La Coppa Davis abbandona il long-set al quinto, ma era poi così necessario?

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La Coppa Davis abbandona il long-set al quinto, ma era poi così necessario?

Dopo 115 anni la ITF ha deciso di introdurre il tie-break anche nel set decisivo in Coppa Davis, nonostante il long set abbia regalato emozioni indimenticabili durante la Storia della competizione. Una decisione che avrebbe lo scopo di rendere più moderno il format della competizione a squadre. Svolta positiva o una forzatura rispetto alla tradizione?

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Dopo il sorteggio del World Group 2016 di Coppa Davis avvenuto mercoledì a Santiago del Cile (che vedrà l’Italia ospitare la Svizzera) e dopo le semifinali e i play-offs dello scorso week-end – con la storica finale raggiunta da Belgio e Gran Bretagna (a distanza rispettivamente di 110 e 37 anni dalle ultime) e il ritorno degli azzurri nella “Serie A” grazie al successo di Irkutsk sulla Russia – per l’ITF e il tennis mondiale è arrivato un importante scossone. Nella giornata di ieri, infatti, durante l’Annual General Meeting svoltosi sempre nella capitale cilena, hanno avuto luogo le elezioni per assegnare la massima carica dell’International Tennis Federation (con modalità di votazione, per così dire, “pittoresche”: è stato possibile esprimere una preferenza solo per coloro i quali erano presente in loco, a Santiago. Chissà se i candidati avranno fornito biglietti aerei e alloggi ai propri elettori…), con lo storico presidente, Francesco Ricci-Bitti, che dopo ben 16 anni di mandato ha deciso di non presentare nuovamente la propria candidatura.

La poltrona di No.1 del tennis mondiale nel prossimo quadrienno (2015-2019) è andata, alla fine, all’americano David Haggerty, che con 200 preferenze ha preceduto l’indiano Anil Khana, fermatosi a 192 voti. Staccati gli altri due candidati, lo spagonolo Juan Margets Lobato e lo svizzero Rene Stammbach.

Haggerty, da sempre nel mondo del tennis, per 30 anni ha lavorato come dirigente in industrie legate alla produzione delle racchette. È stato infatti chairman di Head Usa, presidente della Penn Racquet Sport e di Penn Maxfli Slazenger Sports. Ha, inoltre, ricoperto ruoli da amministratori all’interno di più organismi vicini al tennis. È stato chairman, CEO e presidente della USTA (United States Tennis Association) nel biennio 2013-2014, oltre che Vice Presidente dell’ITF Board of Directors. È stato anche vice presidente della Tennis Industry Association e attualmente membro del board dell’International Tennis Hall of Fame.

Punto forte del programma elettorale di Haggerty era la modifica del format della Coppa Davis, con l’obiettivo di renderla più appetibile agli occhi dei grandi del tennis mondiale che spesso disertano la manifestazione dando la precedenza ai tornei del circuito ATP.

Oltre all’elezione del nuovo presidente, nella suddetta riunione dei massimi dirigenti ITF, è stata dibattuta anche l’annosa questione che da tempo immemore è causa di infinite discussioni: l’introduzione (o meno) del tiebreak nel 5° e decisivo parziale della Coppa Davis. Ebbene, dopo ben 115 anni, si è deciso di eliminare il “long set”, allineando così la Davis allo US Open, unico torneo dello Slam ad adottarlo.

La competizione a squadre più famosa al mondo è, come ben noto, l’evento tennistico più tradizionalista e meno incline alle novità, persino più di Wimbledon. Basti pensare che il gioco decisivo – ideato dal poeta, musicista, editore, leader civico e narratore americano James Henry “Jimmy” Van Alen (noto ai più per aver fondato nel 1954 la International Tennis Hall of Fame a Newport, Rhode Island, suo luogo di nascita nel 1902) – è stato introdotto nella competizione “solo” nel 1989 a “causa” dell’inarrestabile dominio di Pancho Gonzalez poco dopo la metà del 20° secolo, mentre nei Major si è dovuto attendere il 1970 per l’Open degli Stati Uniti, l’anno successivo per l’Australian Open e Wimbledon (per quest’ultimo sul punteggio di 8-8, dal ’79 sul 6-6) e il 1973 per il Roland Garros, riducendo drasticamente i tempi dei vari incontri.

Il fascino dei match terminati “ad oltranza” nei set decisivi di Davis è innegabile, e di testimonianze a riguardo ve ne sono ben più di una, per qualità e quantità di gioco espresse, sovente sopra le cinque ore. L’incontro più memorabile dell’era Open, in tal senso, è certamente il leggendario quinto incontro valevole per i quarti di finale dell’edizione del 1982, disputato sul carpet indoor di St. Louis fra John McEnroe e Mats Wilander, vinto dall’ americano per 9-7 6-2 15-17 3-6 8-6 dopo 6 ore e 22 minuti di show e pathos senza fine – record recentemente superato, in termini di durata, dal non proprio altrettanto emozionante match di primo turno del World Group di quest’anno fra Leonardo Mayer e Joao Souza, vinto dal giocatore argentino con il punteggio di 7-6 7-6 5-7 5-7 15-13 dopo 6 ore e 43′. Fra gli altri grandi match “infiniti” ricordiamo un’altra brutta sconfitta patita da Wilander, contro l’austriaco Horst Skoff, ancora nei quarti, con lo svedese costretto a cedere le armi, sulla terra battuta di Vienna, per 6-7 7-6 1-6 6-4 9-7 dopo 6 ore e 4 minuti; oppure la rimonta di un altro austriaco, Thomas Muster, nel 1994, sempre sulla terra ma stavolta a Graz, ai danni di Michael Stich, conclusa con un 6-4 6-7 4-6 6-3 12-10 dopo 5 ore e 25 minuti; in tempi più recenti, il successo del 2009 di Radek Stepanek in Croazia, sulla terra indoor, dopo 5 ore e 59 minuti di battaglia di servizi contro Ivo Karlovic (6-7 7-6 7-6 6-7 16-14 il punteggio).

Il quesito che si pongono gli appassionati di tennis, a questo punto, è il seguente: perché cambiare una formula che nel corso della storia ha regalato un elevato numero di incontri epici in termini di qualità/intensità/incertezza del risultato, grazie (anche) a questa formula del “long set” – oltre alla magia ambientale che solo la Davis è in grado di creare? Le ragioni riscontrabili sono essenzialmente due: ridurre ulteriormente la durata degli incontri onde evitare eventuali infortuni o eccessiva stanchezza per i giocatori (quindi aumentare le possibilità per i big di prendervi parte), e avere una maggiore “certezza” dei tempi, con conseguenti minori possibili dilatazioni per le produzioni televisive.

Ricordiamo però che in questo 2015 “solo” 10 incontri sono andati oltre il 6-6 nel parziale decisivo. Un numero francamente insufficiente per suffragare la teoria dell’”accorciare i tempi”. Smarrire questa peculiarità oramai propria solo dell’Australian Open, del Roland Garros e di Wimbledon, è davvero una decisione positiva, condivisibile e auspicabile per lo spettacolo e la storia di questa manifestazione?

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