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Roland Garros: i più grandi a non aver mai vinto a Parigi

Novak Djokovic è alla ricerca del Career Slam, Wawrinka cerca la conferma dell’exploit dello scorso anno. Ma quali sono stati i tennisti più forti di sempre, a non essere mai riusciti ad aggiudicarsi la Coppa dei Moschettieri?

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Supermac: basta questo soprannome perché gli appassionati ricordino volée clamorose, attacchi arditi, chip and charge sull’avverso servizio. Ma un fenomeno simile come poteva conciliarsi con la lenta terra rossa europea degli anni ottanta? Poteva, eccome se poteva…Il livello espresso dal miglior Mac era tale da poter dominare anche sul rosso la maggior parte degli avversari. Dopo due fugaci apparizioni nel 1977 e nel 1979, McEnroe si presenta a Roland Garros nel 1981 ventiduenne, ma già capace di ben due titoli dello Slam, entrambi a New York. È una furia, che presto farà crollare il regno di Borg definitivamente. Nei quarti di finale si trova di fronte un altro giovane rampante, tale Ivan Lendl. I due ancora non lo sanno, ma la loro rivalità sarà una delle più significative della storia ed avrà sul centrale di Roland Garros due dei suoi episodi più grandiosi. In questa prima sfida a Parigi, Mac, infastidito per il campo pesante, dà luogo a scenette tipiche, paragona il campo ad una piscina, chiedendo molte volte la sospensione del match. Alla fine la sospensione per pioggia ci sarà, e i due torneranno per concludere l’incontro il pomeriggio seguente quando Lendl chiuderà in tre set, 64 64 75. Assente nell’’82, McEnroe, sempre più dominante in generale nel circuito, torna nel 1983, ma nei quarti il non ancora diciannovenne Wilander, già campione in carica, mostra come su una terra lenta sia davvero difficile che un giocatore di volo possa prevalere su un regolarista eccellente. Ma Supermac si sta avvicinando al periodo che si rivelerà come quello topico della sua carriera.

Dopo il secondo titolo a Wimbledon nel 1983 e qualche battuta d’arresto nella seconda parte del 1983, arriva il 1984, l’annus mirabilis di John McEnroe, che a fine maggio arriva a Parigi con queste credenziali: non ha mai perso un incontro nella stagione, ha vinto 6 tornei, ha battuto già due volte Ivan Lendl sulla terra, in un caso a Forest Hills, sulla terra verde, nell’altro a Dusseldorf nella classica World Team Cup, in entrambi i casi senza concedere un set. In Germania, sul lento manto rosso, non lascia inoltre che le briciole a terraioli scafati come Higueras e Clerc. Il suo tennis, seppur teoricamente non adatto alle paludi dell’europa continentale, è talmente perfetto che sembra aver annullato il problema della superficie. A Roland Garros la marcia trionfale prosegue. Solo Higueras riesce a strappargli un set prima della finale e Connors in semifinale viene polverizzato. Mac fa quello che deve fare per vincere anche sulla superficie meno favorevole: non snaturarsi, continuare, seppur con un minimo di circospezione in più, a giocare secondo il proprio istinto e la propria indole. Ed eccolo, quel fatidico 10 giugno 1984: di fronte a lui in finale, Ivan Lendl numero due del mondo, appare come la vittima designata del giorno. Nel solo anno in corso, ha già perso quattro volte con John, vincendo un solo set nella finale di Philadelphia. E tutto, ma proprio tutto, sembra continuare in questo senso: non è ancora cominciata la finale che Lendl si ritrova sotto di due set, 63 62 per McEnroe, che appare intoccabile, in un festival di serve and volley stupendi, di chip and charge, di servizi mancini perfidi e vincenti. Il pubblico è ammirato ed anche un po’ ammutolito. Ma dall’inizio del terzo set, lentamente, prima quasi impercettibilmente, poi più chiaramente, l’inerzia del match cambia. Mac comincia a servire prime di servizio con meno regolarità, Lendl a rispondere di più e ad entrare più spesso nello scambio. Il sole implacabile martella il glorioso centrale. Mac urla la sua rabbia per essere stato disturbato in un microfono a bordo campo. Quella magia divina e perfetta durata un’ora e mezza si spezza. The Genius tenta di opporsi in tutti i modi, resiste, sbuffa, lotta, in un match epico che segnerà per sempre la storia del tennis. Dopo il terzo set vinto da Lendl 64 senza che mai Mac sia stato avanti di un break come molti racconti postumi vorrebbero, nel quarto set il mancino riesce a portarsi avanti di un break, ma cede alla fine 75 di fronte a un Lendl sempre più fiducioso e capace di lob liftati stupendi. L’ultimo treno per McEnroe passa sul 33 nel quinto set, quando con Ivan al servizio manda sul nastro un passante lungolinea di rovescio che gli avrebbe consegnato il break. Tutto finisce con una volée banale che Mac esausto mette in corridoio. 36 26 64 75 75, Lendl vince il suo primo torneo dello Slam, sono le 19.34, 4 ore e 8 minuti dall’inizio del match. È il momento sportivamente più tragico della carriera di John McEnroe. Parteciperà a stento alla premiazione, e lo farà sotto shock, apparendo come un automa che con la testa è già altrove. L’unica vera opportunità è passata davanti a lui quel pomeriggio, che John ricorderà per sempre come un incubo.

Tornerà ancora a Parigi ovviamente, diverrà sempre più amato da quel pubblico che in quel drammatico incontro gli voltò le spalle, ma non si avvicinerà mai più al titolo. Nel 1985 l’ultima semifinale, battuto nuovamente da Wilander nettamente, e poi solo precoci sconfitte o assenze, con una sola luminosa eccezione: nell’edizione del 1988 un Mac centrato si presenta agli ottavi di finale per l’ultimo dei tre match con l’eterno rivale Ivan, al tempo solido numero uno del mondo: è come il testamento di Mac a Parigi, è come se in quell’occasione abbia voluto lasciare un’ultimo indelebile segno sulla terra di quel per lui infausto centrale. I primi due set sono sublimi, tra i più belli che si siano mai visti su un campo da tennis. Mac pare rinato, sembra quello del 1984, e vince il primo al tiebreak, sfiorando anche l’affermazione nel secondo tiebreak. Poi a metà del terzo il match viene sospeso per oscurità. Il giorno dopo un Lendl solido chiude in quattro set. Ma nessuno potrà mai dimenticare quelle due ore il cui il Mac divino era ridisceso sul rosso a miracol mostrare. Ecco la lunga e sofferta vicenda di John McEnroe a Roland Garros. Perché Mac non ha mai vinto? Non aveva le caratteristiche tecniche adatte, ma è stato talmente grande da annullare nel 1984 tale fattore, è arrivato a pochi millimetri da un titolo che forse un decisivo cedimento fisico e nervoso (unitamente ad un grande avversario) gli hanno negato. Se avesse espresso lo stesso livello di tennis in almeno un’altra edizione del torneo probabilmente oggi non sarebbe incluso in questo articolo.

Stefan Edberg e Roland Garros: il destino disse no

Come John McEnroe, Stefan Edberg fu un‘eccezionale giocatore di volo, il più grande interprete di questo modo di giocare insieme a Mac dell’intera Era Open. E come lui ebbe un’unica ma clamorosa occasione di vincere lo Slam meno favorevole alle sue caratteristiche. Già nel 1985 il diaciannovenne Stefan era riuscito a portarsi nei quarti di finale, dove però uno stagionato ma ancor solido Connors lo cacciò in tre set. Seguirono annate mediocri a Parigi, con ben due eliminazioni al secondo turno ed una negli ottavi. Ma poi arrivò il 1989, l’anno della rivoluzione a Roland Garros. Edberg, che si esalta ed esalta giocando il suo tennis d’attacco anche sul rosso, già nei quarti estromette niente meno che il fresco autore della doppietta Montecarlo-Roma, ovvero il toro argentino Alberto Mancini.  Segue una leggendaria semifinale con Becker, match splendido che lo svedese si aggiudica in cinque set, dopo essere stato avanti di due set. Un rarissimo esempio nella storia di grande match a Parigi tra due giocatori spiccatamente offensivi. Ed arriva la finale con questo piccolo cino-americano, tale Michael Chang, che il destino sembra aver prescelto fin dagli ottavi di finale, quando in un match celebre ed incredibile logora i nervi di Ivan Lendl per poi raccoglierne i resti e vincere in cinque set. Edberg in finale parte a rilento, cede il primo set nettamente, ma da quel momento comincia ad essere irresistibile e si porta agevolmente avanti per due set a uno. È nel quarto set che si decide il destino del match e dell’intera carriera di Edberg a Roland Garros. Dopo un break per parte, Edberg ha una o più palle break in ciascuno dei successivi turni di servizio di Chang, ma non ne converte neppure una, per poi subirlo, il break, sul 5-4 per il suo avversario. Nel quinto infine, dopo essersi fatto riprendere subito il break iniziale, perde due volte il servizio, ha più volte l’occasione di recuperare, ma cede infine sul suo ultimo turno di battuta per 6-2. L’incredibile è avvenuto, il diciassettenne Chang ha vinto quello che rimarrà il suo unico titolo dello Slam, in un match in cui Stefan ha convertito solo sei palle break su venticinque. Un’occasione unica per Edberg, che non si ripresenterà.

Nelle ulteriori sette edizioni che giocherà, Edberg otterrà in tutto due quarti di finale, nel 1991 e nel 1993, quando Courier e Medvedev lo manderanno a casa in quattro set. Molti sostengono che Edberg sulla lenta terra di Roland Garros non sia stato abbastanza paziente, ma se avesse snaturato il suo gioco avrebbe probabilmente ottenuto meno risultati. Come Supermac sfiorò l’impresa, ma più che dal cattivo atteggiamento tattico fu fermato dal destino, forse più che nel caso dell’americano: razionalmente, è stato infatti ancor più beffardo per Edberg essersi visto togliere il titolo da una ragazzino prodigio del tutto imprevisto, che non per McEnore aver perso con un Lendl che certo in quel periodo dominava, ma che era pur sempre il più grande rivale. Eppure, forse per la diversa natura caratteriale dei due personaggi, è probabile che nel corso degli anni successivi sia stato Stefan ad accettare l’occasione mancata con più serena rassegnazione, mentre Mac ha più volte ammesso che la finale di Roland Garros 1984 è stata ed è per lui ancora un incubo ricorrente e terribile.

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