Nella lunga epopea del tennis, si sa, pochi eletti lasciano una traccia indelebile. Alcuni sono stati “eletti” al punto da aver vinto almeno una volta ciascuno dei quattro titoli del Grande Slam, per meriti indiscussi, e discusse ma forse decisive fortune. Altri, invece, hanno incamerato parecchi grandi titoli in carriera ma, per discussi demeriti ed altrettanto indiscusse sfortune, non sono riusciti a scrivere il loro nome nell’albo d’oro dei quattro tornei che hanno sempre delineato e continuano a tracciare la storia di questo sport.
Ecco allora il leggendario Bjorn Borg mai vincitore dell’Open degli Stati Uniti, ed ecco straordinari campioni come Ken Rosewall ed Ivan Lendl mai capaci di mettere le mani sui Championships a Wimbledon. Sono solo alcuni esempi, si potrebbe continuare, ma per esigenze di sintesi ci fermiamo. Talvolta è anche accaduto che al grande giocatore manchi più di un titolo tra i quattro leggendari che compongono lo Slam. Ad esempio l’Orso svedese, oltre a non aver mai trionfato a New York, non ha neppure mai vinto l’Open d’Australia, titolo peraltro ai suoi tempi decisamente svalutato, e torneo a cui Borg partecipò una sola volta nel 1974. Ma quasi sempre, nel caso dei grandi giocatori incapaci di giungere al cosiddetto “Career-Grand Slam”, vi è un torneo, tra i quattro major, che è scolpito nella mente di giornalisti e dediti appassionati come il titolo fondamentale che manca nel palmarès del campione in questione.
Ebbene, tra i quattro Slam, perlustrando le bacheche dei più grandi di sempre, forse nessuno come il Roland Garros ricopre questo ruolo così spesso. Limitandosi all’era Open, quindi al periodo cominciato nel 1968, non hanno mai vinto gli Internazionali di Francia, tra gli altri, miti assoluti della storia del gioco come Jimmy Connors, John McEnroe, Boris Becker, Stefan Edberg, Pete Sampras e, per ora, Novak Djokovic. Tra questi, al solo Supermac manca anche anche l’Australian Open, a cui il tennista americano partecipò più volte senza mai arrivare neppure in finale. Le ragioni di questa peculiarità dell’Open di Francia sono probabilmente da ricercare nel fatto che, soprattutto fino all’inizio degli anni duemila, la superficie ed il conseguente tipo di gioco che si doveva praticare a Parigi si distaccavano nettamente dalle condizioni presentate dagli altri tre Major. Si potrebbe obiettare che anche l’erba veloce e sfuggente di Wimbledon prima del trattamento traumatico-rallentante dei primissimi anni di questo millennio costituiva un caso a sé stante, ma è un dato di fatto che nei passati decenni era più facile che un erbivoro si trovasse poi a suo agio sul cemento piuttosto che sul rosso e che spesso invece essere terraiolo puro significava rimanere confinati tendenzialmente entro il recinto dell’amata terra.
Jimmy Connors e Roland Garros: una storia tormentata e senza il lieto fine
Jimmy Connors mise piede a Parigi per la prima volta nel 1972, e vi tornò nel 1973, raccogliendo in tutto una sola vittoria. Anni di rodaggio, con il giovane Jimbo (nato nel settembre del 1952) ancora in rampa di lancio. Poi arrivò il fatidico 1974. È l’anno in cui Connors esplode. A gennaio comincia ad annettersi quello che rimarrà il suo unico Australian Open, all’epoca svalutato, ma pur sempre un Major. Peccato che Connors decida di aderire al World Team Tennis, il campionato a squadre americano. È una decisione che gli costerà cara. A febbraio e marzo impazza nel circuito Riordan, poi eccolo a giocare il World Team Tennis (WTT). Grandi avversari, grandi sfide, e tanti soldi, soprattutto. Ma la federazione francese ha emesso la scomunica: chi ha aderito al WTT non potrà giocare a Roland Garros. A ruota seguono supinamente i dirigenti FIT emettendo stesso provvedimento per gli Internazionali d’Italia. La terra europea chiude a Connors le porte in faccia. Che se ne ricorderà al punto di non tornare sul rosso del vecchio continente per ben altri quattro anni. Nel 1979 però Connors si rende conto che non può continuare ad ignorare un segmento di stagione così importante, e torna. Da quel momento darà luogo ad una serie di piazzamenti di tutto rispetto a Parigi: dal 1979 al 1987 giocherà tutte le edizioni tranne quella del 1986, raggiungendo quattro semifinali e quattro quarti di finale. Ma qualcosa andrà sempre storto. Forse è proprio la prima semifinale, quella del 1979, a destare i maggiori rimpianti, perché Connors perse da Victor Pecci in quattro set, un paraguayano dal gioco aggressivo che trovò in quel torneo il momento della sua massima ispirazione, ma decisamente l’avversario meno forte tra quelli che furono capaci di sbarrare la strada a Connors. Nel 1980 infatti il folle Gerulaitis lo piegò in cinque set, mentre nel 1981 Jimbo cedette ad un signore del rosso come Clerc. È vero che nel 1982 e 1983 arrivarono inopinate sconfitte, come quelle Higueras e Roger-Vasselin, ma Connors stava invecchiando, soprattutto per una superficie lenta e stancante come la terra rossa europea. Logiche quindi poi le sconfitte successive, nel 1984 con il Mac divino che poi sfiorò il titolo e nel 1985 contro un Lendl affamato di rivincite contro colui che spesso lo aveva sbeffeggiato e gli aveva inflitto brucianti sconfitte in altri Slam.
Le ultime recite vedono la classica situazione con il pubblico che si stringe attorno all’anziano eroe un tempo odiato; in particolare, indimenticabile l’ovazione ricevuta da Connors nel 1991, al momento del ritiro all’inizio del quinto set, dopo essersi, con indicibile fatica, issato a due set pari contro Chang. Ma la sostanza è che Roland Garros era sfuggito per sempre. In fondo Connors, tra i mostri sacri del gioco analizzati in questo articolo, era colui che aveva forse le caratteristiche più adatte a vincere a Parigi: certo non un sublime arrotino come il Borg parigino, certo non cresciuto a pane e terra come Vilas, ma pur sempre un grande giocatore da fondo campo, seppur particolare, con suoi colpi piatti e anticipati e il suo insopprimibile istinto offensivo. Non si deve dimenticare che stiamo parlando di un giocatore che sulla terra è stato capace di vincere un titolo dello Slam, tionfando sull’”har tru”, la più veloce terra verde americana, nel 1975. In definitiva, l’episodio del 1974 ha pesato e molto, ma ha avuto il suo ruolo anche un atteggiamento molto “americano” di Connors, con una certa tendenza a sottovalutare l’importanza ed il prestigio dei tornei europei sulla terra ed in particolare Roland Garros, atteggiamento abbandonato quando era ormai troppo tardi.
John McEnroe e Roland Garros: come un matrimonio venuto meno solo sull’altare
SEGUE A PAGINA 2