Chiamatelo Noiak Djokovic, parte seconda

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Chiamatelo Noiak Djokovic, parte seconda

Novak Djokovic ha vinto, con Shanghai, il quinto Masters 1000 dell’anno, il venticinquesimo della carriera, la certificazione del copione che va avanti dall’inizio del 2015: è lui il più forte, nessun se, nessun ma. Può diventare il più forte di sempre? Non si sa, ma è giusto che se ne inizi a parlare

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Passano sei mesi, cambia tutto, cambia niente. Era il 7 di aprile quando qualcuno si azzardò (non sia mai!) a dare a Novak Djokovic del noioso, non tanto per il gioco che esprime quanto per la noia che arreca ai media di tutto il mondo da ormai tutto il 2015 che non sanno più cosa inventarsi per celebrarlo. Niente più glutine, né Becker, né matrimonio, né paternità: le abbiamo finite tutte, possiamo solo starcene con il taccuino in mano e dire che Novak Djokovic è semplicemente il più forte della piazza, una categoria superiore rispetto agli altri. Non gli avranno ancora dato del vecchietto, non giocherà un tennis d’altri tempi, non avrà la spinta delle folle (ma sarà poi vero?), non verrà idolatrato come l’incarnazione dello spirito del tennis, ma per questo non merita che gli venga riconosciuto quanto dimostrato finora?

Son passati sei mesi, ma Noiak Djokovic resta ancora là. Ha appena demolito la concorrenza a Shanghai, incassato un altro titolo a livello Masters 1000 (il venticinquesimo), mai perso un set, addirittura mai perso più di cinque game in uno stesso set se non contro un ispirato Bernard Tomic, breakkato solo quattro volte in cinque incontri. E i numeri delle prestazioni si fanno ancora più imponenti se si allarga lo spettro dei match considerati. Anche a Pechino (ATP 500) è stata la stessa storia: nessun set perso, mai perso più di tre game in un parziale (ed è successo solo una volta). Una striscia di vittorie che è iniziata dagli US Open, per un totale di diciassette. E a guardare i numeri del ranking ATP, si ha ancora più paura. Da domani i punti di Djokovic saranno 16.785, il suo record personale che migliora quello post US Open di 16.145 punti; la distanza dal numero 2 del mondo, Andy Murray, ammonta a 8.035 punti, che è quanto lo stesso Murray ha di vantaggio nei confronti del numero 70 della classifica ATP.

Djokovic è il primo tennista di sempre a raggiungere 7 finali Masters 1000 in una sola stagione ad è l’unico ad aver vinto in due stagioni differenti 5 titoli Masters 1000 (nel 2011 è il precedente)… e manca ancora Parigi-Bercy! Ha perso una tantum da Roger Federer a Cincinnati e Andy Murray a Toronto. Solo una volta in questa stagione non è arrivato in finale ai tornei a cui ha partecipato, ed è stato per merito del servizio di Karlovic a Doha. 73 vittorie e 5 sconfitte in stagione. 151 vittorie contro tennisti in top10 fin’ora, secondo solo dietro a Federer che ne ha 192, ma che a 28 anni (l’età di Djokovic) ne aveva 119.

Novak Djokovic è ancora Noiak Djokovic, il dominio è oramai indiscusso. Ma…
Novak Djokovic è il più forte, è il numero uno del mondo, ma…
Ma… cosa? La cosa più sconcertante del dominio di Djokovic è che sembra che  si debba per forza fare fatica ad ammetterlo.
Djokovic è il più forte ma non riesce a vincere il Roland Garros. Djokovic è il più forte però non è il più talentuoso. Djokovic è il più forte ma non emoziona. È una macchina, non costruisce il gioco, è soltanto un muro… chi più ne ha più ne metta. Novak Djokovic è il più forte ma nessuno riesce a prenderne consapevolmente atto.

Non bastano i numeri a certificare uno strapotere su ogni superficie che non è solo fisico, ma è anche tecnico e tattico. La storia di Djokovic “campione di gomma” non esiste più: alzi la mano chi riesce a trovare un solo punto debole nel gioco del serbo, che riesce a passare dalla fase difensiva a quella offensiva con una naturalezza unica; che ha la forza mentale per giocare contro uno stadio intero una finale Slam senza scomporsi; e poco conta se lo avevamo ricordato solo per la incredibile flessibilità che da sempre lo contraddistingue, c’è anche altro. Per esempio l’estrema facilità con la quale Djokovic riesce ad adattarsi al gioco dell’avversario, qualsiasi esso sia. Vince il batti-e-ribatti con Murray, rende inoffensivo il topsin di Nadal, disinnesca l’inventiva e l’aggressività di Federer. Vogliamo parlare a proposito di come è riuscito a contrattaccare alla SABR, la sconvolgente nuova risposta in controbalzo, durante la finale degli US Open? Due pallonetti consecutivi così magistralmente eseguiti che avevano la stessa eleganza di una volée di rovescio dello stesso Federer.

https://youtu.be/lD3ZMcPfnd8?t=15m20s

E così non regge nemmeno la storia del paragone Djokovic-Lendl, il campione che non è amato. Djokovic in ogni stadio in cui va è il beniamino delle folle, non sarà di certo il tifo per Federer, che è superiore, a scalfire questo fatto. In ogni torneo in cui va parla la lingua del posto durante la premiazione e il pubblico lo acclama; quest’anno in Cina s’è cimentato anche nella scrittura in cinese sulla telecamera.

Tanto meno vale l’obbiezione principale che viene mossa contro Djokovic: ancora non ha vinto il Roland Garros, né è riuscito a completare il Career Golden Masters vincendo Cincinnati. Una sconfitta con un Wawrinka disumano e una buona giornata di Federer non toglieranno a Djokovic quello che gli è destinato per questione di tempo. E non condizionano nemmeno la stagione ai limiti del pensabile che Djokovic ha giocato quest’anno. Nemmeno il 2011 è paragonabile per prestazioni e qualità.

La verità è che bisogna rassegnarsi. Niente sé, niente ma. Novak Djokovic è il più forte e lo resterà a lungo, come giustamente ha detto anche Ubaldo Scanagatta dopo gli US Open. 10 Slam, 25 Masters 1000, 169 settimane alla posizione numero 1 del ranking, nel miglior momento della carriera. 17 Slam, 27 Masters 1000, 302 settimane alla posizione numero 1 del ranking, sono i record da battere. “Nulla è impossibile. Ho quel tipo di assetto mentale.” – dice lo stesso Djokovic – “So che c’è una lunga strada per infrangere questi record. Ma mi lusinga anche solo il fatto che le persone li nominino e ne parlino.”

Djokovic ha 28 anni, non è più giovanissimo, ma la soglia di età che certifica il declino di un atleta si è di questi tempi spostata in avanti. Anche noi abbiamo scritto a bizzeffe di articoli in proposito (1 23). Ma, giusto per aggiungere un po’ di prospettiva a questo discorso, bisogna ricordare che Federer dai 29 anni in poi ha vinto, nelle competizioni dello Slam, soltanto Wimbledon nel 2012. Nadal li ha compiuti quest’anno, e abbiamo visto che calo spaventoso abbia avuto. Facciano gli scongiuri dunque i suoi tifosi.

Ma se Djokovic riuscirà o meno a raggiungere quei traguardi, sarà solo il tempo a dircelo. Nel frattempo, un’importante attestazione di merito che il serbo ha conseguito, come lui stesso dice, è che se ne parli, che lo si accosti anche solo alla possibilità. Solo così infatti riusciamo ad ammettere il trionfo di Novak Djokovic. Il trionfo di un giocatore di cui, giustamente, non deve essere edulcorato il successo, filtrato il dominio, decorato lo strapotere di storielle e ghirigori narrativi. È arrivato il momento che si pensi a Novak Djokovic nei termini in cui Federer e Nadal sono stati accostati ai più grandi di sempre del tennis. È arrivato il momento di Noiak.

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