Tanti auguri Nole! Il regalo arriva a Parigi?

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Tanti auguri Nole! Il regalo arriva a Parigi?

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TENNIS – Novak Djokovic compie 27 anni. Il 2014 sarà l’anno in cui sposerà Jelena Ristic e diventerà papà. Ma potrebbe anche essere quello della definitiva consacrazione nell’Olimpo del tennis. Ripercorriamo la sua carriera attraverso le sue più belle vittorie negli Slam.

 

È un anno cruciale, il 2014, per Novak Djokovic. Qualche settimana fa il serbo ha annunciato su twitter che diventerà padre mentre a settembre 2013 aveva scritto, sempre sul suo profilo twitter, che il 2014 sarebbe stato l’anno del matrimonio con Jelena Ristic. È quindi un anno importantissimo dal punto di vista privato per il campione serbo, pronto a diventare marito e padre. Ma potrebbe anche essere anche l’anno giusto per completare il Carrer Grand Slam, quello che Novak rincorre dal 2012 e che Rafael Nadal gli ha già impedito due volte.
In occasione del suo compleanno, abbiamo scelto di festeggiare il campione serbo con le sue più belle vittorie nei Major. Sono, finora, 160 le vittorie negli Slam e molte di queste sarebbero meritevoli di stare nella lista. Le abbiamo dovuto ridurre a sei, una per anno a partire dal 2007 (2009 escluso, che probabilmente fu il peggiore anno di Djokovic negli Slam).

 

 

[3] N. Djokovic b. R. Stepanek 6-7(4) 7-6(5) 5-7 7-5 7-6(2), US Open 2007, secondo turno

Il 2007 è l’anno in cui Djokovic di fare sul serio. Vince i primi Master 1000 (a Miami e a Montreal) e negli Slam raggiunge le prime semifinali, perdendole entrambe contro Rafael Nadal. Agli US Open arriva finalmente la prima finale. In semifinale Nole piega in tre set David Ferrer, che gli aveva fatto il favore di eliminare Nadal nel turno precedente. Ma è un Djokovic che sul cemento sta facendo vedere tutto il suo valore e contro quel Nadal si sarebbe probabilmente preso la rivincita delle sconfitte subite a Parigi e Londra. La vittoria più bella e significativa arriva però al secondo turno. Djokovic e Radek Stepanek danno vita ad uno dei confronti di stili più spettacolari che il tennis moderno ricordi. La partita dura quattro ore e quarantaquattro minuti, ci sono di mezzo tre tie-break (uno al quinto set) e un numero impressionante di scambi spettacolari. Difficile pensare a due stili di gioco che si incastrano alla perfezione come quelli del serbo e del ceco. Il risultato è un match magnifico: nessuno dei due perde il servizio nei primi due set, poi Stepanek trova il break nel terzo set e Djokovic scarica tutto il nervosismo scagliando la racchetta a terra. Nel quarto Radek va avanti di un break e pare che la sorpresa stia per arrivare: invece Djokovic, che chiama il trainer in campo ben quattro volte a causa dei crampi, recupera il break e poi si esibisce in un balletto dopo aver recuperato un drop-shot di Stepanek. Si arriva al tie-break del quinto set. “È una lotteria” dirà Stepanek, “e io non non avevo il biglietto giusto“. Ce l’ha invece Djokovic, che prima di giocarsi il primo dei quattro match point fa rimbalzare la pallina 24 volte. Stremato, si butta a terra. E da mattatore innato qual è, si rivolge al pubblico del Louis Armstrong: “È stato indimenticabile. Spero che vi sia piaciuto“.

 

[3] N. Djokovic b. [1] R. Federer 7-5 6-3 7-6(5), Australian Open 2008, semifinale

La prima vittoria negli Slam non arriva sul cemento di New York, ma su quello di Melbourne, dove Djokovic si prende la rivincita contro il suo giustiziere nella finale degli US Open. Roger Federer si deve inchinare al serbo, che arriverà in finale senza aver ceduto un set e che contro Tsonga si laurea per la prima volta campione Slam. Federer non perdeva in tre set dal 2001 ma contro quel Djokovic c’era ben poco da fare. Il serbo ha due palle break, poi lascia scappare Federer che serve sul 5-3. Il ritorno di Nole è pauroso: vince quattro game di fila e mantiene intonso il conteggio dei set nel torneo. L’ultimo a strappargliene uno a Melbourne è stato dodici mesi prima proprio lo svizzero, che viene ripagato con la stessa moneta: nel secondo Djokovic va avanti 5-1, si fa recuperare un break ma chiude con l’ace. Nel terzo è il tie-break a decidere. Federer va avanti 3-1 ma Nole, che interrompe una striscia di dieci finali consecutive di RF (la più lunga della storia), recupera e piazza il sorpasso sul 5-5.

 

[3] N. Djokovic b. R. Federer 5-7 6-1 5-7 6-2 7-5, US Open 2010, semifinale

Il 2010 è un anno in cui Djokovic non ha combinato granché. Ai quarti del Roland Garros ha perso un match da Melzer che conduceva per due set a zero, a Wimbledon spreca la grossa chance di arrivare per la prima volta in finale nello Slam londinese mentre agli amati Australian Open ha perso ai quarti contro Tsonga. Il riscatto è affidato al cemento americano. Djokovic mette ancora i bastoni tra le ruote a Federer e gli impedisce di raggiungere la settima finale a Flushig Meadows in una finale a dir poco rocambolesca. Lo svizzero è chirurgico nel vincere primo e terzo set ma lascia andare con troppa leggerezza il secondo e il quarto, probabilmente volendo risparmiare le energie per la finale con Rafael Nadal. A giocarsi il titolo ci va invece Djokovic, che sul 5-4 annulla due match point e alla prima occasione effettua il sorpasso decisivo. In finale arriverà la seconda sconfitta in due finali newyorkesi ma le basi per scardinare la più grande rivalità degli ultimi anni sono ormai state gettate.

 

[1] N. Djokovic b. [2] R. Nadal 6-2 6-4 6-7(3) 6-1, US Open 2011, finale

Per l’anno dei record, quello delle quarantadue (o quarantaquattro, se consideriamo le due in Coppa Davis di fine 2010, forse il clic decisivo per un anno indimenticabile) vittorie consecutive, dei tre quarti di Slam e del numero 1 del mondo conquistato a Wimbledon potremmo addirittura scegliere una sua sconfitta, tanto è stato alto il livello di Djokovic durante l’anno. Verrebbe in mente, quindi, la spettacolare semifinale del Roland Garros dove Djokovic e Federer alzano il livello in una maniera irripetibile. Ma per non fare un torto al festeggiato, scegliamo la dimostrazione di potenza fatta dal serbo a Flushing Meadows, dove diventa il sesto giocatore a vincere tre Slam su quattro in una sola stagione e l’ottavo a mettere a segno la doppietta Wimbledon-US Open. Sembra che non ci sia storia per due set e Nadal pare velocemente avviato alla sesta sconfitta in altrettante finali giocate quell’anno contro la sua bestia nera. Sarà effettivamente così ma Nadal non cede mai senza mollare. Vince il tie-break del terzo set di pura classe e puro orgoglio e alla fine deve cedere stremato nell’ultimo set. Sintetizzava così Ubaldo Scanagatta: “La differenza, come dicevo sopra, è che Djokovic gioca più sciolto, meno di forza, e può chiudere il punto tanto con il dritto (più spesso) che con il rovescio, mentre Nadal lo fa spesso di dritto e quasi mai di rovescio“.

 

[1] N. Djokovic b. [2] R. Nadal 5-7 6-4 6-2 6-7(5) 7-5, Australian Open 2012, finale

Non poteva che essere la finale dei record l’highlight del 2012 di Djokovic, che a Melbourne conferma il titolo e pare avviato ad un altro anno da dominatore. In realtà Nadal dimostrerà che le gerarchie stanno cambiando e la battaglia durata cinque ore e cinquantatré minuti è un segnale. Il numero uno e due del mondo se le suonano per quasi sei ore, sono costretti a sedersi durante la premiazione e danno vita ad uno dei match più intensi che la storia degli Slam ricordi. Come agli US Open pare che Djokovic possa vincere il match senza troppi patemi invece Nadal, che ha vinto il primo set di un soffio, annulla tre palle break sul 4-3 del quarto set e nel tie-break infila quattro punti consecutivi e la porta al quinto. Ed è proprio il maiorchino a partire meglio dai blocchi: sale 4-2, Rafa, ma sul 30-15 sbaglia un rigore a porta vuota e Novak non perdona. Controbreak del numero 1 del mondo e finale ri-aperta. L’ultimo game è il solito concentrato di emozioni ma il dritto di Djokovic chiude i conti: è campione a Melbourne per la terza volta.

 

[1] N. Djokovic b. [15] S. Wawrinka 1-6 7-5 6-4 6-7(5) 12-10, Australian Open 2013, ottavi di finale

È una partita di una qualità davvero difficile da descrivere e ci abbiamo provato in vari modi. Ad aumentare l’epicità della partita più bella del 2013 è il fatto che l’avversario di Djokovic non è uno dei Fab Four, ma uno svizzero col complesso di inferiorità, Stanislas Wawrinka. Stan gioca un tennis celestiale per almeno un’ora. Si porta a casa il primo set per 6-1 e vola 5-3 30-0 nel secondo. Il numero 1 del mondo, però, ha una capacità di restare aggrappato al match davvero rara, strappa il servizio e rimonta fino al 7-5. Sotto due set a uno, sul 5-4 del quarto set Stan deve farsi massaggiare la coscia destra. Sembra finita. Invece lo svizzero si arrampica fino al tie-break e allunga la partita al quinto set. Sarà un quinto set da sogno, all’insegna dell’equilibrio totale. Wawrinka ha quattro pesantissime palle break nel nono game ma Djokovic le annulla tutte. C’è di mezzo anche un challenge non chiamato su una risposta sulla riga. Wawrinka, in lacrime a fine match, non recrimina: “È stato un gran match. Se giochi per 5 ore hai delle occasioni e non è una chiamata sbagliata o un challenge che possono cambiare il risultato”. La partita dell’anno si chiude al ventiduesimo game. Il numero 1 del mondo si procura due match point ma una prima di servizio a 200 all’ora e l’ennesimo, magnifico rovescio lungolinea li annullano entrambi. Djokovic se ne procura un terzo, quello buono. È uno scambio mozzafiato, con Wawrinka che disegna almeno due traiettorie imprendibili per chiunque. Non per Djokovic, che alla fine col passante di rovescio si guadagna una sudatissima qualificazione ai quarti, viatico per il quarto titolo australiano. È il suo ultimo trionfo Slam in ordine di tempo: a Parigi Novak contra di interrompere il digiuno nel migliore dei modi.

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Flash

Hantuchova: “Alcaraz di un altro pianeta, attacca come Federer e difende come Nadal”. Cervara: “È il Tyson del tennis”

Tra l’urgenza di paragoni sempre più arditi e statistiche strambe, la sintesi di Roger e Rafa, al secolo Carlos Alcaraz, non ha la risposta di Djokovic, di più: “Lui è la risposta”. Ma a quale domanda?

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Carlos Alcaraz - Indian Wells 2023 (foto Ubitennis)

Il problema fondamentale è rappresentato da quei tre – Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – e da quell’entità divoratrice di tutto a cui hanno dato vita nota come Big 3. Avercene di problemi del genere, si potrebbe obiettare, solo limitandosi a pensare a quanto hanno fatto per il tennis, aumentandone straordinariamente la popolarità.

Anche non considerando le generazioni di tennisti che prima tecnicamente, poi anche mentalmente, si sono ritrovate quasi senza possibilità di iscrivere il proprio nome sui trofei più importanti (quelli Slam, il cui peso è ancor più aumentato soprattutto nella considerazione dei tifosi proprio per “colpa” loro), pare che ormai nessuno possa tentare di emergere senza che “sì, ma alla sua età Roger serviva meglio, Nole aveva già vinto uno Slam mangiando pizze e Rafa non ne parliamo”.

Insomma, il problema è che quei tre non solo ti senti obbligato a citarli in ogni articolo (arrendendoti agli anacoluti), ma li devi battere sul campo, nei record di precocità, superare in classifica e spesso neanche questo basta perché l’avventato e inopportuno sfidante avrà senza dubbio avuto dalla sua una quantità industriale di circostanze favorevoli. E, come se non bastasse la pressione derivante dall’essere definito il nuovo Nadal/Djokovic/Federer a causa della disperata ricerca di un nuovo campione, allo stesso tempo lo sventurato in questione si sentirà dire con altrettanta veemenza che non vale metà della peggior versione di uno di quei tre. L’importante è che si facciano paragoni, poi tutto è permesso.

 

Tuttavia, c’è anche chi impara dai propri errori: in Spagna dicevano Munar el nuevo Rafa, dopo di che hanno imparato e quindi, quando Carlos Alcaraz (che entri, finalmente) aveva iniziato a farsi notare, c’era chi lo descriveva come il nuovo Roger. Così va molto meglio, bravi. Arriva però Daniela Hantuchova al alzare l’asticella. Al quotidiano francese l’Équipe, Daniela ha detto che “Carlos viene da un altro pianeta. Ha tutto. Mi sembra che abbia l’aggressività di Roger e la difesa di Rafa. Con la sua velocità e il modo di muoversi, riesce a giocare colpi che non credevamo possibili”.

L’ormai ex Carlitos (nel senso che è cresciuto, che adesso è Carlos o Charlie), avendo ancora un mese e mezzo da passare come teenager, non può evitare che, oltre ai paragoni, gli si cuciano addosso statistiche di precocità anche bizzarre, per esempio quella che lo nomina come più giovane realizzatore della tripletta IW, Miami, Flushing Meadows, impresa peraltro compiuta prima di lui dai soli Sampras, Federer, Djokovic e Agassi. Fantastico. Non è chiarissimo l’accostamento del Double allo US Open, però bello.

Di poco bizzarro c’è la sua vittoria a Indian Wells, dove colui che lo ha messo più in difficoltà è stato Jannik Sinner. Anche Griekspoor, restando aggrappato al proprio servizio, lo aveva trascinato al tie-break nel primo set, ma l’azzurro è riuscito a recuperare il break piazzando un parziale di 11 punti consecutivi e sembrava in grado di effettuare il sorpasso definitivo, anche perché il classe 2003 aveva perso confidenza con i colpi. Con la grafica in sovrimpressione che ratificava l’evidente differenza tra i dritti dei due contendenti (valutazione di 9,1 contro 6,4 a favore di Sinner), Alcaraz ha affrontato il set point contro dopo aver sbagliato proprio due dritti e pure comodi, annullandolo grazie alla smorzata di… dritto. Anche altri avrebbero forse provato il drop shot, probabilmente più alla ricerca di un timoroso asilo conseguente a quegli errori, ma non è il caso di Carlos che padroneggia quella soluzione, fa parte del suo vasto repertorio. Pur rifuggendo (invero senza difficoltà) la tentazione di suggerire chi alla sua età già possedeva un ampio baglio tecnico, resta il fatto che lo spagnolo è riuscito a vincere anche quel primo parziale e, alla fine, il suo percorso nel deserto è rimasto immacolato. Chi era stato l’ultimo a trionafre senza cedere set? Federer nel 2017, anche approfittando di un walkover. Per trovare chi aveva centrato quel risultato disputando almeno sei match, bisogna tornare indietro fino a Nadal nel 2007.

C’è per fortuna chi rimane fuori dal coro. È Gilles Cervara, l’allenatore di Daniil Medvedev, che lascia da parte i mostri sacri, ma solo quelli del tennis. “Alcaraz è il Tyson del tennis” ha… tracimato all’Équipe. “In alcuni momenti è capace di tirare dei ‘diretti’ con la racchetta. Ci sono stati colpi che hanno lasciato Daniil a dieci metri dalla palla, colpiti con potenza e velocità folli”

Difficile dire quanto ci abbia messo Medvedev del suo, ma nelle statistiche relative alla finale appare un numero enorme a dispetto di ciò che rappresenta: 0, come in “zero ace”. Pare che l’insieme “servizi neanche sfiorati dall’avversario” di Daniil non rimanesse privo di elementi dalla sfida contro Gilles Simon a Marsiglia nel febbraio 2020. Dopo una decina di giorni, (non solo) il Tour si sarebbe fermato – così, per dire. Di sicuro c’è che, in ventitré confronti, mai il Big 3 è riuscito in tale impresa contro Daniil, che ha chiuso così il contatore con un turno di anticipo, sfoderando contro Tiafoe l’ace numero 3.299 della carriera.

A proposito di contatori, durante la trasferta californiana Alcaraz ha messo a segno e superato la vittoria ATP numero 100, con un saldo positivo su tutte le superfici: 47-12 sulla terra battuta, 53-18 sul duro e – mettiamoci anche quella nonostante l’abbia appena respirata – 4-2 sull’erba. Con meno di due stagioni complete alle spalle sul Tour, vanta un bilancio indoor di 16-6 (mai aveva giocato al coperto a livello Challenger e ITF), mentre all’aperto si bea di un eloquente 88-26: se tutti sanno giocare bene a tennis in condizioni asettiche, Carlos dimostra con i numeri (oltre che con la finale del BNP Paribas Open) di saper gestire meglio di diversi colleghi il vento e le altre condizioni che si presentano nella maggior parte degli eventi del circuito. Ci affidiamo alla versione spagnola del sito atptour.com per aggiungere che, fra i tennisti in attività con almeno 20 incontri giocati, oltre al nostro protagonista solo in tre hanno un bilancio positivo contro avversari top 10. Ricorrendo a una finta preterizione, diciamo che non c’è bisogno di fare nomi: Djokovic, Nadal, Murray.

Carlos non ha (tecnicamente ancora) vinto il Sunshine Double, ma il trofeo di Indian Wells e quello di Miami sono già nel suo palmares. E – notizia inaspettata? – è il primo a vincerli entrambi da teenager. Per quanto riguarda specificatamente il titolo appena conquistato, è il secondo più giovane dell’albo d’oro, preceduto da Boris Becker. E, proprio quando si faceva ingenua strada l’illusione di poter completare un paragrafo senza essere costretti a evocare il mostro tricefalo, Alcaraz è il secondo teenager a vincere più di due Masters 1000. Il primo è stato…

… Rafa Nadal.

Non possiamo però non tornare a Daniela Hantuchova, che può continuare a lanciarsi nelle più spericolate iperboli, tanto ci aveva già convinti al “ciao”. L’ex numero 5 del mondo ha pochi dubbi su Carlos: “Porta il tennis a un altro livello, il che è pazzesco da vedere. Poco tempo fa, tutti di domandavano cosa sarebbe successo in futuro dopo Federer, Nadal e Djokovic. Credo che lui sia la risposta. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.

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ATP

Fratelli & Sorelle del tennis: non solo Berrettini. Da McEnroe a Williams, passando per Safin e… Monfils

Mentre ad Acapulco Matteo avanza e Jacopo si è fatto valere, riviviamo le parentele di maggior successo. Tra fratelli ritirati o troppo indietro in classifica come i Djokovic o gli Tsitsipas, in ATP ora comanda la famiglia Cerundolo, mentre in WTA…

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Jacopo e Matteo Berrettini (foto via Twitter @AbiertoTelcel e @AustralianOpen)

Ci aveva provato quattro volte, ma era sempre stato eliminato al primo turno del tabellone cadetto. Ad Acapulco, finalmente, Jacopo Berrettini ha superato le qualificazioni battendo i ben più quotati Blancaneaux (n. 155) e Darderi (n. 184). A quel punto, la wild card ricevuta era già ampiamente onorata, ma Jacopo non si è certo accontentato e ha battuto anche Oscar Otte, complice un ginocchio tedesco, mettendo così a segno la sua prima vittoria ne Tour al primo tentativo. In singolare, perché in doppio con il fratello Matteo (qui subito battuti), aveva già preso parte all’ATP di Cagliari nel 2021, dove hanno raggiunto le semifinali, e all’ATP di Firenze l’anno scorso con sconfitta all’esordio. Il best ranking di Jacopo, n. 388, risale all’estate 2019, mentre ora la classifica lo vede alla posizione 842, che in ogni caso migliorerà di parecchio lunedì prossimo, assestandosi attorno al 475° posto dopo la sconfitta contro de Minaur.

Matteo e Jacopo Berrettini – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Di due anni e mezzo più giovane di Matteo, il classe 1998 romano è al momento decisamente lontano dalle vette raggiunte dal fratello, ma la sua impresa in Messico ci offre lo spunto per una carrellata (inevitabilmente non esaustiva) su fratelli e sorelle del tennis, campioni o meno che siano (stati) o saranno. Jacopo e Matteo, anch’egli vittorioso all’esordio, sono però stati sconfitti in doppio e dunque, almeno per quest’anno, non aggiungeranno nell’albo d’oro di Acapulco i propri nomi a quelli dei Bryan, degli Zverev e degli Skupski.

Top Bros: i fratelli migliori

Francisco Cerundolo – Bastad 2022 (Twitter @NordeaOpen)

 

Juan Manuel Cerundolo – Cordoba 2021 (Foto Twitter @CordobaOpen)

Tra i tennisti in attività, Francisco (classe 1998) e Juan Manuel Cerundolo (2001) sono quelli che attualmente vantano il miglior ranking combinato, rispettivamente numero 32 (best n. 24) e 108 (79). Dei due di Buenos Aires, Fran è quello che tira e Juanma quello che rema; non a caso, la classifica di quest’ultimo è nettamente migliorata da quando ha deciso di rinunciare alla racchetta usata dal fratello per passare a un modello che perdona di più. Per quanto riguarda i testa a testa ufficiali, al Challenger di Campinas nel 2021 vinse Fran in due set ma, se entrambi vantano un titolo ATP, il primo a metterlo in bacheca è stato il più giovane. Come duo, hanno preso parte solo a eventi dei circuiti minori.

Alexander e Mischa Zverev – ATP Montpellier 2017 (foto via Twitter, @OpenSuddeFrance)

Mischa Zverev – Montecarlo 2018 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

Alexander Zverev – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Se gli argentini sono i migliori in questo periodo, Alexander (classe 1997) e Mischa Zverev (1987) vincono a mani basse quando si prendono in considerazione i best ranking. Il fratellone, ora sprofondato dalle parti del 1500° posto, è stato n. 25 nel 2017, mentre Sascha ha occupato la seconda piazza. Due titoli vinti in coppia. Il più giovane ha vinto l’unica sfida a livello ATP, vendicando le due sconfitte “minori”, tra cui quella nelle qualificazioni del Challenger di Dallas 2 addirittura nel 2012. In quell’occasione texana, Mischa gli rifilò un 6-0 6-1. Un game lasciato al fratellino ancora quattordicenne, bravo.

Elias Ymer – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Mikael Ymer – Davis Cup Finals Madrid 2021 (Photo by Mateo Villalba / Quality Sport Images / Kosmos Tennis)

Il classe 1998 Mikael Ymer, n. 59, ha perso le due sfide con il maggiore di due anni Elias (n. 170, best 105), ma pare ormai avviato verso una carriera più fortunata. In coppia hanno preso parte a una decina di eventi, ma non sono mai riusciti a replicare il successo del 2016 con il titolo ATP di Stoccolma. C’è anche un fratello del 2007, attivo nel circuito junior e dal nome promettente che compare come coach nell’apposito spazio della pagina ATP di Elias. Vedremo se Rafael saprà superare i fratelli.

Stefanos Tsitsipas – ATP Finals, Torino 2022 (Credits Photo Giampiero Sposito:FIT)

Stefanos Tstisipas e Petros Tsitsipas – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Stefanos Tsitsipas dà il suo abbondante contributo alla classifica di fratellanza, ma il n. 3 del mondo non è aiutato da Petros, n. 1396 (best 727). Una sola partecipazione nel Tour (con netta sconfitta) per il classe 2000, grazie alla wild card di due anni fa a Marsiglia nella classica situazione win-win e ancora win: Stef si specchia nei generosi panni del fratello maggiore, il torneo ottiene la partecipazione di chi altrimenti non potrebbe permettersi, Petros gioca con i grandi. Insomma, vincono tutti. Magari non sul campo: Petros racimola due game con Davidovich Fokina e perde il doppio con il fratello che in singolare viene battuto al secondo incontro. Una ventina di apparizioni in doppio per i due, tra cui quattro nei Major con la ciliegina di un secondo turno. Stef ha anche un altro fratello, il diciassettenne Pavlos, e una sorella, la quattordicenne Elisavet (Tsitsipa), ancora impegnati nel circuito junior dell’ITF.

A pagina 2 – Sono sempre i peggiori ad andarsene

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evidenza

L’ultimo match di Sania Mirza, la regina del tennis indiano che ha superato pregiudizi e convenzioni

Dopo 6 Slam e 43 titoli conquistati, l’ex numero uno del mondo in doppio ha concluso la sua carriera al fianco di Madison Keys a Dubai

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Dopo essere andata vicina ad arricchire la sua collezione di titoli dello Slam poche settimane fa a Melbourne, Sania Mirza ha disputato l’ultimo incontro ufficiale della sua carriera. Lo ha fatto a Dubai che per lei è diventata casa da più di dieci anni e dove ha fondato due accademie di tennis, alle quali ne va aggiunta un’altra aperta nella sua terra natìa a Hyderabad. Qui ha iniziato a prendere confidenza con la racchetta all’età di 6 anni, dopo aver visto i cuginetti divertirsi sui campi da tennis durante una vacanza di famiglia negli Stati Uniti. A casa in India, invece, i campi per giocare erano una rarità assoluta e Sania ha raccontato che la superficie su cui ha mosso i primi passi non era nessuna di quelle su cui si giocano i tornei internazionali: niente terra, niente erba e nemmeno cemento, ma sterco di vacca. Da lì è partito il viaggio di una bambina che, vincendo e rompendo schemi consolidati, è diventata l’indiscussa regina del tennis indiano.

In quanto donne, nella società indiana ci viene data una lista di cose che possiamo e non possiamo fare. Nessuno pensa a incoraggiarci e sostenere i nostri sogni”. Quando Sania ha partecipato ai primi tornei della sua vita, il tennis non era certo uno sport sconosciuto in India. Il movimento maschile aveva già una buona tradizione alle spalle grazie ai Krishnan (padre e figlio) e ai fratelli Amritraj. Di lì a poco sarebbero poi venuti fuori anche altri giocatori importanti come Bhupathi e Paes. Mancava, in ogni caso, un sistema in grado di accompagnare in modo sistematico i giovani e, soprattutto, per le donne un percorso simile non era nemmeno lontanamente ipotizzato. Sania, però, ha potuto contare sull’appoggio dei genitori e in particolare sull’esperienza di papà Imran, editore di una rivista sportiva e giocatore di cricket. Solo così il suo talento è potuto sbocciare in un contesto se non ostile, di sicuro impreparato.

Ad 8 anni Sania fece suo un torneo statale battendo in finale un’avversaria che aveva il doppio della sua età. Indubbiamente, il livello in patria non poteva essere paragonabile a quello che avrebbe incontrato in campo internazionale. Ma Sania si dimostrò in grado anche di fare il grande salto: nel 2003, a 18 anni, vinse il torneo di doppio junior a Wimbledon e fu questo il presupposto per un’ascesa rapidissima. Nel 2005 disputò a Melbourne il suo primo torneo dello Slam tra le grandi: era la prima donna indiana a farlo e arrivò fino al terzo turno, dove fu battuta da Serena Williams. Nello stesso anno, poi, raggiunse gli ottavi allo US Open. Questo è rimasto il suo risultato migliore nei major in singolare (il best ranking, risalente al 2007 è invece il numero 27), anche perché decise di dedicarsi sempre di più al doppio (fino a farlo a tempo pieno dal 2013), ricavandone grandissime soddisfazioni.

 

Ha infatti conquistato 6 titoli dello Slam, di cui tre in misto, e un totale di 43 tornei nella specialità. Questi traguardi l’hanno portata al primo posto della classifica riservata alle doppiste e nel novero delle migliori interpreti della storia della disciplina. Il suo marchio di fabbrica è sempre stato un dritto potentissimo, unito però all’eleganza dei movimenti e dei colpi al volo. Proprio per questo motivo, la coppia che ha formato insieme a Martina Hingis tra il 2015 e il 2016 (vincendo tre Slam e 14 tornei in totale) è stata una delle più forti e piacevoli da guardare di sempre.

Come ha spiegato lei stessa in uno speciale che Wimbledon le ha dedicato lo scorso anno, però, Sania sentirebbe di aver completato il suo percorso non tanto per le vittorie ma se ci fosse “anche solo una persona che è stata ispirata dalla mia storia”. Parte integrante di questa storia è anche la maternità nel 2018. L’ex numero uno del mondo in doppio ha raccontato che fino a quando non è diventata madre, le chiedevano continuamente quando lo avrebbe fatto: “C’erano giornalisti che mi facevano questa domanda nella conferenza stampa dopo una vittoria Slam, con il trofeo appoggiato sul tavolo. Sembrava che non potessi essere una donna completa fino a quando non fossi diventata madre, a prescindere dai risultati sul campo”. Dopo aver partorito Izhaan, Sania è tornata a giocare anche per dimostrare che famiglia e carriera non si devono escludere a vicenda e quindi, ancora una volta, per ispirare altre donne.

Critiche e minacce non sono ovviamente mancate nella sua carriera e vita privata da donna libera e pronta a tutto per realizzare i suoi obiettivi. Nel 2005 fu oggetto di una fatwa emessa da un gruppo di teorici musulmani che consideravano il suo abbigliamento in campo contrario ai precetti islamici. Nel 2010, invece, fu molto chiacchierato in India il suo matrimonio con il giocatore di cricket pakistano Shoaib Malik. Il partito nazionalista indù di destra, il BJP, chiese a Mirza di “riconsiderare” la sua decisione di sposare un pachistano, mentre nel Paese del marito in molti celebravano queste nozze come una sorta di conquista del Pakistan ai danni dell’India. In realtà era solo un altro momento della vita di Sania in cui le sue personali priorità hanno prevalso sulle convenzioni culturali e sociali. E’ questa l’eredità che ci lascia, all’interno di una cornice fatta di successi tennistici, passanti di dritto e volée vincenti.

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