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I dolori del giovane Carlos: Alcaraz, tre infortuni in cinque mesi sono troppi

I problemi fisici stanno diventando una realtà impossibile da ignorare anche per Alcaraz. Senza modifiche il suo tennis può essere sostenibile?

Last updated: 06/04/2023 18:27
By Andrea Mastronuzzi Published 05/04/2023
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6 Min Read
Carlos Alcaraz - US Open 2022 (foto Twitter @rolandgarros)

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Chi considera Alcaraz il nuovo Nadal ha un nuovo argomento da avanzare a sostegno della sua tesi. In questo caso, però, non si tratta di una qualità positiva emulata dal murciano ma di uno dei difetti di Rafa, forse il limite più importante della sua carriera: la resistenza del fisico, dei muscoli, delle articolazioni, a uno stress continuo e spesso esagerato. I dubbi sul futuro vincente del Nadal teenager stavano quasi tutti lì: ci si domandava quanto avrebbe potuto reggere il suo corpo, per quanto tempo avrebbe tollerato un tennis dai tratti prevalentemente difensivi e battaglie lunghe ore. Rafa ha saputo modificare gradualmente il suo gioco per renderlo più sostenibile e così è riuscito a vincere due Slam a cavallo tra i 35 e i 36 anni. Non si può negare, però, che i problemi fisici lo abbiano tormentato comunque, impedendogli di raggiungere traguardi ancora più leggendari. Ora, mutatis mutandis, incognite e preoccupazioni riguardano anche il suo erede. Tre indizi, infatti, fanno una prova.

  • Indizio numero 1: strappo all’addome durante il 1000 di Bercy e stop di sei settimane (forfait alle ATP Finals e in Davis);
  • Indizio numero 2: lesione muscolare alla coscia destra durante la preparazione alla trasferta australiana e oltre un mese di stop (forfait all’Australian Open e rischio di ricaduta durante la finale di Rio contro Norrie);
  • Indizio numero 3: artrite post-traumatica alla mano sinistra e fastidio muscolare alla colonna vertebrale dopo il Sunshine Double (tempi di recupero non definiti ma assenza dal 1000 di Montecarlo già ufficiale)

Che Alcaraz non giochi come il Nadal 19enne è fin troppo evidente. Non si potrebbero spiegare, altrimenti, i suoi già importanti successi sul cemento (l’anno scorso Miami e US Open – Nadal aveva 22 anni quando vinse il suo primo Slam lontano dall’amata terra parigina – e quest’anno Indian Wells). Il gioco di Carlos è elettrico, esplosivo, in spinta continua, e la propensione a cercare la rete per chiudere il punto non gli manca affatto. L’ipotetica insostenibilità del suo tennis non sta quindi in scambi troppo prolungati, in un continuo destra e sinistra difensivista, ma in ritmi spesso supersonici. Poco più di un mese fa, il suo allenatore Ferrero, non a caso, pronunciava queste parole a Vogue: “Molti giocatori giocano per distruggere, non per costruire. Carlos è fisicamente esplosivo e molto veloce. Non riesco a farlo giocare piano, ma spero sia capace di costruire”.

Ferrero è consapevole che imporre cambiamenti da un giorno all’altro significherebbe snaturare il tennis del suo pupillo con effetti che sarebbero prevedibilmente negativi. Sarebbe sbagliato, però, anche pensare che si possa continuare dritti su questa strada all’infinito, senza alcuna svolta. Sarebbe un errore da un punto di vista tecnico – perché il gioco evolve e perché gli avversari alla lunga possono trovare le contromisure – e da un punto vista fisico-atletico. Gli infortuni stanno infatti diventando una realtà da dover in qualche modo affrontare. Secondo Julien Reboullet de L’Equipe gli ultimi problemi fisici di Carlitos pongono “domande legittime sulla sua resistenza e sulla sua potenziale longevità ai massimi livelli. Gioca troppo? Non sa frenare il suo ardore? Soffre di una fragilità strutturale con cui dovrà fare i conti per i prossimi quindici anni?”.

Qualunque sia il motivo profondo alla base di questa sequela di infortuni, è difficile che si possa prescindere da alcune modifiche allo stile tennistico dell’attuale numero 2 del mondo. Del resto, basta considerare l’ultimo dei tre problemi fisici sopra elencati: è più di una semplice ipotesi, infatti, che l’artrite possa essersi originata dal modo in cui Alcaraz rientrava verso il centro del campo dopo aver risposto ai servizi da sinistra di Sinner durante la semifinale di Miami. Lo faceva spesso appoggiando la mano sinistra a terra per darsi la spinta e ripartire. A rafforzare questa tesi, sostenuta dallo stesso Reboullet su L’Equipe, c’è il fatto che proprio durante il match con Jannik, Carlos abbia richiesto l’intervento del fisioterapista che gli ha trattato il mignolo e il palmo di quella mano. Sebbene non si tratti un aspetto prettamente tecnico, rendere più sostenibile il proprio gioco passa anche da questi dettagli.

C’è poi l’annosa questione della programmazione. Dopo aver saltato la trasferta in Australia, Alcaraz ha disputato quattro tornei nel giro di un mese e mezzo (ed era previsto che giocasse anche ad Acapulco prima del Sunshine Double) per un totale di 20 partite. Uscire illesi da un tour de force simile non è da tutti e, al momento, non da Alcaraz evidentemente. Paolo Bertolucci su La Gazzetta non ha dubbi: “Giocare meno, essere in salute e rendere di più: deve essere questo lo slogan del tennista moderno. Per tutti quelli che prediligono il «corri e tira» è arrivato il momento di riflettere sul da farsi se non vorranno compromettere la carriera”.


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