Us Open, 30 agosto 2010, conferenza stampa di Francesca Schiavone.
Domanda: “Francesca, perché pensi che la gente sia attratta da te? Per il tuo gioco, perché prendi tanti rischi?”
Risposta: “La gente è attratta da me perché sono bella”.
A volte i giornalisti chiedono cose un po’ scontate, e se chi è interpellato è capace di uscire dal solito tran-tran, e magari è dotato di senso dell’ironia (e dell’autoironia) allora arriva in risposta il colpo fulminante.
Poi ci pensa una agenzia a tramandare la situazione, trascrivendo ed archiviando il tutto ad imperitura memoria.
Provo a ricostruire il momento. Quella Schiavone stava vivendo un periodo speciale: a trent’anni aveva appena vinto (inizio giugno) un Roland Garros sorprendente e inatteso, e aveva in questo modo dato una svolta definitiva alla sua carriera. Non sarebbe più stata una figura di contorno del mondo del tennis ma, scrivendo il suo nome nell’albo d’oro di uno Slam, si era assicurata uno status completamente differente.
Non era più solo la giocatrice divertente, ma con la poco invidiabile nomea di perdente nel momento decisivo (fino al 2007 aveva un record di 8 finali perse su 8); tutto si era trasformato.
Le era occorsa qualche settimana (con l’eliminazione al primo turno a Wimbledon) per adattarsi alla nuova situazione, in cui era chiaro che l’interesse nei suoi confronti era molto cresciuto e, come abbiamo visto, anche i giornalisti meno esperti volevano approfondirne le ragioni. Francesca a New York era andata convinta di poter dimostrare che l’impresa francese non era stata frutto del caso e che il suo tennis era davvero speciale.
E qualche giorno dopo ne diede dimostrazione con un altro colpo fulminante, questa volta in campo, contro Alona Bondarenko.
Dopo quello scambio, capace di infiammare il campo secondo me più caldo e coinvolgente di tutto il circuito (il Grandstand di Flushing Meadows), la povera Bondarenko non sarebbe più stata capace di vincere un game, subendo un parziale di sette punti a zero, che le sarebbe costato il break decisivo e la partita.
In quello Slam Francesca sarebbe poi riuscita ad arrivare fino ai quarti di finale (fermata dalla potenza di Venus Williams in una serata ventosissima) ma soprattutto con quel torneo avrebbe dato inizio ad un periodo di ottimi risultati, a mio avviso non meno importante delle due settimane straordinarie che le avevano consentito di vincere a Parigi nella primavera precedente.
Con il tennis esibito tra l’estate 2010 e il 2011, e con i conseguenti grandi obiettivi raggiunti (tra cui la prima partecipazione di una donna italiana al Masters ad otto di fine anno e il quarto posto come best ranking), Schiavone riuscì a dimostrare che la vittoria del Roland Garros non era stata il frutto di due settimane irripetibili e fortunate, giocate senza particolari aspettative partendo dalla testa di serie numero 17.
Solo una giocatrice di livello superiore, infatti, sarebbe stata capace di ripetersi l’anno successivo, raggiungendo nuovamente la finale del Roland Garros da testa di serie numero cinque, con tutta l’attenzione dei media (e delle avversarie) rivolta nei suoi confronti e quindi con ben altra pressione da reggere.
Ecco, quando pensiamo alla carriera di Schiavone credo non si debba mai dimenticare questo aspetto: non solo è stata capace di vincere Parigi, ma da campionessa in carica è stata in grado di ripresentarsi in finale.
Teniamo presente alcune delle giocatrici battute nel torneo del 2010: Li Na (tds 11), Kirilenko (30), Wozniacki (3), Dementieva (5) e Stosur (7).
Se questo elenco non è sufficiente per convincere i più scettici, aggiungiamo le sei vittorie messe in fila nel 2011 (per un totale di 13 consecutive) prima di perdere solo in finale da Li Na.
Impossibile che questo sia frutto soltanto del caso o della fortuna.
Quel biennio in cui ha raggiunto i risultati più importanti è stato il coronamento di una vita sportiva molto lunga, in cui il salto di qualità è stata così ritardato da non avere quasi precedenti e da risultare, comprensibilmente, ormai inatteso.
Del resto nel 2010 Schiavone era una giocatrice che frequentava il circuito da più di dieci anni, e dieci anni nello sport sono quasi un’era geologica. Cito qualche dato per dimostrare che non esagero.
Francesca entra per la prima volta tra le prime cento del mondo l’11 settembre 2000, quando ha appena compiuto vent’anni. Queste sono le prime venti giocatrici di quella classifica:
Le Italiane che in quel ranking le fanno compagnia tra le prime 100 sono Garbin, Farina, Grande e Casoni.
Leggendo i nomi di vertice, si può dire che in quel momento il tennis femminile stesse attraversando una fase di transizione, in cui il nuovo gioco delle sorelle Williams, fondato su una maggiore potenza, ancora conviveva con quello ereditato dalla generazione precedente, basato su un tennis meno violento, e probabilmente più tecnico e più ricco di varianti geometriche e tattiche.
Ma nel giro di pochi anni saper colpire più forte sarebbe diventato indispensabile, e anche le nuove giocatrici giovani dotate di grande tecnica, come Mauresmo ed Henin, avrebbero dovuto dimostrare di poter reggere il palleggio molto pesante del nuovo millennio; perché di solo tocco, precisione e piazzamento (tutte doti che a loro non mancavano) non sarebbe più stato possibile vincere.
Per certi aspetti anche Schiavone testimonia con il suo gioco alcuni retaggi di quel periodo di transizione. Lo dico perché, secondo me, quello che a lei è mancato per poter stare sistematicamente tra le migliori è innanzitutto una maggiore dose di potenza nei colpi di inizio gioco; a partire dalla capacità in risposta nel gestire i servizi più veloci e poter quindi costruire il palleggio successivo ad armi pari.
Con il passare degli anni, e con il ritiro delle giocatrici che si sono formate nel secolo scorso, il gioco di Francesca è diventato sempre più raro, sino a diventare quasi unico. Caratteristiche prima abbastanza diffuse, sono diventate eccezionali: su tutte il rovescio ad una mano, ma non solo.
Va sottolineato un dato che testimonia inequivocabilmente questa evoluzione: lo Slam vinto a Parigi da Schiavone nel 2010 è l’ultimo conquistato in campo femminile da una tennista che esegue il rovescio ad una mano. E considerato il campo delle giocatrici attuali, a meno che non vinca Carla Suarez Navarro, questo potrebbe diventare un dato quasi irripetibile e forse definitivo.
Ma ridurre il tennis di Francesca alla sola specificità del rovescio “monomane” sarebbe davvero farle torto e, in sostanza, una dimostrazione di incompetenza. Lo dico perché in realtà il suo bagaglio tecnico è particolarmente vasto e contiene tantissimi colpi.
A partire da un servizio non potentissimo ma che sa eseguire sia piatto che lavorato (slice o kick) per passare ad un dritto in top molto carico e dalla caratteristica preparazione particolarmente ampia, sino ad un rovescio che può essere sia coperto che slice. E senza dimenticare le palle corte, di dritto come di rovescio.
Direi che la principale caratteristica del gioco da fondo di Schiavone è l’alternanza di spin che propone all’avversaria: i colpi in top spin del dritto (dal rimbalzo molto alto) contrapposti alle differenti soluzioni del rovescio. Tutte queste variazioni possono confondere le giocatrici meno esperte, poco abituate a fronteggiare un tennis così articolato.
Poi c’è tutta la varietà di soluzioni nei pressi della rete che nel suo caso non sono estemporanee o fortunose, ma consapevoli e controllate: demivolèe; volèe (spinte, piazzate o stoppate); smash, veroniche, colpi di approccio e colpi in avanzamento, oltre agli “schiaffi” tanto diffusi nel gioco contemporaneo.
In questa area di gioco, Francesca sa fare veramente tutto; forse il suo colpo meno affidabile è la volèe alta di dritto: in diverse occasioni le ho visto perdere la misura a causa dell’eccesso di “entusiasmo”. Una specie di energia quasi incontrollabile che è un connotato del suo carattere in campo.
Questa atteggiamento carico di voglia, nei giorni migliori finisce per esaltarla e farle trovare soluzioni vincenti davvero speciali; mentre nelle giornate negative può trasformarsi in testardaggine, tanto da spingerla a tentare e ritentare proprio i colpi che non le riescono; e in quei casi la partita diventa più una sfida con se stessa che con l’avversaria.
Sul piano tattico secondo me la sua vera specificità deriva dalla capacità superiore di colpire di volo correndo in avanti, con tutte le conseguenze che questo determina.
La prima dimostrazione della sua abilità di volleare in avanzamento la si ricava da un aspetto quasi banale: Schiavone in doppio è rimasta una delle poche che può permettersi di servire e scendere a rete, perché è in grado di fare serve&volley, e in questo modo di spostare subito in avanti l’intero baricentro della coppia.
Oggi questa soluzione nel doppio femminile è quasi scomparsa; di solito chi batte rimane a fondo campo dando il più delle volte il via a scambi al rimbalzo sulla diagonale.
Ma è nel singolare che questa dote sempre più rara si esprime in pieno; e credo che nel suo periodo migliore Schiavone fosse riuscita a trovare un senso del tempo del tutto particolare, che le consentiva di avanzare per chiudere il punto di volo senza lasciare replica alle avversarie.
E’ un vero peccato che su Internet si trovi pochissimo dei suoi due migliori Roland Garros, ma cercherò di ovviare con una partita dello stesso periodo (Masters 2010).
Eccola contro Wozniacki mostrare quanto possa essere vasto il suo repertorio nel chiudere gli scambi avanzando: di dritto
http://www.youtube.com/watch?v=MVUesXlUJ6g&feature=player_detailpage#t=18
di rovescio
http://www.youtube.com/watch?v=MVUesXlUJ6g&feature=player_detailpage#t=134
con lo smash
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=MVUesXlUJ6g#t=308
in demivolèe
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=MVUesXlUJ6g#t=434
O con una combinazione veronica + volèe di rovescio
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=MVUesXlUJ6g#t=498
Potrebbero sembrare classici attacchi in controtempo, ma a mio avviso c’è una sottile differenza: l’attacco in controtempo normalmente è una soluzione in cui il giocatore punta sul fattore sorpresa per cogliere impreparato l’avversario; che però, se riesce ad intuirlo, può cercare di attuare delle contromisure.
In quasi tutti questi casi invece, la discesa avviene ancora un istante dopo, quando Schiavone ha la certezza che l’avversaria in difficoltà non potrà più cambiare il colpo.
Questo ulteriore, leggero ritardo, implica una conseguenza: giocare di volo da posizioni poco ortodosse, spesso prima della linea del servizio. Per riuscire a farlo occorre una tecnica davvero notevole.
E’ una questione di costi/benefici: scendendo così tardi si ha la certezza di poter gestire una parabola non troppo incisiva, perché giocata da una avversaria in difficoltà che pensa solo al contenimento; d’altra parte, però, si deve colpire molto più lontano dalla rete rispetto ai classici canoni del gioco di volo.
Chi oggi è in grado di proporre soluzioni di questo genere oltre a Schiavone? Risposta semplice: nessuna.
Purtroppo nelle partite degli ultimissimi anni Francesca sembra aver perso quell’istinto e quel senso del tempo quasi miracolosi che le consentivano di trovare tanti punti importanti con questa soluzione di gioco.
E’ stato il marchio di fabbrica del suo periodo di maggior successo, poi il suo gioco si è un po’ normalizzato.
Forse per riuscire a praticarlo con frequenza non occorre soltanto molta tecnica (quella certo non si perde col tempo); occorrono anche grande freschezza atletica e mentale, unita ad una notevole fiducia nei propri mezzi.
Un insieme di condizioni difficili da ottenere e che sono tipiche dei momenti migliori di una carriera, quelli che fanno vincere le grandi partite e che attraggono in modo speciale la gente.
Ecco, tenendo presenti queste caratteristiche forse possiamo avere la risposta alla domanda iniziale del giornalista newyorkese:
“Francesca, perché pensi che la gente sia attratta da te?”.