Potrebbe essere il colpo di grazia quello inflitto al Miami Open dalla Corte d’Appello del Terzo Distretto della Contea di Miami Dade, la quale alcuni giorni prima di Natale ha respinto l’appello degli organizzatori del torneo di fatto mettendo in serio dubbio la possibilità di effettuare qualunque opera di ammodernamento del Crandon Park Tennis Center, che ogni anno ospita il prestigioso torneo. La International Players Championships Inc., società controllata dal gruppo di management IMG proprietaria dei diritti del torneo combined di Key Biscayne ed impegnata da parecchi anni in una battaglia legale per ottenere i permessi necessari ad ampliare le strutture di Crandon Park, si è vista rifiutare la propria richiesta d’appello contro una sentenza di primo grado che sanciva la legittimità di un comitato di controllo fermamente opposto alla costruzione di altre strutture permanenti nel parco naturale dell’isola di Key Biscayne.
Una vittoria molto importante questa per Bruce Matheson, discendente della famiglia originariamente proprietaria di Key Biscayne che, attraverso questo comitato di cui lui stesso fa parte, sta cercando in tutti i modi di opporsi all’allargamento degli impianti tennistici di Crandon Park al fine di preservare la vocazione naturalistica del luogo, in ottemperanza all’accordo originariamente stipulato tra la famiglia Matheson e la Contea di Miami-Dade negli Anni ’40. Come era successo nello scorso maggio, quindi, quando la stessa Corte d’Appello aveva rifiutato a maggioranza l’appello di Matheson contro la decisione di primo grado che riteneva legittimo il risultato del referendum popolare con cui il 73% dei residenti di Key Biscayne si era espresso a favore dei lavori di riammodernamento, anche in questo caso i giudici della Florida hanno ritenuto di non sovvertire la decisione originale e di infliggere quindi un colpo durissimo alle sorti di uno dei più prestigiosi appuntamenti del calendario tennistico. Secondo quanto riportato dal Miami Herald, nessuna dichiarazione ufficiale è stata per il momento rilasciata dai dirigenti del Miami Open, il cui legale Eugene Stearns ha però fatto capire senza troppi giri di parole di come un trasferimento del torneo sia ormai solo una questione di tempo: “Il contratto attuale rimane in essere per altri otto anni, ma a questo punto è difficile prevedere se l’accordo verrà portato a termine. Certamente verranno valutate tutte le ipotesi, ma ora come ora [Miami] è un luogo ostile in cui organizzare l’evento”. Sembrerebbe dunque sempre più vicina l’ipotesi di un trasloco, dal momento che il modo in cui la sentenza di appello è stata emessa, ovvero senza una giustificazione scritta, impedisce il ricorso alla Corte Suprema, ponendo fine alle speranze della International Players Championships di delegittimare il comitato di controllo del Crandon Park Tennis Center.
Certamente la IPC potrebbe provare ad ottenere qualche concessione da Matheson che permetterebbe l’attuazione di un piano meno ambizioso di quello da 50 milioni di dollari originariamente in cantiere, come ventilato dal legale di Matheson, Richard Ovelmen, ma appare improbabile che dopo una vittoria così importante il miliardario americano si lasci convincere ad ammorbidire la sua posizione. Dopo tutto la sua auto-proclamata missione è sempre stata quella di preservare la vocazione naturalistica di Crandon Park contro chi vuole trasformarlo in un impianto sportivo con molteplici stadi permanenti. “A meno di miracoli, le chance che il torneo rimanga a Key Biscayne al momento sono ridotte al lumicino” ha ribadito senza mezzi termini l’avvocato Stearns, facendo anche capire come tutte queste vicissitudini legali potrebbero fornire alla IPC un motivo per rescindere il contratto con la Contea di Miami-Dade per la disputa del torneo a Key Biscayne, in quanto si potrebbe configurare l’ipotesi di inadempienza contrattuale da parte dell’ente pubblico, che non avrebbe creato le condizioni per consentire alla IPC di svolgere il torneo in maniera adeguata. Ma ciò che maggiormente sembra far pensare alla dipartita del torneo verso altri lidi è la relativa nonchalance con la quale le autorità locali, in primis il sindaco di Key Biscayne Mayra Peña Lindsay, hanno accolto gli ultimi sviluppi della vicenda giudiziaria. La signora Peña Lindsay ha infatti confermato al Miami Herald come il benestante villaggio di Key Biscayne non abbia necessariamente bisogno del torneo dal punto di vista economico, nonostante sia molto popolare tra i residenti e nonostante le restrizioni al traffico imposte dal torneo vengano ritenute sopportabili dalla popolazione locale. Ma dei 387 milioni di dollari che secondo la IMG il torneo genera in termini di ricaduta economica, ben pochi rimangono nella comunità di Key Biscayne, dato che la stragrande maggioranza di pubblico ed addetti ai lavori proviene da Miami, con tutto quanto ne consegue dal punto di vista del traffico e della logistica “da incubo” che, come è stato più volte sottolineato, caratterizzano il Miami Open. Se dunque i relativamente deboli legami con il territorio ed il desiderio dell’IMG di generare maggiori profitti dai diritti del torneo rendono piuttosto facile prevedere un trasloco del Miami Open verso una nuova sede, rimane molto meno facile prevedere quale sarà la destinazione finale di questo torneo. Si sono fatti i nomi di Dubai, Pechino, Rio, Mosca, si è ipotizzata una “soluzione interna” con la permanenza in Florida ma nel nuovo centro tecnico USTA in via di costruzione nei pressi di Orlando, ma è altrettanto probabile che un Miami Open con le valigie pronte possa dare il via ad un effetto domino che potrebbe rivoluzionare il calendario come e forse più di quanto non accadde nel 2009 con la retrocessione di Amburgo (e Montecarlo, che poi riuscì a mantenere il suo status con un accordo extragiudiziale) da Masters Series ad ATP 500 ed il suo spostamento in calendario da maggio a luglio per far posto al Mutua Madrid Open.
Siamo certi che l’ATP ha ben presente gli oltre 7 milioni di dollari in spese legali che dovette affrontare per difendere (vittoriosamente) la causa intentata dagli organizzatori tedeschi (supportati dai dollari del Qatar, che aveva investito pesantemente nel tennis in Germania), cifra che rischiò di far andare in bancarotta il sindacato giocatori. Se dovesse esserci un rimescolamento di carte a partire dal 2017, dopo il solito ingorgo quadriennale provocato dalle Olimpiadi, è verosimile pensare che tutte le parti in causa verranno interpellate a dovere, anche se potrebbe prevalere la voglia da parte soprattutto dell’ATP di andare a sfruttare i nuovi mercati asiatici (dove già la WTA ha investito parecchio) che sembrano rispondere in maniera entusiastica ad eventi come l’ITPL ma che spesso e volentieri presentano tribune deserte in occasione dei tornei ufficiali.