AO: fuori i secondi. Proprio sicuri su Djokovic e Serena Williams?

Australian Open

AO: fuori i secondi. Proprio sicuri su Djokovic e Serena Williams?

Tutta l’attenzione degli appassionati è ormai rivolta a Melbourne Park, dove all’una del mattino di lunedì 18 gennaio comincerà il primo Slam dell’anno. Tra gli uomini forse non è già tutto deciso, impossibile comprendere le donne. E le brutte sensazioni per il tennis italiano, nonostante un buon Fognini

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In prossimità di uno slam anche le settimane diventano più corte, così domani, sabato, sarà il giorno delle finali dei tornei di Auckland, di Sydney e di Hobart. L’altra finale, quella WTA di Sydney, si è giocata oggi e ha visto la netta vittoria della nuova compagna di doppio di Roberta Vinci, Svetlana Kuznetsova, una ragazza russa che in quest’epoca di super eroi (ed eroine) sembra una passata per caso ma che in fondo ha vinto due slam, è stata numero 2 del mondo e ha sempre messo in mostra un’intelligenza tattica non proprio comune nel circuito (maschi compresi). A Sydney Svetlana  ha fatto fuori una dietro l’altra Sabine Lisicki, Sara Errani e Simona Halep, prima di travolgere in finale la malcapitata Puig. Potrà essere protagonista a Melbourne?

Ad Auckland c’è una finale a sorpresa. Invece dei numeri 1 e 2 del tabellone, Ferrer e Tsonga, il titolo se lo contenderanno Jack Sock e Roberto Bautista Agut.  Non è il caso di gridare al miracolo e tutto sommato la sorpresa è relativa. Sia Ferrer che Tsonga aspirano a fare un po’ di strada a Melbourne e visto che sono a meno di 72 ore dall’esordio non è improbabile che ci abbiano pensato due volte prima di dannarsi l’anima. E se non è improbabile per loro sembrerebbe quasi certo per un altro numero 1 di tabellone, Bernard Tomic, che si è ritirato praticamente in contemporanea con il sorteggio di Melbourne Park. L’australiano ha dato un’occhiata al tabellone, ha stabilito che può farcela ad eguagliare il suo record nello slam di casa (il quarto turno raggiunto nel 2015 e nel 2012) e che è meglio giocarsi le sue carte contro Andy Murray senza correre troppi rischi in tornei minori ha salutato tutti e ha lasciato la finale a Troicki, che domani se la vedrà con Grigor Dimitrov.  A questo punto il fatto che Grigor abbia fatto una scelta diversa può dare da pensare. Il suo calendario è sin troppo agevole nei primi due turni – Lorenzi e un qualificato – e proibitivo al terzo, quando dovrebbe incrociare Federer, posto che Dolgopolov non ne combini una delle sue. Purtroppo per lui il bulgaro paga il disastroso 2015, che lo ha scaraventato lontano dalla top10 e quindi la risalita, se ci sarà, passerà da durissimi scontri.

E con Federer si passa ai piani nobili, agli aspiranti al titolo. Su Roger è complicato dire qualcosa che non sia stata già detta, e ha giocato troppo poco per capire se Ljubicic abbia già cominciato a intervenire su qualcosa. Brisbane può significare due cose: o che anche da febbricitante l’immenso fuoriclasse è ancora in grado di portare a casa senza troppi patemi partite non semplicissime sulla carta (Dimitrov e Thiem); oppure, viceversa, che l’età comincia a presentare il suo conto e difficilmente potremo rivedere Federer in perfette condizioni fisiche. Il calendario del numero tre del mondo è potenzialmente terribile, abbiamo già detto di Dolgopolov e Dimitrov, poi potrebbe essere il turno di Thiem o Goffin e nei quarti trovarsi Berdych o, chissà, magari proprio Nick Kyrgios. Un tempo, forse ancora l’estate scorsa, un calendario del genere non avrebbe procurato troppi patemi ai suoi innumerevoli tifosi; oggi, sotto il sole australiano, in uno dei campi meno rapidi del circuito in cemento, con l’ombra di Seppi dietro le spalle, non sono in pochi quelli che si accontenterebbero di arrivare fino a Djokovic. Ma per il poco che possiamo conoscere lo svizzero, lui non è tra quelli.

Già Djokovic. Il campione uscente, l’ultimo che ha vinto uno slam, quello che arriva solo in finale e spesso le vince, l’imbattibile, il cannibale, chi più ne ha eccetera. Quello che dovrebbe rendere inutile addirittura l’intero torneo, tanto vince lui. E che comincerà saggiando i progressi di uno dei ragazzi più talentuosi – o almeno uno di quelli che ha l’aria di crederci di più – della nidiata dei secondi anni ’90: il coreano Hyen Chung, che gioca con gli occhiali ed è alle soglie dei primi 50 del mondo. I nostri lettori ricordano senz’altro la finale di Wimbledon persa contro il semidesaparecido Quinzi ma forse val la pena ricordare che Wawrinka ha avuto bisogno di tre tiebreak per superarlo a New York; che a Wimbledon alla sua prima apparizione tra i grandi ha perso solo 10-8 al quinto; che Cilic ha faticato sette camicie per domarlo. Non che questo significhi che ci sarà partita ma ci sono primi turni più semplici. Il serbo poi troverà Dodig, speriamo Seppi, uno tra Simon e Karlovic e poi o Tsonga o – come sembra verosimile ma il con il giapponese non si sa mai – Kei Nishikori. Dopo la famosa sconfitta di New York Nole non ha quasi più sofferto con Nishi ma siamo all’inizio dell’anno e Kei è potenzialmente in grado di dare più di qualche fastidio al serbo. Se nell’off season ha lavorato davvero sul servizio, se ha riposato bene e i muscoli tengono, se Kohlschreiber, Paire o Tsonga non lo stancano troppo, insomma se se se chi vuol fermare il serbo farà bene a investire qualche centesimo sul giapponese. In ogni caso è qui che ne sapremo di più, perché il Nole delle finali è praticamente irraggiungibile, ma quello dei primi turni ha a volte qualche distrazione di troppo. Negli ultimi due slam le ha avute contro giocatori che non erano in grado di approfittarne, ma Nishikori è di un’altra pasta. Vedremo.

La parte bassa del tabellone è presidiata da Murray, che ha avuto un tabellone agevole ma che incrocia Tomic negli ottavi. Superato quello sarà difficile fermarne la corsa verso la finale, anche se Andy sarà con la testa in Scozia dove non è impossibile che arrivi l’erede. Anche in questo caso si sono fatti sin troppo discorsi sui vantaggi o svantaggi della paternità, quel che è certo è che non è prevedibile quindi non ha tanto senso parlarne. Meglio pensare all’avversario di semi, che potrebbe essere addirittura Rafael Nadal, uno che però dopo l’accoppiata Melbourne (finale)-Parigi (vittoria) del 2014 negli slam sembra essere diventato uno qualsiasi: quarto turno a Wimbledon, assente a New York, fatto fuori malamente nei quarti a Melbourne e Parigi, e due sconfitte al secondo e terzo turno contro Brown e Fognini non proprio Edberg e McEnroe. Credere nella resurrezione è un po’ dura e solo il terrore che l’uomo di Manacor ha seminato nel circuito in questi anni induce ad andarci molto cauti. E a dirla tutta non è che il gioco mostrato in questi mesi stia lì a rasserenare i tifosi. Però Rafa parte sempre con un set di vantaggio, grazie alla sua meravigliosa attitudine agonistica, chissà se basterà.

Infine Stan the Man, l’uomo per cui davvero tifano tutti, nadaliani e federeriani, djokoviti e murrayani. Stan qui ha vinto due anni fa e a Parigi è sembrato l’angelo vendicatore sceso dal cielo o il demone di satana salito dall’inferno per negare, a furia di paurosi ceffoni di rovescio il Roland Garros a Nole. Dietro l’aria serafica di Stan si nasconde un signore che sembra stia seguendo un piano ben preciso, se si considera la continuità che è riuscito a trovare negli slam. E se tutti alcuni si sono sorpresi a Parigi, è solo perché non ricordavano non tanto lo Stan del 2014, ma quello del 2013 quando per un’ora buona trattò Novak Djokovic, che poi vincerà il torneo, come un qualsiasi top100, per poi cedere alla sua scarsa convinzione più che all’avversario al ventiduesimo game di un indimenticabile quinto set. Wawrinka non ha un tabellone agevole, Sock e Raonic possono dargli più di qualche fastidio ma saremmo stupiti di non vederlo in campo il giorno dei quarti di finale. Contro Nadal?

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