Serena regina di New York. E' il suo 18 Slam. E partita la rïvoluzione? Nishikori e Cilic, una nuova vecchia storia (Martucci), E’ la finale della rivoluzione (Zanni), La strana finale è nelle mani di lvanisevic(Valesio), La potenza di Cilic. La resistenza di Nishikori: New York sceglie il suo re (Semeraro)

Rassegna stampa

Serena regina di New York. E’ il suo 18 Slam. E partita la rïvoluzione? Nishikori e Cilic, una nuova vecchia storia (Martucci), E’ la finale della rivoluzione (Zanni), La strana finale è nelle mani di lvanisevic(Valesio), La potenza di Cilic. La resistenza di Nishikori: New York sceglie il suo re (Semeraro)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

 

Serena regina di New York. E’ il suo 18 Slam

 

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 8.09.2014

 

Caroline Wozniacki ha resistito fisicamente ed è uscita a testa alta dalla seconda finale Slam agli Us Open, ma così come volevano il pronostico e i bookmakers che offrivano la sua vittoria a 4.50 contro 1’1.20 della favorita, Serena Williams si è dimostrata ancora una volta la più forte di tutte, imponendosi per 6-3 6-3 in un’ora e 15′ e conquistando il terzo titolo consecutivo sull’amato cemento di casa, a Flushing Meadows, il sesto in totale, che la porta a quota 18 Slam come le mitiche Martina Navratilova e Chris Evert (e a 63 titoli totali). Con la pioniera del sindacato giocatrici, Billie Jean King che scommette: «E’ ancora forte e ha il miglior servizio di tutte, penso che possa superare Hellen Wills a 19, ed arrivare anche ai 22 Slam di Steffi Graf. Non so se ce la farà a prendere anche i 24 di Margareth Court. Ma se sta lontana dagli infortuni può anche farcela». Equilibrio 11 primo set fra le due amiche è molto in equilibrio, perché molto in tensione, con 5 break consecutivi, finché, sul 4-2, la numero 1 del mondo non allunga fino al 6-3 con 15 vincenti contro uno appena della 11. E, in scia, piazza anche il break decisivo, che mantiene, senza scossoni. Felice con la sua mise leopardata che la identifica nel modo migliore come la più forte e feroce della foresta del tennis donne. Di sempre. Delusione doppia Deboli , sempre più deboli, Flavia Pennetta e Martina Hingis si sono invece arenate, sabato, a un passo dall’impresa, quand’erano in vantaggio di un set e un break nella finale di doppio donne. Pian pianino la coppia russa, Makarova-Vesnina, ha preso il sopravvento, ha sradicato di forza i balletti delle due veterane, ha soffocato tutti tentativi di tornare a galla nel terzo set, ed alla fine ha avuto la meglio per 2-6 6-3 6-2 dopo una battaglia di due ore. Flavia ha provato più della compagna una grande sensazione di frustrazione, dopo il break a zero del 3-2 del secondo set, quando la coppia italo-elvetica ha subito un parziale di sei games e il 6-3 2-0 che ha rovesciato la partita. Non riuscendo a compensare da sola le debolezze, sia pur ben note, della Hingis: «Lei, si sa, non ha la nostra forza, ha altre qualità».

 

E partita la rïvoluzione? Nishikori e Cilic, una nuova vecchia storia

 

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 8.09.2014

 

Non fidatevi delle apparenze, scrutate oltre i numeri, nomi e sembianze: oggi, la finale più inattesa degli Us Open, fra il numero 11 e il 16 del mondo, un giapponese sempre mezzo scassato che rimbalza in campo come una molla, forte di anticipo e velocità, e il lungagnone croato ripescato dall’anonimato e da uno scivolone doping che spara servizi e dritti al fulmicotone, non vede davvero di fronte i meno noti Kei Nishikori e Marin Cilic, come leggete nei risultati. In realtà i due miracoli di Flushing Meadows, il primo asiatico in finale in uno Slam che ha infilato tre «top ten» uno dietro l’altro (Raonic, Wawrinka e Djokovic) e l’ex ragazzone senz’anima che ha schiantato Berdych e Federer, non somigliano, ma sono proprio la proiezione di due protagonisti di 20 anni fa, e, da ragazzi incompresi, rivivono le imprese dei coach-strateghi, Michael Chang e Goran Ivanisevic. Missione «Non è un caso, i migliori allenatori sono gli ex campioni, anch’io mi ero avvantaggiato dei consigli di Tony Roche», sentenzia Ivan Lendl, il primo restauratore di talenti incrostati, che ha portato Andy Murray a riscrivere la storia del tennis britannico (e domani, forse, rilancerà il connazionale ceco, Tomas Berdych). A differenza sua, Chang e Ivanisevic si sono fermati al numero 2 del mondo, campioni di un unico Slam, peraltro miracoloso, proprio come questo degli allievi: Michelino, al Roland Garros ’89, a 17 anni, aprendosi la strada con la mitologica rimonta contro Lendl e poi con la leggendaria finale con Edberg (ancora in 5 set), Goran «il selvaggio» o »il pazzo» —«Meglio: “diverso”, i pazzi sono in manicomio» — a Wimbledon 2001, da wild card, con la spalla da operare, superando con la forza del destino Roddick, Rusedski, Safin, Henman e Rafter. Insomma, Chang e Ivanisevic sono in missione per riscattare sé stessi, l’uno in nome dell’Asia di cui è l’ambasciatore, per via dei genitori di Taiwan (anche se è cresciuto alla scuola del «corri e tira» di Bollettieri, in Florida, come Nishikori), l’altro per la sua piccola-grande Croazia, terra di atleti alti e potenti, passionali ma spesso discontinui. Fisico «Non sono così sorpreso della vittoria su Djokovic, sono in evoluzione», spara Nishikori, dopo la prima semifinale Slam, ricordando Madrid dove aveva battuto Rafa sulla sua terra prima di bloccarsi la schiena. «Ho fessa commosso Cilic, alla seconda semifinale Slam dopo Melbourne 2010. «Kei doveva sentirsi a posto fisicamente, si è fermato più volte in carriera, fino a pochi giorni prima era in forse agli Open, per la cisti al piede che gli avevano tolto», racconta Davide Bottini, primo assistente, argentino, di Nishikori. «Anch’io ho dovuto trovare il sistema per neutralizzare la potenza di quelli alti e grossi, e ho sviluppato altre armi, rinforzando il fisico. Così, ho detto a Kei di provarci, di vedere come andavano i primi match, com’era successo a me e a Pete (Sampras, ndr), e gli ho continuato a ripetere di non accontentarsi, di guardare al futuro», rivela lo stratega Chang. Coraggio «Conosco Marin dai 14 anni, mi è stato presentato dal coach che abbiamo avuto in comune, Bob Brett, e gli ho sempre detto che doveva giocare diverso, spingere, attaccare, rischiare, usare le sue armi, con coraggio. E solo per questo ho accettato di allenarlo, per aiutarlo anche col servizio…..

 

 

E’ la finale della rivoluzione

 

Roberto Zanni, il corriere dello sport del 8.09.2014

 

Ci sono voluti nove anni e sette mesi: dal 30 gennaio 2005, quando Marat Safin vinse l’Australian Open battendo Lleyton Hewitt, si è dovuto aspettare fino a oggi, per la finale degli US Open, all’Arthur Ashe Stadium quando in campo entreranno Kei Nishikori e Marin Cilic. In mezzo sono passati 38 Slam durante i quali, in finale, almeno uno dei “Big Three” c’è sempre stato: Roger Federer, Novak Djokovic o Rafa Nadal. Non ci saranno, oggi: lo svizzero e il serbo clamorosamente e nettamente battuti in semifinale, lo spagnolo a casa, infortunato. Trentotto Slam durante i quali poi solo Juan Martin Del Potro (US Open 2009), Andy Murray (US Open 2012 e Wimbledon 2013) e Stanislas Wawrinka (Australian Open 2014) sono riusciti a spezzare il dominio dei tre grandissimi. Ê la fine di un’era? La domanda corre veloce come un servizio di Cilic o una corsa da un lato all’altro del cam- Roger e Novak rendono onore ai loro “giustizieri” «Hanno giocato meglio di noi» po di Nishikori. Per avere una risposta ci vorrà del tempo, ma i dubbi si insinuano: Federer, nonostante il gran ritorno ha 33 anni, Djokovic, con il matrimonio e l’avvicinarsi del giorno in cui diventerà padre, ha già detto che il tennis non è più la sua priorità numero 1, e Nadal, a causa degli infortuni può diventare una incognita (se non lo è già). Non si deve poi dimenticare che Murray, per un po’ ha contribuito a creare nel tennis i “Fab 4”: perso Lendl, ha smarrito la strada del successo. SOL LEVANTE Ecco allora Kei Nishikori, primo asiatico all time: ha tenuto sveglio il Giappone per la semifinale storica con Djokovic e, anche per l’enorme mercato che ha alle spalle, ha le caratteristiche per trasformarsi in personaggio, vincente e nel segno dei dollari. Nishikori aveva 15 anni ed era già in Florida quando Safin vinceva in Australia, Marin Cilic invece in quei giorni stava giapponese cerca un alto._ posto nella storia, il croato punta a emulare il coach Ivanisevic già pensando al debutto tra i pro; ma di li a poco avrebbe vinto il titolo dei “Boys” al Roland Garros. «Ha giocato meglio di me in queste condizioni -ha detto Djokovic parlando dell’avversario dopo il ko – il mio gioco non 6 stato nemmeno vicino a quello che volevo fare. Tanti errori non forzati e palle corta Non ero io». E Federer? «Molto semplice – ecco la spiegazione dello svizzero dopo aver perso i tre set – penso che Marin abbia giocato in maniera fantastica. Forse io non ho incontrato il mio giorno migliore». Le teste di serie 1 e 2 dell’US Open, Djokovic e Federer, che escono dal torneo per mano della 10 e della 14, Nishikori e Cilic: numeri che non entusiasmano New York, che già doveva fare i conti con l’assenza di statunitensi di primo livello. Ma per ridare interesse a una finale sulla quale nessuno avrebbe scommesso un dollaro si punta anche su chi non gioca: ecco allora l’altra sfida, Michael Chang e Go- ran Ivanisevic, i due coach, del giapponese e del croato. I loro precedenti? La carriera l’hanno chiusa con l’americano in vantaggio 6-5, ma in uno Slam (vinto uno a testa, Roland – Garros e Wimbledon) non si erano mai incontrati. PRIMA VOLTA. Ma sarà ovviamente una prima volta che comincerà dal campo (alle 23 ora italiana): Nishikori, in vantaggio 5-2 nei confronti diretti ‘e Cilic (per trovare un altro croato in finale di Slam si deve andare al 2001, Wimbledon, quando vinse proprio Ivanisevic) non erano mai arrivati prima d’ora così lontano. «Penso che sarà una giornata straordinaria per tutti e due, estremamente felice di essere arrivato alla mia prima finale di Slam», ha sottolineato Cilic. «Sono il primo asiatico a raggiungere la finale, spero di fare ancora storia vincendo», ha aggiunto Nishikori.

 

 

La strana finale è nelle mani di lvanisevic

 

Piero Valesio, tuttosport del 8.092.14

 

E’ o non è la finale più anomala che si sarebbe potuta aspettare? Kei Nishikori contro Marin Cilic, Giappone contro Croazia, Chang contro lvanisevic. Difficile a dirsi. Certo è una finale totalmente inaspettata. Perchè non si tratta solo di un match contro due che fino all’altro ieri erano promesse, se non proprio non mantenute, almeno in attesa di esplosione: in questo caso siamo di fronte ad un cambio generazionale vero e proprio. Un cambio atteso e da molti temuto. Perché un conto è avere in campo (e davanti alle telecamere) Federer e Djokovic; oppure Wawrinka contro Nadal anche se è lo svizzero numero 1 l’unico in grado di far sobbalzare le rilevazioni d’ascolto. Altra cosa è avere una finale dell’ultimo Slam dell’anno con Cilic contro Nishikori: due che tra l’altro, pur con indubbi meriti, non brillano per creatività tennistica nè per straordinario spessore personale. Eppure i cambi generazionali quando arrivano sono così, un po’ come la vita: fantasiosi il giusto e rivolti verso direzioni non pronosticabili fino a poche ore prima. Per dire: quando,anno domini 1989, Michael Chang (ora coach di Nishikori) si svelò agli occhi del mondo sulla terra di Parigi aveva tutto per diventare subito un personaggio. Piccolo e tignoso, divoratore di banane ai cambi campo, fece coincidere la sua ascesa verso l’alto battendo in una partita indimenticabile che chi ama il tennis ricorda, il suo opposto: Ivan Lendl. A-emotivo, alto, sprezzante. Lui, piccolo e preda dei crampi, abbattè il grande ceco alla stregua di una statua bronzea di Saddam: dannandosi l’anima su ogni angolo, superando i crampi, servendo da sotto. Da quel momento Chang divenne personaggio e gli organizzatori di Parigi avrebbero pagato perchè fosse lui a vincere il torneo,come poi, di fatto avvenne. La finale in cui poi batte Edberg era attesa dagli appassionati come acqua nel deserto. Nulla a che vedere dunque con il match di stasera. Un altro esempio potrebbe essere la finale di Wimbledon ’96. Quando ad affrontarsi furono Richard Kraijcek e MaliVai Washington. Colandese divenne testa di serie quasi a sua insaputa visto che entrò in tabellone con tale qualifica solo per il repentino forfeit di Muster. Washington non era testa di serie, manco per caso. Nishikori era testa di serie numoero dieci e Cilic 14: dunque non certo dei carneadi. Ma per bene accogliere il loro confronto bisogna interpretarlo per l’appunto così: come un cambio di pagina. Per vincere Kei dovrà emulare il Chang che umiliò Lendl: e Cilic ripercorrere la via che portò il suo maestro Ivanisevic (la cui mano sul suo gioco si vede, e tanto) a conquistare i Championships quando i più lo davano per un ex.

 

La potenza di Cilic. La resistenza di Nishikori: New York sceglie il suo re

 

Stefano Semeraro, la stampa del 8.09.2014

 

Marin Cilic contro Kei Nishikori, un croato e un giapponese nella forale degli Us Open, il fatto è inedito (e anche un po’ shoccante). Era dalla finale degli Australian Open 2005, SafinHewitt, che nessuno dei «Fab Four» – Federer, Nadal, Djokovic, Murray – riusciva a mettere i piedi in una finale dello Slam, e addirittura dal Roland Garros 2002 – Albert Costa-Ferrero – che all’ultimo match non presenziava un top-10. Cambio epocale? Tramonto degli dei? Forse si, visto che Federer è anzianotto, Djokovic distratto dal matrimonio, Nadal infortunato e anche Murray non si sente troppo bene. Ma la rivoluzione non ha l’aspetto di una marea, piuttosto di un movimento tettonico. La vittoria di Wawrinka agli Australian Open ha dato la scossa, poi fra Parigi e Wimbledon lo sciame delle novità si è disperso: Raonic e Dimitrov non hanno provocato the «Big One» e sono tornati saldi Nadal, Djokovic e Federer. Agli Us Open l’evento tellurico l’hanno creato Marin Cilic e (0)Kei Nishikori, n.11 Atp, 24enne giapponese trapiantato negli Usa cresciuto grazie ai soldi della Sony e che in patria è già una celebrity strapagata. Ha liquidato tre top-10, è il primo asiatico ad entrare in una finale di Slam. «Alla fine ho retto meglio di Nola il caldo? Si vede che ero troppo forte…», ha risposto. «Che Nishikori arrivasse me lo aspettavo da quando l’ho incontrato la prima volta a 17anni», ha esalato malinconico Federer dopo essersi fatto rincitrullire per tre set dai servizi a 230 all’ora di Marin Cilic nell’altra semifinale. «Cilic invece…». Ecco, Marin Clic campione palindromo e fino a ieri interrotto. Nato a Medjugorje 25 anni fa, n.16 Atp, nel 2010 aveva fatto bang agli Australian Open, semifinale e al n.9 Atp, poi si era smarrito fra troppi centimetri e poche certezze. «Mi ero messo pressione da solo – dice dall’alto del suo 1 e 98 – oggi sono più calmo, più solido. Poi la vittoria di Wawrinka a Melbourne ha sbloccato tanti di noi». L’anno scorso è incappato in un fattaccio di doping (involontario secondo lui) che gli è costato 4 mesi di stop e molte polemiche per come fu gestito dall’Itf (si ritirò a Wimbledon già sapendo della positività che però fu annunciata molto più tardi) ma tutti, Fe-derer compreso, giurano sulla sua buona fede. Marin è l’ultimo di una lunga serie di «born in Croatia»: Pilic, Franulovic, Ivanisevic, Ancic, Ljubicic. «Ma anche se era alto come loro», sostiene il suo coach Goran Ivanisevic, «non riusciva a servire come doveva. Insieme abbiamo lavorato sulla prima palla e sulla efficacia della seconda». Risultato: la prima finale Us Open per un croato, dove la coppia Cilic-Ivanisevic affronterà Nishikori-Chang in un gustoso duello Ovest-Est fra due maestri e i loro quasi-cloni. I precedenti dicono 5-2 per Kei, ma il pronostico è aperto. E la faglia in movimento. Prepariamoci ad altri terremoti (e tsunami) tennistici.

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