Nole padrone senza amore (Martucci), Djokovic danza anche sull'erba (Azzolini), Federer, sfuma il sogno Wimbledon a Djokovic (Piccardi), Grazie caro Federer ma il re del tennis è l'insuperabile Djokovic (Clerici), A Djokovic il torneo, a Federer Wimbledon (Lombardo), È l'erba di Nole, Federer si inchina (Giorni)

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Nole padrone senza amore (Martucci), Djokovic danza anche sull’erba (Azzolini), Federer, sfuma il sogno Wimbledon a Djokovic (Piccardi), Grazie caro Federer ma il re del tennis è l’insuperabile Djokovic (Clerici), A Djokovic il torneo, a Federer Wimbledon (Lombardo), È l’erba di Nole, Federer si inchina (Giorni)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Nole padrone senza amore

 

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 13.07.2015

 

E’ difficile essere Novak Djokovic, il numero 1 che tanto somiglia a Ivan Lendl perché essenziale, solido, imperturbabile, asfissiante, implacabile. Ma non spettacolare, non particolarmente simpatico, non «politically correct». E quindi spesso molto solo, in campo, col pubblico schierato dichiaratamente per l’avversario: nella finale di ieri a Wimbledon contro Federer, come in quella di Parigi cinque settimane fa contro Wawrinka, come tante altre volte ancora. Nole, «il campione di gomma» ne soffre, a ragione, e s’infuria, si distrae, e magari proprio per questo ha perso 8 finali Slam, da contrapporre comunque, ora, al nono Major. «Ivan il terribile» ne perse 11 (vincendone 8). E, come il serbo, si esaltava sul cemento, dove il rimbalzo è sempre quello, senza intoppi. Che, nel caso di Djokovic, vengono fuori sulla terra rossa e, in quello di Lendl, sull’erba, fino a diventare un tabù. Povero «Djoker», con tutto il rispetto per il suo tennis che fotografa alla perfezione il gioco moderno, non può e non potrà mai contrastare nell’applausometro re Federer. Il campione di 7 Wimbledon che, sul viale del tramonto — lungo, fulgido, ma pur sempre viale del tramonto —, cercava l’urrà numero 18, tre anni dopo il settimo sigillo ai Championships. Wimbledon ha sempre adorato Roger per la sua leggerezza, ha tifato per lui anche contro il beniamino di casa, Murray, nella semifinale perfetta di venerdì. Noi, gente, ci nutriamo di sogni, di fantasie, di piccoli miracoli. E «il Magnifico» è il Mago di Oz, il più bravo a dispensarli con una racchetta da tennis, e lo farà ancora.

 

Djokovic danza anche sull’erba

 

Daniele Azzolini, Tuttosport del 13.07.2015

 

Wimbledon si è fermato a un anno fa, quasi un velo di magia si fosse posavo sull’antico maniero del tennis. Djokovic è la strega cattiva di Fede-re; e Roger recita nel ruolo del bell’intorpidito, non proprio addormentato ma quasi Le fiabe moderne troppo buoniste non sono, Io sapete, e non v’è bacio che possa riconsegnare Federer agli anni che sono passati: Nole si prende tutto, con la consueta avidità, ma con merito. Nono Slam, terzo Championships… I due milioni e mezzo di euro del primo premio, off course. Non è uguale il punteggio, perché l’anno scorso i due giunsero al quinto set, ma sono identiche le sensazioni. La più orribile, per l’antico campione, è che se anche avesse cambiato mille volte tattica, o avesse deciso di mirare direttamente al corpo della sua nemesi serba, non sarebbe riuscito nemmeno a scalfirla. Forse neanche a centrarla. Note manda baci al suo mondo, assiepato nel box dei vincitori. Boris Becker ha l’aria da intenditore. «Sono giornate in cui Djokovic non è bai ibile», detta a una tivvù inglese. Accanto c’è Milian Amanovic, fisioterapista, poco die-tro Gebbard Phil-Gritsch preparatore atletico, preso dallo staff di Thomas Muster. Lavorano su un fisico diverso da quello di ogni altro tennista, «mal visto uno tanto elastico», dice Gebbard, «più un ballerino, che uno sportivo». C’è Jelena Ristic, la moglie, e chiude la fila Edoardo Artaldi, il manager che ha consegnato Djokovic al brand giapponese che dà battaglia alle major statunitensi e tedesche. Ma il futuro è in Asia e Nole è l’uomo del futuro. Manca Vajda, il coach di lungo corso. Manca Stefan, il figlio nato un anno fa. E manca Gluten Free, la dieta di Nole, ormai quasi una personalità, dato che tutti ne parlano. «Con me funziona, mi mantiene agile», ha spiegato Roger…. «L’erba è buona La mangerò ogni volta che riuscire a vincere questo torneo». Federer le sue brave occasioni le ha disperse sulla linea difensiva predisposta dal serbo. È stato il primo a fare il break, nel set d’avvio (sul 3-3), ma Djokovic se l’è ripreso subito, poi ha avuto due set point sul 6-5, ma non ha trovato gli appoggi giusti «Forse, se avessi agguantato la prima partita, il seguito sarebbe stato diverso», sorride Roge; senza allegria. Forse… Il tie break Nole l’ha trangugiato, con ingordigia E nel secondo, Federer è stato ancora avanti, quanto meno nelle intenzioni: due possibilità di break sul 2 pari, una terza sul 5-5. Ma Nole ha avuto un primo set point sul 5-4 e alái sei nel tie break, prima che Federer trovasse una degna chiusura a rete sul ventiduesimo punto di un gioco che stava diventando infinito. E un fatto: i due sono andati al terzo con Federer in vantaggio nei punti Poco importa. II match dello svizzero è finito sulla prima palla break del terzo set Da li in poi Nole ha preso campo, e forse Roger è stato costretto a fare i conti con le sue incertezze di giornata Su tutte, l’ostinato volta faccia del servizio, esplosivo in semifinale con Murray, timido ieri di fronte a Nole. «Sono ancora affamato – ha assicurato Roge ; forse per consolare i suoi fans – ma Nole ha giocato un tennis davvero alto. Lo ha fatto qui, lo sta facendo dall’inizio dell’anno, e anche l’anno prima…».

 

Federer, sfuma il sogno Wimbledon a Djokovic

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 13.07.2015

 

Se immaginare un campo da tennis in salita ha un senso, in cima a questa collina di Wimbledon dove si parla più svizzero che cockney, l’arrampicata ha lasciato per una volta Roger Federer scompigliato e muto. È seduto, le belle mani da suonatore di racchetta in grembo, triste e gobbo, come se tutto ciò che Novak Djokovic ha rappresentato in quattro set e tre ore di partita fosse stato tanto, troppo, da reggere. I 28 anni del serbo contro i suoi quasi 34. La freschezza atletica contro il logorio di sette Wimbledon, che lo lasceranno in compagnia di William Renshaw e Pete Sampras almeno per un altro anno. E infine un urlo da fondo così assordante e monocorde da aver disinnescato la varietà polifonica del gioco di Federer, che nel braccio destro ha più tennis di Djokovic e di tutti gli altri messi insieme ma, tradito da dritto e servizio (35 errori gratuiti) e meno concreto di quanto non lo fosse stato in semifinale con Murray (solo una palla break trasformata su sette: una miseria), ha smarrito per strada le parole per dirlo. Djokovic fa tris sull’erba (nono Slam in carriera) perché Federer lo chiama poco a rete, perché è il n 1 del mondo, perché è buddista e vegano e fa meditazione prima dei match e perché, recuperato subito il break nel primo set (4-4 da 2-4) e dominato il tie-break 7-4 Roger rimane solo con il suo talento, e 15 mila tifosi che non riescono a convincerlo del miracolo. Sotto il bombardamento, attaccando per difendersi dai suoi stessi errori, Federer annulla un set point e s’infila in un secondo tie-break lunghissimo (r2-io tra sospiri ed emozioni), che mantiene vivo il sogno senza dissipare l’illusione. E chiaro a tutti, perla fatica che fa e l’intermittenza di quella luce interiore che va e viene, che non è più il Federer dell’unico set ceduto in tutto il torneo (Groth) e dell’unico break subito (Simon). La sfida che Djokovic gli propone è più alta, e sopra i sei scambi diventa impossibile vincere il punto. Cavando poco dalla battuta, a tratti Federer diventa lezioso: usa il fioretto quando servirebbero sonori schiaffoni. Se sull’erba l’attaccante batte sempre il difensore, nel terzo set è Djokovic che, surfando sull’inerzia di una finale che gli spalanca le braccia (e che un’interruzione per pioggia non fa deragliare), va a prendersi i break necessari a fare gli ultimi passi (6-4, 6-3) verso il terzo titolo di Wimbledon. Il drittone a sventaglio che Roger guarda passare come certi vecchietti sulla panchina i tram, è il prologo all’iconografia di questa finale che lascia mortalmente deluso il popolo, senza nulla togliere a Djokovic, che ha il solo difetto di essere l’avversario di Federer. C’è íl ciuffetto d’erba da raccogliere e masticare: «Non è mai stata cosi dolce… ». C’è il coach, Boris Becker (battuto l’antico rivale Stefan Edberg nel confronto a distanza tra guru), cui dedicare la vittoria nel trentennale del primo successo a Wimbledon del tedesco: 1985, a 17 anni, quando bruciare i tempi era vitale prima che i tempi bruciassero te. C’è Jelena, madre di Stefan, il figlio nato otto mesi fa, da onorare: «Grazie alla mia bella moglie». Djokovic è un campione vero, gentile e ironico («Io sono un giocatore da fondocampo, non ho il talento di Roger. mi arrangio») però non è Federer. È cresciuto a Belgrado sotto i bombardamenti della Nato («Se c’è una cosa che ho imparato dallo sport è non arrendermi mai») e merita di essersi annesso nel 2015 due Slam su tre («Wimbledon mi ricompensa della delusione di Parigi con Wawrinka») però non è Federer. Ha sentimenti profondi e li esprime («Un anno fa, appena conquistato il trofeo, mi sposavo in chiesa e cominciavo una nuova vita. Quando tomo a casa non sono il campione di Wimbledon: sono un marito e un padre») però non è Federer. Non si sente sbagliato, siamo noi che ogni tanto cerchiamo di farglielo credere. E poi c’è il vero Roger, cui tocca salutare la pletora di vip che Mirka gli infligge (ieri Hamilton, Del Piero, Bradley Cooper, Anna Wintour e Pippa Middleton, finalmente Pippa) quando avrebbe solo voglia di chiudersi in una stanza. «Vado in vacanza. Per capire. Per lasciare sedimentare tutto questo… » mormora. È solo un arrivederci («Ho ancora fame, ho ancora voglia di tennis») ma sembrano, e non da oggi, prove tecniche di un lungo addio.

 

Grazie caro Federer ma il re del tennis è l’insuperabile Djokovic

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 13.07.2015

 

Non si fa in tempo a uscire dal Centre Court, che subito ci si ritrova un microfono vicino alle labbra e un ragazzo che ti dice «Ha vinto Djokovic. Perché?». «Perché non è una telenovela, ma una gara di corsa con racchette, contro un tipo che ha sei anni meno, e potrebbe correre due maratone in un giorno, mentre Federer si è fermato a una, contro Murray». Tra i quindicimila intorno al campo, almeno i quattro quinti speravano nella vittoria di Roger Federer, ancorché non si riscontrasse nessuna avversione nei riguardi di Djoko, perché chi riesce ad ottenere un biglietto per la finale somiglia ad uno spettatore della Scala, pronto all’ammirazione, ai sentimenti, solo in casi estremi ad una palese avversione. Nel rispondere, d’istinto, al ragazzo col microfono, non avevo pensato alla possibilità di Djokovic di imitare Serena, alla ricerca del Graal del tennis, il cosiddetto Grand DJOKOVIC FEDERER È sempre un Ho dato tutto privilegio ma non è giocare bastato. Nole contro un è una roccia campione ma io sono come Roger ancora Lui è un affamato modello di vittorie Slam. Possibilità svanita solo perché Wawrinka non ha avuto probabilmente un buono psichiatra, che gli abbia chiarito perché, un paio di volte l’anno, come a Parigi e all’Australian Open, egli sia imbattibile. Se non ci si va a imbattere in simile Wawrinka, un grande atleta con racchetta quale il serbo può anche perdere un match contro Federer, ma soprattutto questo dev’essere in tre set o Federer non ci deve arrivare do-Po aver vissuto altre 6 partite, giocato qualcosa come 37 games, soltanto dieci in meno del corridore Djokovic. Soltanto stanchezza, quindi? Non penso che questa sia la causa principale, anche se è certamente una concausa. Altro fatto che ha indotto la maggior parte del pubblico a parteggiare, oh civilmente, per Roger, è stata la superiore eleganza dei suoi movimenti, e non solo del rovescio a una mano, infininitamente più chic del gesto bimane, che riesce a contrarre Djokovic in modo tanto meno avvincente. Roger, almeno all’avvio, imprimeva alla palla il suo magico sigillo, si trattasse di servizi o di volée, o di qualche minitocco, dal quale pareva si sprigionasse una luce improvvisa o addirittura un fuoco d’artificio. Ribadito ciò, forse troppo a lungo, mi par giusto accennare all’aspetto aritmetico del match. Anche da qui, dai primi due set ter *** minati con due tiebreak, appare la caratteristica alla quale ho già accennato, quella della fatica . Il primo dei due tiebreak era terminato con la totale superiorità di Nole, capace addirittura di uscire sorridente da uno scambio di ventidue tiri con un diritto vincente, uno scambio che avrebbe, in qualche modo, causato il doppio errore finale di Roger. II secondo, quello che aveva fatto sperare i federeriani che il loro eroe fosse ancora in partita avrebbe visto un Roger non so se più geniale o più miracolato, capace di sfuggire a qualcosa come sette set point, tra i quali una vicenda di ventisei tiri contro un corridore quale Djokovic! Simile momentanea parità avrebbe in seguito spinto all’estremo un’auto analisi di Federer sconfitto, l’avrebbe spinto ad osservare che «Ho avuto anch’io le mie chances, sia nel terzo che nel quarto, in più di un game in cui siamo stati vicinissimi.. In realtà, terzo e quarto set sarebbero stati presto contrassegnati da due break che si sarebbero rivelati determinanti, uno nel terzo game del terzo set, l’altro nel quinto del quarto. Ribadito, quest’ultimo, da un suo gemello nell’ultimo gioco dell’incontro. Era evidentemente più pronto ad osservazioni allegre Djokovic, interrogato riguardo all’influenza che avrebbe avuto sulla sua dieta l’erba del Centrale, che divora abitualmente al termine delle finali vittoriose. «E’ un’erba adattissima, assolutamente priva di glutine»…

 

A Djokovic il torneo, a Federer Wimbledon

 

Marco Lombardo, il Giornale del 13.07.2015

 

Il serbo fa il tris sull’erba, ma lo svizzero resta il campione più amato Marco Lombardo nostro inviato a Wimbledon Eppure c’è una partita che Novak Djokovic non è riuscito a vincere, nonostante abbia conquistato il suo terzo Wimbledon, il suo nono Slam, nonostante sia il numero 1 più devastante dai tempi di Roger Federer. Già, proprio lui. Nonostante insomma Novak Djokovic abbia cancellato in 2 ore e 56 minuti il sogno del tennista più amato di sempre, non è riuscito a togliergli il titolo nel cuore della gente, che ha riempito il club per Roger, che ha tifato solo Roger, che ha seguito la partita con le dita incrociate per Roger, che ha sofferto con Roger quando si è capito che l’impossibile non era possibile. Ecco, a quel punto Djokovic ha meritatamente vinto, ma Federer per la gente non ha perso, perché c’è una cosa che non potrà perdere mai. L’amore che il tennis ha per lui. Per questo forse Nole, quando ha capito ormai che era fatta, ha cominciato ad urlare di rabbia, per questo l’ha fatto dopo l’ultimo punto – quello del 7-5, 6-7, 6-4, 6-3 finale – cercando con l’aria di sfida l’applauso del centrale, mentre il suo coach Boris Becker lo incitava con la faccia da bullo per mettere il punto alla sfida contro il mondo. Ha gioito, ha mangiato un po’ di erba di Wimbledon, ha esultato con moglie, parenti, coach, amici e tifosi, sparsi per l’All England Lawn Tennis and Croquet Club come quadrifogli in un enorme campo verde. Ma quando lo sconfitto è andato a ritirare il piatto per il runner-up i decibel dello stadio hanno sancito la differenza. Perché Djokovic è un grande numero 1 e come dice suo padre forse diventerà il più grande di tutti. Ma Roger Federer quella partita non la può perdere. Mai. E quando con la coppa di Wimbledon in mano, Nole rende onore al mito con la sportività che gli è davvero propria, strappa il primo vero applauso del Centrale: «Roger è l’uomo che la mia generazione ha come esempio. Mi ha portato al limite rimontandomi da 6-3 nel tie-break del secondo set. Con lui non è mai finita, e giocare la finale di Wimbledon contro di lui è un vero privilegio». Soprattutto se la si vince per due anni di fila. Ma la verità è che Roger sa che Djokovic ormai è più forte, strappando una risata (a tutti tranne che alla moglie Mirka) quando dice «Novak ha giocato bene oggi, come le ultime due settimane, gli ultimi mesi, l’anno scorso…»…..

 

 

È l’erba di Nole, Federer si inchina

 

Alberto Giorni, il giorno del 13.07.2015

 

Quasi tutti i 15mila testimoni oculari del Centre Court, pin la grande maggioranza dei telespettatori di tutto il mondo, avrebbero voluto assistere al trionfo di Roger Federer, che alla soglia dei 34 anni ci delizia ancora con le sue magie. Ma lo sport non è il cinema, dove il regista può scegliere il finale a suo piacimento. A riportare tutti alla realtà è Novak Djokovic, che si è imposto pin nettamente dello scorso anno, chiudendo in quattro set: 7-6(1), 6-7(10), 6-4, 6-3 in 2h56′. Per il n.1 è il terzo titolo di Wimbledon, come coach Boris Becker che vinse per la prima volta trent’anni fa, e il nono Slam in assoluto: «Lui è tedesco e io serbo, c’è una certa differenza — ha scherzato Novak rivolgendosi a lui in tribuna —, però abbiamo trovato la giusta chimica». Dopo il matchpoint, Djokovic ha ripetuto il suo classico gesto, assaggiare qualche sacro filo d’erba del campo: «Ha un buonissimo sapore», ha sorriso. Davanti a un parterre de roi che comprendeva Bjorn Borg, Rod Laver, Lewis Hamilton e Alex Del Piero, Roger Federer non ha ripetuto la strepitosa prestazione con cui aveva demolito Murray in semifinale. Meno reattivo e brillante (troppi 35 errori gratuiti contro i soli 16 del rivale), meno incisivo al servizio, si è scontrato su un muro che ribatteva tutti i suoi attacchi con risposte fulminanti, passanti al bacio e colpi profondissimi. Lo svizzero si può rammaricare per non aver incamerato il primo set nonostante un vantaggio di 4-2 e due set-point, cancellati dal servizio dell’avversario. Per il resto Djokovic, di sei anni pin giovane, è stato implacabile….«E’ un privilegio affrontare Roger — ha detto Djokovic nella premiazione ritardata per la chiusura del tetto —. Lui mi spinge a oltrepassare i limiti, sono felicissimo». Federer ha mancato l’ottavo sigillo, rimanendo a 7 come Sampras e il pioniere Renshaw, e ha ricambiato gli elogi: «Novak ha giocato bene non solo adesso, ma tutto l’anno e anche i precedenti: è solido come una roccia. Io sono ancora affamato e motivato per continuare».

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