Paolo Lorenzi corona la sua carriera ma questo cosa ci dice sul tennis italiano?

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Paolo Lorenzi corona la sua carriera ma questo cosa ci dice sul tennis italiano?

A 34 anni suonati il tennista senese raggiunge il suo best ranking di carriera e il virtuale N.1 nel ranking italiano. Una grandissima impresa ma gli altri dove sono?

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Quella di Paolo Lorenzi è una di quelle storie che non finiremmo mai di raccontare: un giocatore dai mezzi tecnici limitati che riesce attraverso il sacrificio e l’amore per il gioco a raggiungere risultati che vanno oltre le più rosee aspettative. Una storia resa ancora più straordinaria dal fatto che la sua carta d’identità lo vedrebbe teoricamente ormai pronto per dedicarsi ad altro nella vita essendo nato il 15 dicembre 1981.

Invece no, Paolo dopo essere stato duramente criticato per la sua prestazione nel doppio di Coppa Davis contro l’Argentina a Pesaro, ha rimesso gli occhiali dell’operaio specializzato di grande esperienza e ha di nuovo smentito tutti, vincendo il suo primo titolo ATP a Kitzbuhel e ottenendo così il suo best ranking in carriera al N.41.

Questa settimana, grazie alla prematura sconfitta di Fognini a Toronto, Lorenzi può festeggiare il titolo onorifico, ma neanche troppo, di N.1 d’Italia. Non solo: a prescindere dal risultato del Challenger di Biella che sta giocando in Piemonte è già sicuro di migliorare ancora il suo best ranking, entrando dunque nei primi 40 del mondo. Difficile trovare qualcuno più meritevole di lui di tali soddisfazioni ma la sua impresa apre un discorso molto complesso sullo stato del tennis italiano.

Dato a Paolo quel che è di Paolo, e sottolineato che l’exploit è parzialmente spiegabile con gli infortuni più o meno gravi accorsi a Seppi, Bolelli e in parte anche a Fabio Fognini; evitando poi di riaprire l’infinita discussione sui troppi punti assegnati dall’ATP ai tornei Challenger che rappresentano circa il 50% del fatturato di Lorenzi, è necessario però cercar di capire come mai, un tennista lodevole ma pur sempre da mezzi tecnici limitati e appunto non più giovanissimo, sia diventato l’uomo che alle Olimpiadi sarà il numero 1 italiano.

Fognini poteva e doveva fare di più a partire dalla primavera europea sul rosso e non basta certo il successo di Umago, peraltro in un torneo in cui ha incontrato  solo giocatori fuori dalla Top70 né a “salvare ” una stagione piena di problemi né a fermare l’emorragia di punti che infatti è ripresa pochi giorni dopo. Anche il rientro di Seppi non è stato certo felice. Pochi risultati ottenuti e, soprattutto, la sensazione di un tennista ormai troppo consumato fisicamente. Bolelli non aveva convinto neanche questo inverno prima dell’infortunio al ginocchio sinistro che gli è accorso a Marrakech e che poi lo ha costretto a terminare prematuramente la sua stagione 2016.

Questi i nostri uomini di punta. Quello che spaventa è il fatto che stiamo parlando di giocatori ormai oltre o vicini ai 30 anni di età e che ci sia poco da stare allegri anche guardando oltre. Thomas Fabbiano naviga a ridosso dai primi 100 (adesso è 110) e lo squalificato Marco Cecchinato intorno al 150, con la brutta prospettiva di precipitare rapidamente.
Non si intravedono giocatori giovani con reali prospettive non diciamo di entrare nei primi 50, visto che anche la top100, sembra un miraggio. Troppo poco per un Paese come il nostro.

Forse l’attività italiana resta penalizzata da una dipendenza eccessiva dalla terra battuta che spesso porta i nostri giocatori a programmarsi in modo troppo “provinciale” rispetto a quelli che dovrebbero essere obiettivi da protagonisti del circuito maggiore.

Tutte critiche che si possono fare in modo legittimo ma che certamente non possono essere rivolte al nuovo N.1 d’Italia quel Paolo Lorenzi che anche alle soglie dei 35 anni, dimostra ogni giorno cosa voglia dire essere professionista e ha così ottenuto un fantastico e indiscutibile Oscar alla carriera. E pazienza se questa non è certo una bellissima notizia per il tennis azzurro.

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