Italia k.o. già al venerdì sera, né Vinci né Seppi illudono

Editoriali del Direttore

Italia k.o. già al venerdì sera, né Vinci né Seppi illudono

MELBOURNE – Australian Open. Perché invidio tanto gli australiani e quelle rivalità che fanno tanto bene ad uno sport. Non le abbiamo più, nel tennis, da almeno 40 anni

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Anche a Wimbledon sei mesi fa l’Italtennis era uscita dal torneo senza sfiorare gli ottavi. Ma sull’erba in linea di massima abbiamo quasi sempre avuto risultati meno buoni che a Parigi.
In Australia dal 2009 in poi ci era sempre andata meglio, salvo l’anno scorso per le donne – mentre Seppi era giunto agli ottavi – e in precedenza anche avevamo avuto qualche annata soddisfacente grazie a Francesca Schiavone e a Adriana Serra Zanetti fra le donne, a Renzo Furlan fra gli uomini.
Francamente non si poteva pretendere che Andreas Seppi, già autore di un miracolo un anno fa quando aveva battuto Roger Federer dopo 10 sconfitte consecutive, ne facesse un altro contro Novak Djokovic, il campione di 5 Australian Open e un Superuomo che oggi non sembra ancora manifestare quei “bassi” di cui invece Roger Federer, anche per questioni fisico-anagrafiche di cui è stato ogni tanto vittima negli ultimi due anni.
Andreas, dopo un primo set in cui è stato demolito, quasi travolto da uno schiacciasassi, ha giocato dal secondo set in poi molto vicino al massimo delle proprie possibilità. E non è bastato perché Djokovic è di un’altra categoria. Tuttavia avrebbe potuto strappargli un set, il terzo, nel quale dopo aver fallito due pallebreak consecutive per il 3-1 (niente da fare sulla prima, mentre sulla seconda si poteva fare meglio) è riuscito a rimontare un minibreak di handicap (1-3 e 2-4) facendo 4 punti di fila fino al 6-4 e avendo quindi l’opportunità di giocarsi due setpoint, il secondo sul 6-5 e servizio. E se il primo è stato bravo ad annullarlo Novak venendo a rete, sul secondo Andreas – che aveva fin lì tirato a tutto braccio tutto e di più sia di dritto e sia di rovescio – si è ritrovato il braccino che lo ha trattenuto tante volte in carriera e ha messo in rete un rovescio flaccido. Una stecca di dritto sul 6 pari ha dato il matchpoint a Djokovic che naturalmente il braccino non lo ha avuto, anche se era sembrato un pochino più nervoso del solito da metà secondo set in poi. E con un 6-1, 7-5, 7-6 (8-6) il n.1 del mondo ha archiviato la pratica, raggiunto gli ottavi e Gilles Simon (vittorioso su Delbonis 6-3, 6-2, 6-1), mandato a casa l’ultimo italiano.
Secondo alcuni battere Djokovic, questo Djokovic, per Seppi sarebbe equivalso come exploit sportivo alla vittoria di Roberta Vinci su Serena Williams a Flushing Meadows. Mica si possono sempre fare miracoli.
Non ci voleva un miracolo invece per battere la Friedsam. Sarebbe bastata una Roberta Vinci all’altezza delle sue possibilità. Non è stato così, purtroppo. Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Del suo match ho scritto a lungo e vi rimando lì, così come alla sua intervista.
Come scrivevo già ieri il momento del tennis italiano è tutt’altro che allegro. Stanno sparendo gli alfieri della vecchia generazione, giovani all’orizzonte non ce ne sono. Qui c’è una spedizione di cinque junior, tre ragazzi e due ragazze. Tutte le ultime spedizioni giovanili cui ho assistito negli Slam sono state super-deludenti. Mai nessuno che sia andato avanti sul serio dal Wimbledon vinto da Gianluigi Quinzi nel 2014. Tutt’al più qualche doppio… ma insomma, lo sappiamo che ormai il doppio è diventata una gara di consolazione per singolaristi falliti o comunque poco vincenti.
Invidio dunque l’Australia che ha un paio d giocatori almeno di buon presente e forse ancor migliori prospettive.
Qui si discute molto, sui media australiani, se abbia più futuro Bernard Tomic o Nick Kyrgios, per non parlare di Kokkinakis, infortunato, che in questo torneo lo si è visto soltanto come testimonial del caffè Lavazza, in una veste insolita quindi (mentre Toni Nadal che avrebbe dovuto presenziare era invece a preoccuparsi del nipote: preoccupazione più che giustificata visto che quella stessa sera di martedì Rafa ha perso da Verdasco).
Fra Kyrgios e Tomic in questo momento la classifica parla a favore di Tomic, n.17, 12 posti più su di Kyrgios n.29.
E il gap, anziché attenuarsi, rischia di crescere dopo che stamani (per chi sta in Italia) Kyrgios che lo scorso anno qui aveva battuto Seppi (giustiziere di Federer) infilandosi nei quarti ha perso da Berdych al terzo turno. Quindi perderà qualche punto e posto.
Invece Tomic al terzo turno trova un altro australiano, John Millman – …l’uomo del mulino, ma non è sponsorizzato dalla Barilla – che è solo n.95 del mondo e dovrebbe batterlo per arrivare contro Murray in ottavi. Quindi ripeterebbe, anche perdendo con lo scozzese, lo stesso cammino fatto un anno fa.
Kyrgios è classe ’95, Tomic ’92, e tre anni possono voler dire molto. Tant’è che tutti qui sembrano convinti che Kyrgios abbia più avvenire di Tomic, e questo anche perché Tomic – che già nel 2011 era giunto nei quarti di finale a Wimbledon, e strappando un set a Djokovic che avrebbe poi vinto il torneo – non sembra così desideroso di lavorare duramente per migliorarsi.
Kyrgios ha incredibili difetti comportamentali, sembra davvero molto “tamarro”, anche contro Berdych ha fatto le solite scene insopportabili, e fra i due australiano davvero in termini di maleducazione e cafonaggine è una gran bella lotta, ma alla fine qui sembrano tutti credere di più nel potenziale di Kyrgios che in quello di Tomic.
Tomic si lascia distrarre facilmente, macchine sportive (con le quali infrange regolarmente i radar della velocità e becca multe in continuazione) e dalle belle donne, Kyrgios forse perché più giovane e meno ricco, sembra ancora avere il tennis in cima alle proprie priorità.
Secondo Todd Woodbridge Kyrgios dei due è quello che gioca con maggior coraggio, che rischia di più, che “goes for the shots”. “Può creare situazione, cambiare il corso di un match con il servizio, con il dritto… ha qualcosa di più esplosivo che a Tomic manca”.
I risultati con i top-ten parrebbero in effetti dimostrarlo: Kyrgios ha battuto quattro top-ten, inclusi Nadal e Federer, Tomic nessuno (salvo Murray… ma nella Hopman Cup che conta zero).
Sotto pressione i due reagiscono in modo differente: Tomic resta passivo, Kyrgios invece è aggressivo.
Kyrgios è di Canberra ma tradisce le sue origini greco-mediterranee con il suo modo anche folcloristico di vestirsi, di conciarsi, di gesticolare, di urlare, di fare …”del circo” come ha detto lui stesso alla fine del suo match con Cuevas. Ieri si era allenato con 11 persone al seguito: madre, padre, fratello, sorella, agent, fisio, preparatore atletico,tre amici e sparring partners più un altro paio di supporter non meglio identificati.
Ricorda in questo, un tantino l’Agassi punk con i capelli verdi – sebbene lui sembri più un mohicano – e i jeans, più il codazzo di strani amici e presunte bodyguards.
Però anche lui, così come un anno fa Tomic, è andato a sbattere contro il muro ceco costituito da Tomas Berdych. Il quale, alla faccia di coloro che si ostinano a chiamarlo Perdych è invece costantemente un top ten da… anni e secondo me batterà Bautista Agut (che ha sorpreso l’irriconoscibile Cilic) e potrebbe anche ribattere Roger Federer come gli è già riuscito.
Insomma beati gli australiani che hanno questi tre giovani tennisti di sicuro talento e che fanno discutere su chi sia il migliore, su chi abbia più avvenire, un po’ come è accaduto negli anni Cinquanta in Italia quando furoreggiava la rivalità fra Pietrangeli e Gardini, a fine anni Sessanta quella fra Panatta e lo stesso Pietrangeli (protagonisti di due straordinarie finali agli Assoluti di Bologna e di Firenze), prima che all’inizio degli anni Settanta maturasse la rivalità fra Barazzutti e Bertolucci per il secondo posto di singolarista in Davis – un pigro Bertolucci si arrese troppo presto, per dedicarsi prevalentemente al doppio divenendo un tantino troppo presto “vassallo” di Panatta – prima che Barazzutti arrivasse ad insidiare la supremazia di Panatta.
Dopo di loro, dopo quei tempi, vere rivalità non ce ne sono state. Non si può dire che Canè e Camporese fossero veri rivali, né Gaudenzi e Sanguinetti, e tantomeno Furlan, Caratti, Pescosolido e Nargiso.
Forse perché nessuno è stato davvero forte, capace di inserirsi fra i primi 15 del mondo. Similmente non si può dire che Fognini e Seppi, pure essendo stati entrambi top20 possano dirsi veri rivali. Ed è un peccato, perché le grandi rivalità sono il sale dello sport, da Gros a Thoeni, da Di Biasi a Cagnotto, da Berruti a Ottolina, da Mazzola a Rivera, da Benvenuti a Mazzinghi, da Thoeni a Gros, da Valentino Rossi a Max Biaggi, e potrei citarne a decine ancora, queste rivalità hanno giovato enormemente alla popolarità degli sport che hanno praticato.
Nel tennis italiano negli ultimi 40 anni purtroppo queste rivalità ad alto livello non ci sono state perché semplicemente l’alto livello non lo ha raggiunto nessuno.
Così gli sportivi italiani si sono riversati a tifare Federer oppure Nadal per più di un lustro, e adesso per Djokovic in assenza di alternative seducenti nazionali.
Il dramma, se di dramma si può parlare, è che all’orizzonte non si profila proprio niente. Buio assoluto.
E se fino a 20 anni fa un campione poteva anche sbucare dal nulla, da un sedicenne quasi sconosciuto perfino fra gli junior e che poi a sorpresa poteva vincere addirittura uno Slam, oggi invece ci vogliono almeno cinque o sei anni per venire fuori e farsi una classifica decente.
Per questo la situazione è più preoccupante. Se non c’è nessun italiano, o italiana, fra i primi 250 che mostri di avere grande talento già oggi, difficilmente nei prossimi cinque anni avremo un top-20, non dico un top-10, un top-5 e non pensiamo nemmeno a un numero 1 del mondo.
Ci aspettano tempi duri, molto duri. E non sapete quanto mi dispiaccia crederlo. E quanto vorrei essere smentito, mentre i nostri “politici” si sciacquano la bocca con risultati straordinari che solo loro vedono.

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