Djokovic balla con Serena: «Così sono arrivato al top» (Crivelli), (Marianantoni), Djokovic: il pubblico non mi ama (Marcotti)

Rassegna stampa

Djokovic balla con Serena: «Così sono arrivato al top» (Crivelli), (Marianantoni), Djokovic: il pubblico non mi ama (Marcotti)

Pubblicato

il

 

Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Djokovic balla con Serena: «Così sono arrivato al top»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 14.07.2015

 

….. Tutte le volte che entro sul Centrale, ricordo quando da bambino, con la racchetta in mano, sognavo di vincere proprio questo torneo. E’ il più importante di tutti, il più emozionante. Se mi chiedete come mi immaginavo a 28 anni quando ne avevo 14, penso che non avrei potuto avere una fotografia più bella di ciò che sto vivendo. Questo è ciò che volevo e l’ho raggiunto». Come spiega i suoi miglioramenti sull’erba? «Con il passare degli anni ho cercato di capire come potevo giocare meglio su una superficie che all’inizio non mi portava grandi risultati, che richiede varietà di gioco, tagli diversi, un atteggiamento più aggressivo a rete. Per fortuna negli ultimi cinque anni sono migliorato costantemente». A proposito di famiglia, dopo la nascita di Stefan ad ottobre lei è diventato quasi imbattibile… «La paternità ti cambia le prospettive. E poi c’è mia moglie Jelena, senza di lei non potrei affrontare con questa serenità e con questo spirito la mia vita da tennista. Quando torno a casa, non sono più un giocatore, ma un padre e un marito e questo mi consente di staccare, di dare la giusta misura a tutte le cose. Quanto ai risultati, potrei dare un suggerimento ai miei colleghi: sposatevi, fate figli e apprezzate la vita familiare». Più facile vincere Wimbledon o fare un ballo con Serena Williams alla cena di gala? «E’ stato molto divertente, secondo me la tradizione del ballo dei vincitori andava mantenuta, anche perché Boris mi aveva raccontato dei suoi… Io avrei scelto un valzer, qualcosa di raffinato, considerata la serata e l’eleganza della location. Ma Serena voleva qualcosa di più movimentato, così abbiamo ballato Saturday’s Night Fever» Durante il ballo avete parlato di Grande Slam? «Spero lo realizzi, se lo merita perché è una straordinaria agonista e sta facendo qualcosa di incredibile». Se non avesse perso a Parigi, ora sarebbe argomento anche per Djokovic… «Ovviamente quella sconfitta mi ha spezzato il cuore, è stata una grande delusione, più di un altro paio di Slam che avrei potuto vincere. Ma nella vita ho imparato che bisogna sempre guardare avanti e non pensare a quanto ti è accaduto prima. Soprattutto, che l’esperienza ti viene dalle sconfitte e dai momenti negativi, più che dalle vittorie». Ma il numero uno del mondo e vincitore di 9 Slam può ancora migliorare? “Si può sempre migliorare, è sempre una questione di motivazioni. Penso ad esempio che potrei sfruttare di più le discese a rete, per finalizzare meglio il gioco che riesco a sviluppare da fondocampo».


Otto Slam in un lustro: solo 3 meglio di lui

 

Luca Marianantoni, la gazzetta dello sport del 14.07.2015

 

Dopo aver trascorso quattro anni (2007-2010) da numero tre del mondo, nell’intento di colmare l’enorme divario che lo separava dagli irraggiungibili Roger Federer e Rafael Nadal, Novak Djokovic è riuscito con una lenta ma inesorabile rincorsa a fagocitare i due mostri sacri che lo precedevano e a dominare l’ultimo lustro come pochi campioni del passato hanno saputo fare. 11 serbo, a 28 anni e 51 giorni, è il più anziano dell’Era Open ad aver centrato il nono Slam: Sampras e Federer avevano impiegato tre anni meno, Borg e Nadal addirittura quattro. Ma quello che ha fatto Nole dal 2011 in avanti è semplicemente mostruoso: negli ultimi 20 Slam disputati, a partire dal trionfo in Australia nel 2011, Djokovic ha infilato 8 vittorie, 7 finali, 4 semifinali e un quarto di finale (perso contro Wawrinka all’Australian Open 2014). Quindi ha vinto 8 dei suoi 9 Slam nell’arco di 5 stagioni non ancora completate (manca l’Open degli Stati Uniti di settembre). Nei suoi 5 anni migliori Bill Tilden, quasi un secolo fa, era riuscito a vincerne 7 . Bjorn Borg, tra il 1976 e il 1980 oppure tra il 1977 e il 1981, aveva vinto gli stessi Slam di Djokovic (8 in 5 stagioni). Anche Rafael Nadal, qualsiasi lustro si prenda (dal 2007-2011 al 2010-14), non è riuscito a fare meglio degli 8 di Djokovic. Gli sono stati superiori solo Emerson (10 dal 63 al 67), Laver (11, 60-62 e 68-69, in mezzo fu pro’), Sampras (9 tra il 1993 e il 1997) e Federer (12, se si considerano tre lustri dal 2003 al 2010).

 

Djokovic: il pubblico non mi ama

 

Gabriele Marcotti, il corriere dello sport del 14.07.2015

 

La gratitudine nel momento della vittoria va a Boris Becker. Che lo ha aiutato a «diventare un giocatore migliore». E al quale si sente unito da numerose similitudini. «Non so cosa ne pensi Boris, ma parecchie cose ci accomunano. Per esempio entrambi ci siamo sposati abbastanza giovani, io a 27 anni, lui a 26. Cosi siamo stati costretti a riorganizzare la nostra vita anche in funzione della nuova realtà». Spesso bistrattato da chi fatica a riconoscergli meriti negli ultimi exploit di Novak Djokovic, il giorno dopo il terzo trionfo ai Championships del suo allievo è anche il giorno di Becker, insolitamente silenzioso. Vincendo contro Roger Federer, Djokovic lo ha agganciato per numero di vittorie a Wimbledon. Ma come da scontate previsioni di John McEnroe, il futuro non può che sorridere a Novak. Non solo perché due dei principali rivali – lo stesso Federer e Rafa Nadal – sembrano aver imboccato definitivamente il viale del tramonto. Ma anche perché all’orizzonte non si intravede nessuno con la stessa voglia di vincere. FORSENNATO. A 28 anni Djokovic è un forsennato agonista, alla perenne ricerca della prossima sfida. «Ma questo vale per tutti i campioni – ha raccontato ieri mattina, nella tradizionale conferenza al All England Club, al termine di una notte avara di sonno – C’è sempre spazio per migliorare, siamo dei perfezionisti che chiediamo moltissimo a noi stessi. Non siamo mai soddisfatti, e per questo siamo disposti a lavorare più degli altri. Per esempio, sono migliorato tantissimo al servizio. Su questo aspetto è stato fondamentale il lavoro con Boris, perché anche ieri, nella finale contro Roger, mi ha risolto almeno un paio di situazioni difficili. Ma più in generale il lavoro è continuo e su tutti i colpi. Vorrei imparare a scendere più spesso a rete». Ma Novak ha le idee chiare, e sa già – in perfetta sintonia con il suo team – su quali aspetti lavorare. Lo attende una settimana di vacanza con la moglie Ielena e il figlio Stefan. Poi sarà già tempo di un altro aereo, prima destinazione Montreal, quindi Cincinnati. Due appuntamenti sul cemento in preparazione dello Slam che il serbo ama più di tutti. Se Wimbledon è l’incantesimo del tennis («quando ero piccolo sognavo di vincere qui»), gli Us Open sono l’ambizione giustificata dal suo tennis. «Probabilmente è il mio Slam favorito perché dal mio esordio nel tabellone principale (2005) sono trascorsi solo due anni per la mia prima finale. E da allora ogni anno ho raggiunto come minimo la semifinale. E questo dice molto del mio gioco e dei miei risultati. Purtroppo non ho vinto tanto quanto avrei voluto. Ma continuo ad amare quella superficie, le condizioni in cui si gioca. Mi piace tantissimo giocare nell’Arthur Ashe, il più grande stadio del tennis. Con la fiducia che sento in questo momento, ci sono tutti i presupposti per andare lontano». L’AMORE È ALTROVE. Anche se Djokovic è il primo a sapere che nonostante i tantissimi successi, non sarà mai il tennista più amato. Destino simile a quello di Ivan Lendl, un altro campione a cui si sente affine. «Entrambi veniamo dall’Europa dell’est dove c’è una mentalità diversa, più dura. E sicuramente lui ha dovuto dimostrare se stesso, più di quanto non sia capitato per esempio a Borg o McEnroe». Stesso destino capitato a Djokovic che però sembra, almeno all’apparenza, non curarsene più di tanto. Perché la passione per il tennis, l’irresistibile attrazione per la competizione superano in ultima istanza soldi, successo e popolarità. «Ogni volta che scendo in campo provo una gioia speciale. La stessa di quando ero bambino. Mi piace lottare, giocare partite, vincere. Nonostante abbia avuto incredibili soddisfazioni, la verità è che le motivazioni ad andare avanti non finiscono mai. Nel mio caso, poi, ci pensano le persone che mi stanno attorno a motivarmi. Mi riferisco alla mia famiglia, al mio team. Sento di avere responsabilità nei loro confronti che non voglio deludere». E come potrebbero, d’altronde. Entusiasta e determinato ancor più di quanto, durante la diarchia Federer-Nadal, era confinato ai margini dell’eldorado del tennis. «Mi sento all’apice della mia carriera, e faccio di tutto per tenermi alla larga dai peggiori nemici di ogni atleta, gli infortuni. Fino a che mi sentirò così potrò spingermi oltre i miei limiti»….

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement