Martina Navratilova aggiunge moglie e allenatrice al suo elenco di titoli

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Martina Navratilova aggiunge moglie e allenatrice al suo elenco di titoli

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È stato un dicembre importante per Martina Navratilova. A cinquantotto anni, si è sposata per la prima volta con Julia Lemigova. Per la prima volta è anche diventata allenatrice, accettando di entrare nel team della polacca Agnieszka Radwanska,  tennista dal grande bagaglio tecnicoche non ha ancora vinto uno Slam

 

Nella sua rivoluzionaria carriera, Martina Navratilova di Slam ne ha  vinti cinquantanove (di cui diciotto in singolare), l’ultimo dei quali è arrivato agli US Open del 2005 grazie al doppio misto giocato con Bob Bryan. Adesso Martina entra a far parte di un gruppo, sempre più folto, di ex giocatori che allenano i top player.

 

Si tratta di una posizione part-time per Martina, che vuole limitare i viaggi a causa degli impegni familiari, tra cui l’essere madre adottiva per le due figlie di Lemigova. Navratilova, che vive a Miami, ha detto di aver accettato di lavorare con Agnieszka Radwanska fino a Wimbledon, e che affiancherà il suo coach a tempo pieno, Tomasz Wiktorowski.

 

Martina ha parlato con noi mentre era in viaggio verso Sydney, dove ha raggiunto Agnieszka Radwanska per la preparazione degli Australian Open, che prenderanno il via lunedì a Melbourne.

 

In passato hai detto che saresti stata disposta ad allenare se si fosse presentata l’occasione.  Radwanska era tra le giocatrici che pensavi di poter aiutare?

Ho pensato a un po’ di giocatrici, e lei era sicuramente tra queste perché possiede tutti i colpi. Non devo insegnarle i colpi, forse solo quando usarli. Semplicemente, non credevo che me lo avrebbe chiesto. Non avevo intenzione di inseguire nessun giocatore: se fosse capitato, bene. Ma sapevo che prima o poi sarebbe successo.

Come mai? Per tutte le ex-star che adesso allenano nel circuito maschile?

Credo di sì. Credo che abbiano dato la spinta iniziale. Guarda Madison Keys, che adesso lavora con Lindsay Davenport. È naturale che gli ex campioni tramandino la propria conoscenza. Ciò che ha passato Lindsay, ciò che ha passato Billie Jean King, cosa abbiamo passato io o Chrissie Evert – vincere gli Slam, essere numero 1 – non si può imparare da un libro. Nessuno può insegnartelo. Puoi immaginare cosa si prova, ma non puoi saperlo davvero perché non ci sei passato. Una ex numero 1 parla per esperienza: è insostituibile.

L’anno scorso ho chiesto a Chris Evert come mai così poche ex campionesse fossero passate al ruolo di coach. Lei ha detto che era dovuto alla famiglia e agli affari.

La mia vita è molto ben organizzata. Ho molto a cui dedicarmi e al tempo stesso avevo ancora dei buchi: i miei impegni e il momento che sto vivendo si accordano bene con ciò di cui ha bisogno Agnieszka. Non credo che potrei allenare Madison Keys, perché ha bisogno di qualcuno che sia più presente. Ma Agnieszka è quasi un prodotto finito. Ha solo bisogno che la aiuti ad affinare qualche aspetto, come ha fatto Ivan Lendl con Andy Murray. Ivan non era al suo fianco tutti i giorni. Posso comunque dare il mio contributo, anche se è part-time. Chiaramente sarebbe meglio una collaborazione a tempo pieno, ma è meglio di niente. Credo che anche Agnieszka la pensi così. Ha un grande coach, un grande sparring e un ottimo team. Io sono un anello in più in questa catena: non necessariamente l’anello mancante, ma uno in più.

Come è stato il tempo che avete passato insieme prima dell’inizio della stagione?

Abbiamo avuto a disposizione solo cinque giorni a Miami. Si è trattato più che altro di iniziare a conoscersi e vedere come risponde a ciò che le dico. Tecnicamente è fantastica. Ma ci sono degli aggiustamenti da fare, niente di importante. Abbiamo tutti delle abitudini che neanche sappiamo di avere, e talvolta l’allenatore non le nota perché è presente tutti i giorni. Quando lavoravo con Billie Jean King e Craig Kardon, e lavoravamo su un particolare aspetto, Billie spesso se ne saltava fuori con una osservazione. Qualcosa di cui nessuno di noi due si era mai accorto.

Come si nota dai tuoi commenti tv, l’analisi è uno dei tuoi punti di forza. C’è qualcosa su cui pensi di dover lavorare per diventare una grande allenatrice?

Credo che sia come in TV: ciò che importa è il momento in cui dici le cose. È bene non parlare troppo, ma dare comunque il proprio contributo. In sostanza bisogna snellire e dire solo lo stretto necessario. Sono una perfezionista e pretendo molto da me stessa, ma non posso aspettarmi altrettanto dagli altri, per cui riuscire a trattenermi è fondamentale. È un confine labile e dipende da come reagisce il giocatore. Sto ancora imparando a conoscere Agnieszka, e lei sta imparando a conoscere me. È un processo di apprendimento: si tratta di imparare cosa dire e quando, e a volte quando tacere.

 A Radwanska a volte farebbe bene un po’ della tua competitività.  Spesso risulta fiacca nei match più importanti.

Credo che attualmente sia l’aspetto che tiene di più a migliorare. Mettiamo tutti molta pressione su noi stessi, e ognuno reagisce in modo diverso. Può sembrare che non ci tenga, ma ovviamente ci tiene molto. Posso aiutarla sotto questo aspetto.

Hai mai allenato prima?

Ho dato lezioni in molti sport a molte persone diverse. Per beneficenza ho offerto un pranzo e una sessione di sci ad Aspen, e si sono presentate due donne […] Sono migliorate con gli sci e con lo snowboard in un paio d’ore. Posso insegnare molti sport, ma ovviamente il tennis è ciò che mi viene meglio. Quando tratti altri sport, vedi le cose da una diversa prospettiva: diversi esercizi per il gioco di piedi, diverse posizioni, diversi angoli e geometrie. È utile: conoscendo uno sport, gli altri diventano più chiari. Ho dato molte lezioni nel corso degli anni, negli stage di tennis e in altre occasioni, ma non ho mai avuto l’opportunità di allenare a questo livello. Sono molto emozionata.

Però hai scelto una giovane Maria Sharapova tra varie ragazze durante uno stage in Russia.

Così pare. Non me lo ricordavo, ma me lo hanno riferito. Sono solo dei bambini, ma si può già intravedere qualcosa. Puoi vedere l’atteggiamento, la scintilla che hanno negli occhi, come camminano, come si muovono. Sono aspetti facili da cogliere.

Negli ultimi anni ti sei lamentata molto dello stile di gioco moderno. In quanto allenatrice, speri di poter cambiare qualcosa?

Ovviamente, il punto è avanzare la posizione ed essere più versatili. Non vuol dire necessariamente fare serve and volley, ma anticipare i colpi, essere più assertivi, giocare a tennis come si deve e non rimanere tre metri dietro la linea di fondo ad aspettare l’errore dell’avversario. Si tratta di prendere il controllo dei punti, prendere il controllo del match e mettere in moto gli eventi invece di subirli. Esistono molti stili di gioco e non tutti possono fare ciò che facevo io, così come non tutti possono giocare come Rafael Nadal. Ma di tanto in tanto si possono inserire certi colpi, si possono fare le cose un po’ meglio, in modo diverso dagli altri, si può essere più creativi. Non voglio vedere giocatori fatti con lo stampino. Voglio vedere giocatori creativi.
Con le racchette di oggi si può fare molto, ad esempio con lo spin. Giusto un paio di giorni fa stavo palleggiando con Julie Steven. Era nel circuito negli anni ’90 e mi diceva: “Wow, colpisci con così tanto spin. Lo facevi anche quando giocavi?” E io le dicevo che no, non avrei potuto. Sono le racchette a permettermelo. Puoi essere molto più creativo con la palla. È davvero divertente esplorare altre parti del campo.

Il matrimonio ti ha cambiato la vita?

Voglio scrivere un articolo su quanto ti cambia la vita. Ne ho parlato con altre coppie. Ti senti molto più forte. Per me è un modo di dire: “Non interferire con la mia relazione. Non interferire con la mia famiglia”. Ti fornisce un riconoscimento ufficiale e un appoggio nel caso in cui succeda qualcosa. L’altro giorno stavo compilando un modulo in uno studio medico: per la prima volta ho scritto “sposata” invece che “single”, e ho scritto il nome di Julia come contatto di emergenza. Dove chiedeva la natura della relazione ho scritto “moglie” e mi sono detta: “È fantastico. Nessuno può metterlo in discussione, non è necessario dare spiegazioni. È un dato di fatto, e le tutele legali che si ottengono con il matrimonio sono colossali. Sei protetto da una montagna di leggi. Io e Julia non siamo più legate l’una all’altra di quanto lo fossimo prima del matrimonio, ma adesso siamo unite di fronte alla legge ed è meraviglioso. E soprattutto le bambine si sentono molto più a proprio agio.

 Quindi le consideri tue figlie?

Ho appena ricevuto un sms che mi inviava amore firmato “dalle tue figlie”: quindi sì, sono figlie mie, ed è fantastico. Non esiste un corso per diventare genitori. Si impara strada facendo. Julia ed io stiamo insieme da sei anni e mezzo, per cui sono stata con loro per gran parte della loro vita. Mi considerano una genitrice da tempo ma, anche in questo caso, la differenza è che adesso è ufficiale. Si sentono molto più al sicuro. È strano da vedere: è una differenza percepibile, e mi dà anche più fiducia in me stessa come genitore.

 Hai detto che una delle ragioni per cui il tuo matrimonio è stato così pubblico è che volevi dare ispirazione ad altre coppie omosessuali.

Assolutamente. Se non vi sentite sicuri e potete sposarvi, fatelo. E se non potete, continuate a lottare per questo diritto, perché non ha prezzo.

Hai combattuto molte battaglie nel corso della tua vita, e sei stata oggetto di critiche taglienti.

Già. Ma col passare del tempo la lama si smussa. Non sono più così taglienti.

 Tutto questo cosa significa per il movimento?

Ci stiamo avvicinando alla meta. Non l’abbiamo ancora raggiunta. Esistono ancora paesi in cui l’omosessualità è  punita con la pena di morte, e altre decine di paesi in cui è punita con la carcerazione. La strada è ancora lunga, ma gli Stati Uniti sono sempre stati all’avanguardia per quanto riguarda i diritti civili e umani. Su questo fronte siamo rimasti indietro, ma ci stiamo rifacendo. Se possiamo sposarci possiamo fare qualunque cosa, e io sono semplicemente felice di aver acceso i riflettori sull’argomento e aver spinto il fronte dei diritti un po’ più avanti.

 Eri abbastanza pessimista riguardo agli Stati Uniti durante la presidenza Bush. Adesso che sensazione provi?

Le cose stanno cambiando, ma del resto stiamo progredendo perché abbiamo un democratico alla Casa Bianca. I repubblicani sul tema continuano ad agitarsi anche adesso, nel 21esimo secolo. Non hanno ancora gettato la spugna, ma ormai non sono più un ostacolo.
Ma Bush? Diciamo che non ho mai sentito il Presidente Bush pronunciare le parole gay o lesbica. Non siamo mai neanche stati menzionati. L’unica volta che l’ho sentito parlare di noi è stato quando ha detto: “Credo che il matrimonio sia tra uomo e donna”. È stata l’unica volta che l’ho sentito dire qualcosa a riguardo, e in ogni caso non ha comunque pronunciato quelle parole.

 Nel microcosmo sportivo, negli ultimi anni si è mosso qualcosa, con il coming out di giocatori in sport importanti.

È strano, perché per certi versi lo sport è stato all’avanguardia per molte questioni sociali, ma non per le questioni gay. Il tennis è stato all’avanguardia quando ad  Arthur Ashe è stato diagnosticato l’AIDS. Ci siamo fatti avanti e ci siamo battuti per una malattia per cui di certo non era popolare battersi. È una cosa che mi fa piacere, ma in generale lo sport non è stato d’aiuto quando si è trattato di atleti omosessuali o di diritti gay. Ed è solo adesso che ci stiamo mettendo in pari. Il bello adesso è che quando un atleta fa coming out non è più una grande notizia. Ed è esattamente ciò che vado dicendo da molto tempo a questa parte. Spero che presto non sia più una notizia e che non sia neanche interessante, semplicemente perché non avrà più alcuna importanza.

 A meno che non mi sia perso qualcosa, nel circuito maschile non c’è stato nessun coming out ufficiale.

Nessuno, nessuno. Strano, no? Perché sappiamo che devono esserci tennisti gay, e io non ho la più pallida idea di chi siano. Ecco quanto si nascondono bene. Ho sentito delle voci, ma non lo so per certo. Vorrei che lo facessero.

 

Traduzione a cura di Gaia Dedola

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