a questo Querrey-Sandgren. Curioso no?

Il modo in cui Sandgren ha vinto il tiebreak del secondo set, recuperando palle impossibili e giocando passanti vincenti da posizioni disperate, mi ha fatto dire più volte “chapeau!”. Ciò anche se magari in altre fasi del match i punti più spettacolari, more solito, li ha fatti spesso Fognini che in quanto a talento puro è secondo a pochi. E tutti lo sanno. Ho ripensato a quel che aveva detto Fabbiano venerdì sera: “Fra quei due ci sono quattro categorie di differenza!”. Ma la testa, la concentrazione, il non dare peso ai cattivi rimbalzi, a un campo che non ti piace o non ti pare all’altezza delle tue qualità e dei tuoi meriti, alla fine pesa quanto e più di una serie di frustate di dritti vincenti.

Quel tiebreak, 14-12 per l’americano fin qui più distintosi per le sue esternazioni politiche – soprattutto nel corso dell’Australian Open 2018 quando si fece conoscere maggiormente – è durato 18 minuti. Fognini ha avuto 4 setpoint se non mi sono confuso (sul 7-6, 8-7, 9-8, 11-10 ma uno solo dei quali sul proprio servizio – sull’8-7 – quando purtroppo ha attaccato debolmente, quasi con paura. È stata l’opportunità più grande. Sandgren spingeva di più, era più coraggioso e secondo me ha meritato di più). Certo è che quel set, dopo che già nel primo Fognini si era lasciato sfuggire più d’un’occasione, ha finito per essere decisivo, nonostante il guizzo d’orgoglio per recuperare da 0-2 a 2 pari nel terzo. Da lassù, dalla terrazza, potevo solo vedere che Fognini lanciava qualche volta la racchetta, che beccava un warning, che continuava a parlare con se stesso e con l’arbitro Ramos che… gli assegnano spesso perché Fabio è un osservato speciale. E Ramos, anche se in occasione di Serena Williams Osaka all’ultimo US Open non fu inappuntabile, è considerato uno dei migliori arbitri in circolazione.

Ma non potevo davvero sentire tutto quel che Fognini diceva in campo. Dall’alto del campo 14 all’inizio del terzo set di Fabio mi sono spostato a vedere Berrettini, nel quale a quel punto confidavo certo di più. E anche Berrettini, suo malgrado, mi ha fatto soffrire. Schwartzman è una sanguisuga. Di rovescio non sbaglia mai e comanda che è un piacere. Tre o quattro rovesci lunghissimi incrociati e poi, zac, un gran bel rovescio bimane lungolinea. Berrettini si è salvato con il servizio, grazie al quale principalmente ha cancellato 13 pallebreak su 15, ma insomma… ha commesso anche 76 errori gratuiti, gran parte dei quali con il dritto “sparafucile“ con il quale cercava insistentemente il punto di potenza, senza però troppo scalfire l’imperturbabile argentino che rimandava di là con grande disinvoltura qualunque cosa, anche se gli fosse arrivato un cassettone.

La cronaca, i tre matchpoint salvati, la conoscete già. Io vi posso solo dire che quando sono risceso giù dalla magnifica terrazza con vista su tutto il Wimbledon compreso fra il centre court e il campo n.1, non sapevo nulla delle bombe di Fognini e neppure delle sue scuse – che mi hanno riferito essere poco convinte – in conferenza stampa. Ho subito una vera processione, però, da parte di colleghi stranieri che mi chiedevano se Fognini non fosse impazzito a dire quelle cose, se si fosse reso conto che era “sotto condizionale” fino a tutto il 2019 (o probation come dicono gli angloamericani) per i fatti di Flushing Meadows 2017 per i quali gli era stata comminata una squalifica per 2 Slam (uno dei quali lo US Open) in conseguenza di quei delicati appellativi rivolti all’arbitro svedese Louise Engzell.

Non sto a riscrivere quanto scritto allora. Chi me lo chiedeva, dell’Equipe, come del Daily Mail, o del Telegraph quasi immancabilmente partiva con la stessa simile premessa: “Si sa che Fognini è fatto così, però… etcetera etcetera”. Tutti bacchettoni? Mmmm. Noi italiani alle Fogninate siamo in fondo più abituati, magari ci stringiamo nelle spalle e ci diciamo: “Ma non è mica cattivo. Gli parte la bambola, non si controlla più… e del resto il primo a patirne le conseguenze è proprio lui. Non fosse stato così, non avesse avuto quella testa, a top-ten ci arrivava a 24 anni, mica a 32”.

Però alla fine, perfino io che ho fama di essere meno indulgente di altri (anche perché non mi cambia la vita, non devo rispondere a un direttore se lui si nega a una mia domanda o a una richiesta di intervista che non faccio anche perché non ritengo che possa dire alcunché di nuovo), finisco per stringermi anch’io nelle spalle come tutti gli altri, come a dire: “Che ci vuoi fare?”. Salvo a sorridere quando sento il collega più… dolce che sottolinea la sua raggiunta maturità, associandola magari al matrimonio con Flavia, alla prima paternità, alla seconda ineunte, alla diversa serenità (forse) procuratagli dal trionfo monegasco.

Ma capisco tuttavia che all’estero non è così. All’estero si è meno indulgenti con chi si comporta in modo maleducato, almeno nel mondo del tennis che conserva una qual certa diversa distinzione da, per esempio, il mondo del calcio. Anche i social del tennis sono infinitamente più soft, più blandi, di quelli del calcio.

A chi mi domanda se io punirei Fognini con l’attuazione della squalifica, ritenendolo responsabile della Major Offence sancita dal regolamento per farla scattare, dico: “Forse no”. Quel che ha detto è certamente più grave di quel che ha detto Serena Williams nel match con Osaka, anche se ha dato del ladro e del bugiardo all’arbitro. Serena meritava una sanzione economica e un provvedimento molto più grossa di quella che prese, sempre all’US Open, quando insultò pesantemente quella giudice di linea (cinese?) cui avrebbe voluto – disse – ficcare la racchetta nella sua ‘fu…..ing throat’.

Dopo aver detto quindi che forse non applicherei la massima sanzione punitiva (i due Slam, tutt’al più uno), aggiungo però che a darmi fastidio è la sensazione che Fognini – e non solo lui, temo, ma anche molti di quelli che gli stanno attorno e lo difendono sempre e comunque – anche nel momento in cui si scusa, non si sente davvero di aver fatto e detto una cosa sbagliata, di aver mancato di sensibilità e – ribadisco quanto scritto a caldo – anche di un minimo di conoscenza, sia del momento storico che viviamo e che vive l’Inghilterra e tutti quei Paesi che sono sotto tiro da parte del terrorismo, sia – in misura certo minore, concordo – di quanto è successo qui a Wimbledon durante la seconda guerra mondiale.

I miei figli, di poco più giovani Fabio e suoi grandi tifosi, possono anche non sapere dei 5 caccia bombardieri tedeschi che sganciarono le bombe sul centre court, ma insomma la vicenda è stata detta, scritta, ricordata, tante di quelle volte, quasi ad ogni Wimbledon, che chi ha giocato questo torneo una quindicina di volte è abbastanza difficile che non l’abbia mai sentita ricordare. Di certo non lo saprà il tennista che gioca i Championships a 20 anni, l’Aliassime canadese del caso, ma io sono sicuro che Djokovic, Nadal, gli over 30, ne sono a conoscenza, anche se non avranno magari letto nessuno dei 100 libri, delle 1000 riviste che ne hanno scritto, pubblicando anche foto.

E allora, premesso che in questo caso il detto “ignorantia legis non excusat”, perché qui non si tratta di aver infranto alcuna legge, salvo quella dell’educazione e del buon senso, una volta che ti informano che hai sbagliato a dire quello che hai detto, sia pure nel calore di un agone sportivo, beh quantomeno dimostrati sinceramente dispiaciuto, cerca di dare la sensazione che hai capito, non ti limitare a scuse di circostanza che possano avere il sapore di un’interessata convenienza a darle, onde evitare la squalifica sotto “condizione”.

Nobody is perfect, tutti si sbaglia. Ma riconoscere di aver sbagliato – nell’intimo – è un passo dovuto. Se io fossi il giudice, insomma, vorrei avere dentro di me la convinzione che lo stesso Fognini per primo, senza per questo autoflagellarsi – nessuno lo pretende sia chiaro! – si fosse quantomeno reso conto di aver detto cose né intelligenti né accettabili. E ammettesse di conseguenza anche con i suoi parenti e amici più stretti, con i suoi tifosi che cercassero di giustificarlo a spada tratta… di rinfoderarla.

Nel rilevare infine che nel torneo maschile sono rimasti in gara 4 delle prime dieci teste di serie e in quello femminile cinque – il che è un’anomalia rispetto a quanto è quasi sempre avvenuto quest’anno quando spesso il rispetto delle gerarchie è andato a farsi benedire – mi corre l’obbligo (così si diceva una volta) di spendere due parole sul match che attende Berrettini sul centre court con il suo idolo Federer.

Matteo Berrettini – Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Augurarsi una bella partita è troppo banale e facile. Credere che lo sarà è un’altra cosa. Sono troppe le incognite. Quanto sarà emozionato dall’esordio, e contro il mito Federer, Matteo? È imprevedibile. Se cercasse di strafare farebbe una brutta fine. Ma anche se se lo lasciasse sfuggire subito, perché un Federer che corre in testa quasi mai lo riprendi. La sola speranza è togliergli qualche sicurezza, sperare che possa innervosirsi se – è un esempio – non riuscisse a leggere con la continuità di uno Schwartzman il servizio di Matteo.

Roger ne ha letti bene di tutti i tipi, ma a 37 anni li legge meno bene di una volta. È normale. Magari gli basta leggere bene un game a set per portare a casa il match e i quarti di finale. Però non ci credo tanto. E anche quelle fucilate di dritto che Matteo ha sparato contro il rovescio bimane potrebbero piegare un po’ il polso di Federer che la racchetta tiene con una mano sola e con giocatori di potenza dirompente tipo del Potro ha anche mostrato di soffrire.

Al contrario, Federer saprà trovare il rovescio di Berretto e con lo slice e la palla che non si alza da terra, magari seguita anche a rete dietro a cross belli stretti, farà certamente gran danni nella difesa di Matteo che per giocare i passanti dovrà piegare le ginocchia fino a sfiorare i fili d’erba. Il passante di rovescio di Matteo non è straordinario e a rete Roger – che penso ci si presenterà spesso – non è Schwartzman. Né come copertura in allungo, né sull’eventuale lob liftato che ha invece dato punti importanti a Matteo con il piccolo argentino. Matteo dovrà soffrire e non innervosirsi troppo se il passante lo tradirà.

Inutile dire a favore di chi giochi l’esperienza, soprattutto nei game iniziali di ciascun set, quando Matteo può essere maggiormente incline a distrarsi. Ma se dovesse arrivare al tiebreak, son quasi certo che il nostro – che non ha davvero nulla da perdere ma gioca giustamente, e lo ha detto chiaro, con l’idea di poter vincere – se la giocherebbe alla pari e una sterlina su almeno un tiebreak vinto la punterei. Potrebbe decidere la percentuale delle sue prime di servizio. E meglio qualche doppio fallo in più nei primi punti di un game piuttosto che farsi attaccare su seconde palle troppe timide.

Dovessi dire chi mi è parso più in forma dei 3 big nella prima settimana, direi Rafa Nadal. Però, come scritto ieri, Djokovic ha un grande vantaggio: quello di non poter perdere, in condizioni normali, fino alla finale. Per Nadal (contro eventualmente Querrey nei quarti e poi Federer in semifinale) e per Federer già con Berrettini lunedì e anche con un Nishikori che si presenterà inconsuetamente freschissimo a questo stadio del torneo, non mi sembra che sia proprio così. Buon tennis a tutti.

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