La Navratilova diventa coach allenerà la Radwanska (Mancuso), Parola a Sara: “vado a rete anche quando guido” (Piccardi)

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La Navratilova diventa coach allenerà la Radwanska (Mancuso), Parola a Sara: “vado a rete anche quando guido” (Piccardi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

La Navratilova diventa coach allenerà la Radwanska

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 15.12.2014

 

Se ti chiami Martina Navratilova e hai vinto 167 titoli in singolare e 177 in doppio, non c’è crisi che tenga. Lo scorso agosto la 58enne ex n.1 nata a Praga, si era autocandidata: «Mi piacerebbe allenare. Non ho ancora avuto la chiamata giusta, amo entrare nei minimi dettagli del tennis e sono sicura che prima o poi accadrà». Detto, fatto: la fatidica chiamata è arrivata da Agnieszka Radwanska, 25enne polacca che da diverse stagioni è tra le primi 5 giocatrici del mondo, ma che non riesce a scalare il gradino della definitiva consacrazione. Del resto la moda degli ex n.! che si riciclano come coach dei “big” era già lanciata: da Stefan Ed-berg mentore di Roger Federer a Boris Becker nello staff dell’attuale number one Novak Djokovic, da Lendl, apristrada al fianco di Andy Murray nell’anno del trionfo dello scozzese a Wimbledon (il 2013) ad Amelie Mauresmo, che proprio di Ivan ha preso il posto. Senza dimenticare altri ex campioni come Goran Ivanisevic e Michael Chang, rispettivamente coach di Marin Cilic e Kei Nishikori, vincitore e finalista degli ultimi US Open. Ci ha provato anche Jimmy Connors, ma con scarsa fortuna: ha allenato per un anno e mezzo il connazionale Andy Roddick, poi nel 2013 è stato licenziato dopo appena un mese da Maria Sharapova. ANCORA IN PISTA Ora nella mischia è entrata la Navratilova, che probabilmente nell’immaginario collettivo era vista ancora come una giocatrice per la sua leggendaria longevità. Ha vinto fino a 50 anni, quindi tante esibizioni e una carriera di stimata opinionista dall’alto del suo talento irripetibile e di un carisma capace di oscurare chiunque. Spesso ha puntato il dito contro le amazzoni del circuito capaci solo di picchiare la pallina. Non a caso nel 2010, anno del trionfo della Schiavone al Roland Garros, fu la più entusiasta nell’applaudire il tennis spettacolare e di tocco della milanese, tanto da organizzare una festa in onore di Francesca nel suo appartamento parigino. Le sue sono sempre state scelte coraggiose, contro corrente. Nel 1975 vinse la Federa-tion Cup con l’allora Cecoslovacchia, poi fuggì negli Stati Uniti e non tornò più in patria: voleva essere libera, non accettava gli obblighi imposti agli atleti della cortina di ferro. Un passo difficile, così come la decisione di dichiarare il proprio orientamento sessuale (fu tra le prime a farlo) parlando apertamente di amore gay e diventando un simbolo per i movimenti omosessuali. Sembrava incredibile che nessuno l’avesse contattata. Probabilmente alla Radwanska non devono essere sfuggite un paio di frasi di Martina: «Credo che le mie conoscenze tattiche e strategiche potrebbero aiutare una top-player in cerca di un piccolo dettaglio che può fare la differenza tra vittoria e sconfitta. Ad esempio, un rovescio in slice o una volée smorzata». PETE DICE NO Le stesse parole le ha pronunciate di recente un altro ex n.1, Andre Agassi: «Potrei dare il mio contributo come allenatore perché ho passato molto tempo a imparare e studiare il tennis». L’unico ex n.! immune dalla “coach mania”, è Pete Sampras. «Non fa per me – ha detto il 43enne americano – me lo hanno già chiesto, ma riprendere a viaggiare non mi interessa. Becker e Edberg sono un po’ più anziani, i loro figli sono già grandi. Sono felice di trascorrere più tempo possibile a casa con la famiglia». Fino a quando?

 

Parola a Sara: “vado a rete anche quando guido”

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera motori del 15.12.2014

 

 

Sestini Se guardati con gli occhi celesti come il cielo della Romagna di Sara Errani, anche gli infortuni hanno il loro lato positivo. Un banale raffreddamento beccato in Cina a settembre è diventato pertosse (Come i bambini!.), con complicazioni varie: una comparsata in doppio con l’amica Roberta Vinci al Master di Singapore, due stiramenti, un edema, le cartilagini delle costole allungate, dolori lancinanti, dosi da cavallo di antibiotici. «Non ho toccato la racchetta per un mese». Ride: «1 miei genitori erano euforici: sono tornata a casa, a Massa Lombarda, per curarmi. Quando mai, sennò, gli capita di vedermi così a lungo…?». Corroborata dai leggendari passatelli di mamma Fulvia, prima di tomare in campo e nel circuito (debutto stagionale il 5 gennaio 2015 a Auckland, Nuova Zelanda), Sara ha fatto qualcosa di (per lei) inedito: «Ho guidato un sacco la mia Kia, le terapie, un po’ di shopping, il cinema con mio fratello Davide, la spesa con i miei. Mi capita di rado: ai tornei ci sono le auto di servizio e i taxi; a Valencia, dove mi alleno, di solito è il coach Pablo Lozano a passarmi a prendere». Mettersi al volante, con la chiavetta zeppa di musica infilata nell’entrata Usb della Soul («Purtroppo ho ascoltato la musica di mio fratello, e sottolineo purtroppo! Il computer con i miei mp3 era rimasto a Valencia…»), l’ha riportata indietro nel tempo. Romagna, fine anni Novanta. Sara Errani è una bimbetta vivace, con il braccio veloce e le gambe di caucciù. A scarrozzarla, in auto, per tornei giovanili, mentre Davide imbocca la strada del calcio, sono Fulvia e Giorgio: «Papa faceva i salti mortali per ritagliarsi tempo dal lavoro a testimonianza del fatto che è stato il primo a credere in me». Faenza, Forlì, la riviera Adriatica. Ma anche l’Europa. Padre e figlia on the road diventa una piacevole abitudine, e un modo per trascorrere intere giornate insieme. Soli. «Ho ricordi bellissimi di quel periodo — ricorda Saretta mandando lampi dallo sguardo come quando inquadra, nel mirino della sua racchetta, Serena Williams Un anno abbiamo guidato fino in Danimarca. Un altro da Annecy, in Francia, attraversammo la Manica per andare a Eastbourne, in Inghilterra, dove partecipammo a un torneo misto padri e figli. Abbiamo perso in finale!». Di quell’avventura rimangono i filmini in Superotto che a Natale, puntualmente, Giorgio tira fuori dalla soffitta soffiando via nuvole di polvere. «Fu, quello, il viaggio con papà più mitico: era strano andare via con lui per due settimane intere e ci divertimmo moltissimo». La vita da globetrotter, e da superprofessionista del tennis, che ha portato Sara al numero 5 del ranking Wta (maggio 2013), in finale al Roland Garros (2012) e agli Internazionali d’Italia (2014), e in cima al mondo in doppio con la Vinci («Chiudere il Grande Slam della carriera conquistando Wimbledon quest’anno è stata una soddisfazione fuori dal normale e un’esperienza parresca: il boom mediatico, l’incontro con Matteo Renzi a Palazzo Chigi, le felicitazioni, l’impressione di aver davvero compiuto un’impresa storica… Se ci ripenso ho ancora la pelle d’oca»), l’ha allontanata dal nido di famiglia. Uscita di casa prestissimo — a 12 anni era già in Florida, all’Accademia del tennis di Nick Bollettieri —, Saretta ha curiosamente preso la patente tardi. «Tre o quattro anni fa, in Spagna, a Valencia, dove ho la mia base per gli allenamenti. Ci avevo già provato in Italia, ma mi fermavo sempre troppo poco per completare le guide e studiare per l’esame». Izquierda, derecha. Adelante Sara, ma con juicio. «Sin troppo — se la ride lei —. A Valencia ho passato la pratica al primo colpo però con la teoria, la prima volta, mi han fregato. Erano permessi quattro errori e io ne ho fatti sei. Il problema erano i termini tecnici in spagnolo: un vero delirio. Ma al secondo tentativo ce l’ho fatta. II prossimo obiettivo è portare la Kia in Spagna, e guidarla anche là». L’unico mezzo incidente che ha avuto in automobile è, per fortuna, molto più da ridere che da piangere. «Io e Lozano, il mio coach, stavamo raggiungendo il campo da tennis attraverso una stradina secondaria. Al volante c’era lui. Siccome il giorno prima Alonso aveva vinto il Mondiale di Formula Uno con la Renault, Pablo era eccitatissimo. Guarda, faccio Fernando! mi dice. E così, giusto per fare un po’ il gradasso, comincia a sgasare e scalare e sgommare finché, alla folle velocità di dieci all’ora, ci siamo infilati di muso dentro un fosso… In retromarcia non c’era verso di uscire. Abbiamo dovuto aspettare che passasse un furgoncino e pregare l’autista che ci tirasse fuori con una corda». È successo solo perché c’era dell’infido ghiaino per terra, provb a giustificarsi Pablo. «Macché ghiaino!» si sbellica, ancora oggi, la sua pupilla made in Italy. Di vacanze in auto, oggi, non se ne parla. «L’ultima volta che siamo andati al mare tutti insieme, io, mio fratello e i miei, abbiamo scelto le Maldive». Ma gli Errani quando Sara e Davide erano bambini spesso s’imbarcavano su un pullmino di famiglia: «E allora via, con zü e cugini, in Sardegna». Ecco perché, in una stagione scandita dai voli aerei e dalle trasferte in tutti e cinque i continenti (il primo Slam dell’anno è in Australia, poi la terra battuta e l’erba in Europa, il gran finale sul veloce a New York, più tutto il resto, Federation Cup inclusa), mettersi al volante di un’automobile esercita su Sara l’effetto della macchina del tempo. Più suggestivo di un rintocco del campanile di Wimbledon. Con il nuovo anno alle porte, Sara Errani (oggi numero 14 in singolare e 1 in doppio) sa che confermarsi al top sarà durissimo. «lavoro tanto per cercare di compensare le mie lacune, a partire da quei 164 centimetri d’altezza: non esattamente una Watussa! Non ho obiettivi di classifica: l’importante è che io dia sempre il massimo di me stessa, per uscire dal campo senza rimpianti. Non ho colpi facili: mi devo sudare tutto. Cercherò di ripetermi a Roma e Parigi. E di restare in salute». A Massa rimangono posteggiati i passatelli di mamma e l’automobile di papà. Dolcezza e famigliarità. Per Sara, casa. *** Kia Soul «SPALLE LARGHE» E SPAZIO A VOLONTÀ PER LA COREANA CHIC CHE VUOLE STUPIRE La stessa aria squadrata, la stesse spalle larghe, la stessa finestratura avvolgente. È sempre lei: la seconda generazione della Ka Soul è cresciuta nelle misure in modo quasi inawertibile, ma abbastanza per dare un po’ di più spazio a passeggeri e bagagli (la capacità di carico, dice il costruttore, è aumentata del 4 per cento). La lunghezza ora è di 414 cm e la larghezza di 180, mentre il passo sale a 257 cm. Altre migliorie riguardano la riduzione della rumorosità interna: -3 decibel. Con il pianale ereditato dalla Cee’d, inoltre, è aumentata la.rigidità della scocca ( 29 per cento), che insieme alla ritaratura delle sospensioni migliora il comportamento su strada. Evoluzione anche nei motori (1.6 a benzina, gasolio e Gpl con potenze comprese tra 128 e 132 cv e cambio manuale a 6 marce o automatico) e ampliamento della dotazione tecnica, con l’apertura delle porte keyless, il pulsante di avviamento, i cerchi da 18″, il touch screen da 8″ abbinato al navigatore (e 7 anni di aggiornamento mappe inclusi), l’Infinity Sound System, il tetto panoramico in cristallo e il Bluetooth con vivavoce e audio streaming montato di serie come le luci diurne e posteriori a Led, il volante in pelle, il cruise control e i retrovisori a comando elettrico, riscaldabili contro brina e ghiaccio, la connessione Usb, Aux e iPod. Quanto alla sicurezza, l’auto monta di serie air bag anteriori frontali e laterali, di tipo a tendina anteriori e posteriori, oltre al controllo di stabilità e trazione. Fedele al suo stile eccentrico, la Soul consente di giocare con i colori. La scelta varia tra 7 tinte esterne, 4 versioni bicolori e una scelta di personalizzazioni per il tetto, tutto abbinato alla finestratura posteriore oscurata .che aggiunge un tocco glamour. Come tutti i modelli Kia anche la Soul ha 7 anni di garanzia e copertura tino a 150 mila km. Prezzi compresi tra 18.500 e 21.000 euro….

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