Messico e poche nuvole. Cosa ci lascia febbraio

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Messico e poche nuvole. Cosa ci lascia febbraio

Dopo che l’Australian Open aveva un po’ soffocato le speranze di vedere qualche nome nuovo, febbraio ha invece presentato almeno due grandi protagonisti. Uno di loro, Dominic Thiem, sta ripercorrendo i passi nientemeno che di Rafael Nadal. L’altro, Nick Kyrgios, non ricorda nessuno, ed è anche meglio così

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Ottavi di finale dell’Australian Open 2005. Sono di fronte la testa di serie numero tre e un giovane spagnolo, di cui si dice un gran bene, ma che pare davvero molto grezzo. Dritto mai visto prima, ma servizio e rovescio rivedibili.  Lo spagnolo va avanti due set a uno, arriva al tibreak del quarto e rolla nel quinto, mentre Lleyton Hewitt arriverà fino alla finale. Lì non incontrerà Roger Federer, lo svizzero che ha vinto Wimbledon per la seconda volta e si è imposto a New York concedendo solo sei game e rifilando due bagel allo stesso Hewitt. Tanto per capirci era la prima volta nella storia che in una finale slam lo sconfitto subisse due 6-0 in tre set sul cemento (Richard Sears c’era riuscito in uno sport simile ma in 4 set nel 1884; a Parigi, in un altro sport ancora, nel 1936 Von Cramm superò Fred Perry vincendo 6-0 sia il primo che il quinto set; insomma solo Vilas che nel 1977 a Parigi vinse contro Gottfried 60 63 60 aveva fatto meglio) e non si capiva chi e come potesse fermare quel ragazzo con la coda. Dei vincitori Slam del 2000, Gaudio aveva vinto misteriosamente ma non troppo e non era il caso di aspettarsi una replica; Johansson era rotto; Ferrero non solo era sempre rotto ma gli era persino venuta la varicella, che da adulti è meglio prendere sul serio; Kafelnikov, Costa e Agassi erano vecchi; Kuerten si era ritirato; Ivanisevic vabbé, Safin era Safin e di Roddick Federer aveva ampiamente mostrato di poterne fare ciò che voleva. Per fortuna Federer ogni tanto ci pensava da solo a fermarsi come in quell’Australian Open, uno dei tanti slam persi in modo da rimpiangerli da vecchio.
Nel frattempo però lo spagnolo inizia la sua tournée sudamericana, con risultati alterni ma promettenti. A Buenos Aires si ferma ai quarti contro Gaudio, però prima vince a San Paolo e poi ad Acapulco, quando era ancora sulla terra. Tornei minori, nessun top10 presente, a parte Canas, numero 12, neanche un top50 battuto. Lo spagnolo, salta Indian Wells ma a Miami arriva dritto in finale. Complice un discreto calendario – nessun top10 fino alla finale – arriva al cospetto di Federer e per poco non lo batte. Il resto probabilmente lo conoscete.

Facciamo un altro passo indietro. Siamo nel 1990, Edberg ha appena vinto il suo secondo Wimbledon e si appresta a diventare il nuovo numero 1 al mondo. Lendl è un po’ in decadenza – a gennaio ha vinto quello che sarà il suo ultimo titolo dello slam in modo un po’ avventuroso, e tranne che in Australia è dal 1987 che non vince uno slam – ma è pur sempre il numero 3 e rimane capace di una costanza di rendimento invidiabile. E poi c’è Becker, finalista di Wimbledon e detentore di Flushing Meadows. Un ragazzo del Maryland, dal servizio talmente devastante da rendergli complicato l’approccio a rete,  salta il Roland Garros e viene eliminato a primo turno a Wimbledon. Vince un titolo a Manchester e passa l’estate giocando tutti i tornei possibili sul cemento nordamericano. Non ne vince neanche uno, anzi perde da Chang, Ivanisevic, naturalmente Edberg. Poi arriva a New York, fatica con Muster, si fa riprendere da due set a zero da Lendl per poi schiantarlo al quinto, supera Mac in semifinale e concede solo nove game in finale ad Agassi.

Una cosa del genere si potrebbe scrivere per Safin, si parva licet, ma anche per Borg o addirittura – addirittura – John McEnroe, anche se Superbrat arrivò in semifinale a Wimbledon da perfetto sconosciuto ma poi dovette aspettare più di due anni per aggiudicarsi uno slam. Giocatori che si sapeva sarebbero “arrivati” ma che non si capiva mai fino a dove e soprattutto quando.

La sensazione lasciata da questo mese di febbraio del 2016 è più o meno quella. Su tutti chiaramente si erge Dominic Thiem, dai risultati così incredibilmente simili a quelli dello spagnolo di cui abbiamo parlato per primo. Thiem ha sofferto le pene dell’inferno contro tal Nadal (toh) a Buenos Aires; si è imbufalito contro Pella a Rio per via della bufera che imperversava sul “Guga Kuerten” (sic); e infine ha dato vita ad uno splendido match contro Bernard Tomic ad Acapulco (che non è più su terra).  Se proprio vogliamo continuare il giochino del déjà vu, Thiem era stato fermato al terzo turno degli Australian Open. Se Thiem salterà Indian Wells forse è il caso di cominciare a tenerlo in considerazione per il Roland Garros…

Ma febbraio è stato anche il mese, o almeno i 15 giorni di Nick Kyrgios. Non sono tanto i risultati ad avere impressionato – anche se vincere un torneo ed uscire in semifinale per infortunio dall’altro non è male – quanto il modo. A Marsiglia l’australiano ha concesso solo 4 palle break e non ha mai perso il servizio; a Dubai ha preso a pallate per la seconda volta di fila Berdych e superato Klizan che era reduce dalla sua prima vittoria in un “500”. E in generale ha dato l’impressione di essere sempre in totale controllo dei suoi match. Forse l’atteggiamento finisce con celare agli occhi degli osservatori che stiamo parlando di un tipo che ha appena 20 anni e già così pare fortissimo.

Ma, ancora, a febbraio c’è stato spazio anche per Martin Klizan, un mattocchio su cui magari non è il caso di fare troppo affidamento ma che in futuro magari qualche grossa sorpresa può provocarla e per lo stesso Bernard Tomic, un altro che se ha i 5 minuti è in grado di non far vedere la palla neanche a Djokovic ma che purtroppo per lui il restante tempo lo vede in lotta contro vari demoni. Nel caso di Tomic si è un po’ sospesi nell’attesa di un “clic” che potrebbe essere o la grande vittoria contro il Fab di turno, o magari il calendario favorevole in uno slam.

Insomma, passata la sbornia per Grigor Dimitrov, che speriamo di recuperare ma che davvero sembra entrato in una fase involutiva più che preoccupante; compreso che forse la dimensione (ottima) di Nishikori è questa e non è forse il caso di aspettarsi troppo di più; sospesi per quanto riguarda il ritorno di Del Potro, a cui niente possiamo chiedere, questo febbraio sembra ci abbia detto, che per quanto il re accecato ha un lavoro da terminare e  ci penserà due volte prima di cedere il passo a chicchessia, il regno è sotto attacco.
Già a fine marzo sapremo se le mura del castello sono davvero così solide.

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