Storie di Coppa Davis: quando amarsi non serve

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Storie di Coppa Davis: quando amarsi non serve

L’attuale squadra australiana di Coppa Davis sembra davvero attrezzata per poter vincere l’insalatiera nel giro di pochissimo tempo. Eppure, dopo quanto accaduto in occasione del match tra Tomic e Isner, stanno emergendo delle tensioni che potrebbero condizionarne i risultati. La storia insegna che, se si vuole cercare di vincere la Coppa Davis, è fondamentale che tutti i compagni vadano nella stessa direzione

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Non è stato un bel weekend per Lleyon Hewitt, che ha dovuto subito incassare la prima sconfitta da capitano (giocatore o non giocatore?) di Coppa Davis per mano degli Stati Uniti guidati da John Isner. Tuttavia, la stampa australiana- e non solo – in questi giorni si è concentrata soprattutto sulle parole di Bernard Tomic, che ha attaccato il connazionale Nick Kyrgios, reo – secondo lui – di aver finto la malattia che non gli ha consentito di scendere in campo sull’erba del Kooyong. L’australiano di origini croate – che in conferenza stampa si è parzialmente giustificato affermando di aver usato quelle parole a causa della foga del momento – ha poi aggiunto che, se il ventenne di Canberra giocherà ad Indian Wells, perderà il suo rispetto. La risposta del numero 27 del mondo non si è fatta attendere: “Foga del momento, non la prendo personalmente. Indian Wells è tra una settimana e c’è tempo. Solamente non ti aspettare aiuti da parte mia in futuro”. Quanto accaduto un paio di giorni fa, tuttavia, è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi che hanno visto due tennisti della stessa nazione avere dissidi tra di loro.

Ad esempio, Adriano Panatta e Corrado Barazzutti non si sono mai amati. Nonostante abbiano condiviso moltissime gioie vestendo la maglia azzurra – tra cui la gloriosa vittoria in Cile nel 1976 – i due non hanno mai avuto ottimi rapporti. Il romano ha sempre ritenuto Tonino Zugarelli un buon amico, mentre Paolo Bertolucci è sempre stato come un fratello per lui – nei primi anni di carriera vivevano addirittura sotto lo stesso tetto. Per quanto riguarda invece il nostro attuale capitano di Coppa Davis, però, l’ex vincitore del Roland Garros ha sempre detto di non avere rapporti con lui, in quanto troppo diversi in termini di carattere, sensibilità e scelte.

Altro caso piuttosto noto è quello che riguarda Ion Tiriac ed Ilie Nastase. I due rumeni, in realtà, sono stati grandi amici fino al 1972. In quell’anno, infatti, ci fu la famosissima finale di Coppa Davis a Bucarest contro gli Stati Uniti. Quell’incontro si disputò presso il Club Sportiv Progresul di Bucarest, su terra rossa. I rumeni erano un’autentica corazzata ed erano i favoriti d’obbligo per la vittoria. L’intera nazione si fermò per questo evento epocale. L’attesa era tale per cui le panetterie vendevano panini a forma di insalatiera. Nel primo “rubber” scesero in campo Nastase e Smith. I giudici di linea, come da previsione, fecero l’impossibile per far vincere Ilie, che però perse con lo score di 11-9 6-2 6-3. Il tennista yankee sfoderò sì una prestazione incredibile, ma Tiriac criticò il compagno per non essersi allenato seriamente in previsione della finale. Gli statunitensi alla fine trionfarono per 3-1 nonostante l’eroismo di Tiriac che venerdì rimontò due set a Gorman e domenica costrinse al quinto set lo stesso Smith. Dopo quanto accaduto in quei tre giorni storici, tutti se la presero con lo “zingaro”, ma in particolare il suo rapporto con l’attuale proprietario del Masters 1000 di Madrid divenne estremamente problematico. Proprio come ha fatto Tomic con Kyrgios, Ion se la prese perché il connazionale, a differenza di lui, non aveva onorato la propria nazione come avrebbe dovuto.

Altri due giocatori che vissero una “convivenza forzata” in occasione di alcuni tie di Davis furono McEnroe e Connors. Quest’ultimo, tra l’altro, rappresentò la nazionale a stelle e strisce piuttosto di rado. Tra le cause del suo scarso attaccamento ai propri colori c’era sicuramente il fatto che fosse un individualista, oltre che egocentrico, lasciando poco spazio al rapporto umano. Inoltre non legava coi capitani, come dimostrano ad esempio i rapporti tesi con Danny Ralston e Tony Trabert. Tuttavia, un altro fattore di notevole importanza fu il fatto che, dal 1978 in poi, il team americano era imperniato su John McEnroe, fondamentale in singolo ed in doppio (col fedele compagno Peter Fleming). “The Genius” non ha mai sopportato Connors: infatti i due, nelle loro sfide epiche nei tornei dello Slam e non solo, duranti i campi di campo spesso si insultavano in una maniera che oggi ci potrebbe sembrare assurda. John inoltre diceva che il connazionale giocava solo per soldi e, dal momento che in Davis si guadagna poco, questa era la ragione per cui aveva poco interesse per la nazionale. Oltre al tie del 1981 contro la Cecoslovacchia, i due “nemici” giocarono insieme per gli USA solamente nel 1984, quando Connors – per la prima ed unica volta – garantì una completa partecipazione. Quell’anno gli Stati Uniti arrivarono in finale, perdendo poi sulla terra rossa di Goteborg contro lo Svezia per 4-1. In quella circostanza Jimmy, dopo aver perso con Wilander in un incontro caratterizzato da grandi polemiche nei confronti dell’arbitro, rischiò una squalifica post-match per gli insulti rivolti al giudice di sedia mentre lasciava il campo. Altra dimostrazione del carattere difficile di Connors è il rapporto tra questi ed il defunto Artur Ashe. Quest’ultimo infatti diceva che ogni volta che lo incontrava aveva la tentazione di prenderlo a pugni ed una frase del genere detta da un gentleman come il campione di Wimbledon del 1975 appare piuttosto indicativa di come Jimbo fosse mal sopportato dai connazionali.

Non si amavano nemmeno Guillermo Vilas e José Luis Clerc, che portarono l’Argentina in finale di Coppa Davis nel 1981, dove persero a Cincinnati per 3-1 contro gli Stati Uniti – in un tie in cui si disputò un doppio memorabile, con Vilas che sul 7-6 al quinto servì per chiudere la disputa, salvo poi perdere il servizio e la partita per 11-9. I due arrivarono in Ohio senza rivolgersi la parola, e così fecero anche durante quel weekend. Il capitano argentino di allora, Carlos Junquet, qualche anno fa in occasione della finale a Mar del Plata del 2008 tra Argentina e Spagna, ha parlato del loro rapporto e di quel doppio incredibile contro McEnroe e Fleming dicendo: “Erano entrambi così professionali che si sono uniti nel perseguire un obiettivo comune e si sono dimenticati di tutto. Giocarono il loro miglior doppio in assoluto”. I due tennisti non spiegarono mai bene le ragioni del loro dissidio, ma hanno comunque saputo superare le loro divergenze e dare il massimo per la patria e questo è senza dubbio qualcosa che è rimasto nei cuori dei tifosi albicelesti.

Altri compagni di Davis “problematici” furono Tim Henman e Greg Rusedski. Anche a causa dell’isteria che c’era in Gran Bretagna per “Timbledon” e dell’atmosfera che si era creata intorno a lui, il finalista degli US Open 1997 non ha mai respirato un’aria serena quando rappresentava la propria nazione acquisita (è stato canadese fino al 1995, ndr). Tuttavia Greg, almeno in apparenza, ha sempre accettato questa situazione. In un’intervista rilasciata qualche anno fa al quotidiano “The Guardian” disse: “Non mi è mai dispiaciuto. È nato e cresciuto in Gran Bretagna e non abbiamo un campione di Wimbledon nel singolare maschile dai tempi di Fred Perry (l’intervista è precedente alla vittoria del 2013 di Murray, ndr) ed il record di Tim ai Championships era eccezionale”. Oltre a questo, i due erano anche molto diversi dal punto di vista caratteriale: Siamo due caratteri completamente opposti: io sono uno schietto e focoso, Tim era più riservato. Siamo entrambi sposati con una donna di nome Lucy ed abbiamo tutti e due delle figlie, ma caratterialmente siamo diversi”.

Andando oltre la Coppa Davis, nemmeno Bob Hewitt e Frew McMillan – che insieme tra la fine degli anni Sessanta e per tutto il decennio successivo vinsero ben cinque prove dello Slam, comprese tre edizioni di Wimbledon – hanno mai avuto buoni rapporti. Secondo molti, vinsero più di un’edizione dei Championships praticamente senza rivolgersi la parola. Eppure, come nel caso di Vilas e Clerc, seppero fare causa comune e raggiungere risultati straordinari, divenendo una delle coppie di doppio più temibili che ci siano mai state.

La storia ci dimostra quindi che il gareggiare per la propria nazione può portare a situazione tese e delicate e che l’unico modo per cercare di vincere è quello di superare le proprie divergenze in vista di un obiettivo comune. Tomic e Kyrgios riusciranno a fare questo per consentire all’Australia di vincere l’insalatiera negli anni a venire? Ai posteri l’ardua sentenza.

Gabriele Ferrara

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