Come (e chi) decide se un farmaco diventa doping. Parla la WADA

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Come (e chi) decide se un farmaco diventa doping. Parla la WADA

In questi giorni ci siamo occupati tutti di doping. Pubblichiamo l’intervista al dottor Olivier Rabin, il direttore del reparto scientifico della WADA, forse la persona che più di tutte decide del destino di un farmaco. Dubbi dissipati? Giudicate voi

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Quella che state per leggere è un’intervista, tradotta mirabilmente da Chiara Bracco, al Dottor Olivier Rabin. Il Dottor Rabin è il direttore del reparto scientifico della WADA, sostanzialmente quello che decide se un farmaco entra nella black list oppure no. Questa intervista, realizzata prima dell’esplosione del caso Sharapova, il 27 gennaio, da Sean Contrell, è interessante per vari aspetti. Uno di questi è la “confessione” che per molti farmaci ci si affida in buona sostanza alla reputazione dei decisori. I quali, da buoni esperti, sanno perfettamente che in molti casi possono avere soltanto un “ragionevole dubbio” che quella sostanza possa essere “doping”. L’abbondante uso di virgolette fa comprende come questi termini siano tutt’altro che condivisi. E se non c’è condivisione non può che esserci discrezionalità, forse ineliminabile.

Un altro aspetto vogliamo sottolineare. Il fatto che ci sia dovuti basare su un’intervista per comprendere il funzionamento di una struttura così importante per i destini dello sport mondiale è – a nostro modo di vedere – un notevole problema.  Avere informazioni sulla WADA, come funziona, chi ne fa parte, come vengono nominati i membri, perché ha spostato la sede a Montreal nonostante sia una fondazione regolata dal diritto privato svizzero, continua ad essere abbastanza misterioso. Adesso almeno sembra meno misterioso come i farmaci entrano in lista, ma le zone d’ombra continuano ad essere molto ampie. È probabilmente inutile sottolineare quanto sia fondamentale che un organismo così rilevante necessiti di meccanismi di rappresentanza davvero equi, se proprio non vogliamo usare l’abusato termine “democratici”. La prevalenza di un gruppo (sia nazionale, transnazionale, di area) rispetto ad un altro all’interno della WADA sarebbe un problema molto grave. Ma come hanno sottolineato alcuni critici anche la perfetta parità tra i vari membri ha spesso prodotto un immobilismo teso a non indispettire nessuno. Vedremo, abbiamo in programma altri articoli in cui cercheremo di affrontare questi altri aspetti. Nel frattempo il consiglio è di leggere questa intervista dopo aver letto “È doping perché lo voglio io”.  (erresse)

Leggi qui l’intervista orginale

Per molti appassionati di sport i termini Agenzia Mondiale Anti-Doping e WADA Code (il Codice) sono diventati familiari, anche se con diversi gradi di conoscenza. Per coloro che sono coinvolti nelle competizioni sportive, ed in particolare atleti e coach, anche la lista delle Sostanze e delle Pratiche Proibite è qualcosa di familiare. La lista fornisce gli standard internazionali per identificare le sostanze e i metodi di cui è proibito l’uso o anche solo il tentativo di utilizzo, sia durante che fuori dalle competizioni. Questa lista vale per tutti le istituzioni sportive che hanno firmato il Codice, adottandolo. Sostanze e metodi sono “classificati per categorie (es. steroidi, stimolanti, geni dopanti)”.

Ma quanto il Codice e la Lista siano efficaci nel prevenire e individuare gli atleti che hanno commesso una qualche violazione delle regole anti-doping (previste dal Codice stesso), è motivo di disputa nelle comunità sportive, legali e scientifiche. E ciò è stato evidenziato da numerosi articoli che si sono focalizzati sull’esclusione dei farmaci tiroidei dalla Lista 2016, tra cui un articolo del Wall Street Journal, titolato “WADA rifiuta il divieto dei farmaci tiroidei, in risposta alla Usada”, pubblicato poco dopo l’annuncio della Lista 2016 il 19 Settembre 2015.

La copertura mediatica che ha fatto seguito alla pubblicazione della Lista 2016, provocata anche dalle numerose discussioni sui vari social media, mi è rimasto il dubbio che forse c’erano alcune cose che non sappiamo al riguardo della Lista, ed in particolare:

  • Qual è il processo che conduce a includere o a rimuovere una sostanza o una pratica dalla lista?
  • Chi prende queste decisioni all’interno della WADA?
  • Qual è l’esperienza e la formazione delle persone coinvolte in tale processo?
  • Quale processo scientifico viene considerato e qual è il suo peso?
  • Qual è il ruolo degli stakeholders e degli stessi atleti nel processo?
  • Quanto è difficile, o meglio, com’è possibile creare una Lista che sia legalmente e scientificamente solida e allo stesso tempo comprensibile per gli atleti?

Per rispondere alle mie domando ho ritenuto necessario andare direttamente alla fonte. Ho così incontrato il Dottor Olivier Rabin, Direttore del Reparto Scientifico alla WADA, che ha gentilmente accettato di spiegarci il processo intrapreso dall’Agenzia quando rivede ed aggiorna la Lista.

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