Il 2016, dopo la sconfitta di Andy Murray con Kei Nishikori in una bella ed intensa battaglia, appartiene a Novak Djokovic.
Ha vinto Australian Open e Roland Garros e qualunque cosa accada a New York, il n.1 del mondo è lui.
Certo anche fortunato qui, perché in 195 Slam dell’era Open non era mai successo che un giocatore arrivasse in semifinale usufruendo di tre ritiri.
Abbiamo avuto 186 diversi semifinalisti in questi 195 Slam, perché tanti giocatori hanno fatto incetta di semifinali: Djokovic, tanto per fare solo un piccolo esempio, ha raggiunto qui la decima semifinale consecutiva (2 meno di Connors e 2 più di Lendl) 23 semifinali negli ultimi 24 tornei.
Fa impressione pensare che di quei 186 semifinalisti dal ’68 a oggi, soltanto due siano stati italiani, Adriano Panatta nel’76 e Corrado Barazzutti nel ’78. Poi zero! Come si fa a sostenere che il nostro tennis maschile sia mai stato in buona salute davvero non so. Solo i politici di turno l’hanno sostenuto e senza arrossire. 186 meno due fa 184: 184 giocatori di non so più quanti Paesi hanno raggiunto un traguardo che nessuno dei “nostri” è stato mai capace di raggiungere pur avendo giocato magari 10 anni di Slam.
Lasciamo perdere che è meglio e torniamo a parlare di Novak Djokovic più favorito che mai di questo torneo ora che ha perso anche Murray, il suo rivale più agguerrito.
Normalmente per arrivare in semifinale si giocano 5 match. Lui è stato in campo soltanto 6 ore e 26 minuti per 84 games, perché il ceco Vesely n.47 ATP che lo aveva battuto a Montecarlo non è sceso neppure in campo, il russo Youzhny n.61 lo ha fatto per 6 game (4-2 per Nole) e il francese Tsonga è tornato negli spogliatoi con un ginocchio malconcio dopo 2 set. Sarebbe giusto ricordare, però, che Novak con Tsonga aveva vinto 14 degli ultimi 15 match.
A Novak, cui non era mai capitata una fortuna simile (anche se a Roma nel 2008 avevano dato forfait contro di lui gli avversari del quarto e della semifinale), non manca mai il sense of humour: “Che posso fare? Auguro a tutti i miei avversari un pronto recupero” dice a Brad Gilbert che, da sotto il solito cappellone “per fare personaggio” lo intervista sul campo.
Insomma, se anche Tsonga non si fosse ritirato, onestamente Djokovic avrebbe finito per vincere ugualmente. Come aveva vinto al primo turno con il polacco Janowicz, n.247 (con un passato da semifinalista a Wimbledon) cedendo l’unico set fin qui del suo torneo, e poi con l’inglese Edmund, n.84.
Tsonga ha fatto i suoi interessi: “Sono indietro due set, lui è il n.1 del mondo, chances non ne ho, il ginocchio non è a posto, perché devo compromettere il resto della stagione?” ha detto chiaro e tondo il 31nenne francese, fischiato per la sua decisione di abbandonare campo e lotta (ma intascando i 450.000 dollari del premio dei quarti di finale) in una sera in cui il singolare femminile fra Wozniacki e Sevastova, 6-0 6-2, era stato tutto fuorché elettrizzante.
Non erano stati solo gli spettatori del serale ad andar via delusi. Anche quelli della sessione diurna avevano visto match a senso unico, con la Kerber che dopo aver rischiato qualcosa nel primo set con Roberta Vinci (avanti tre volte di un break) aveva poi infilato nove games consecutivi. E tre set di fila senza troppo pathos aveva conquistato anche Monfils con Pouille, stravolto da 3 match-maratone di cinque set.
Questo mercoledì non era cominciato meglio per gli spettatori: la Pliskova ha battuto 6-2,6-2 la Konjuh n.92 WTA con zero suspence. Ma la battaglia Nishikori-Murray (7-5 al quinto per il giapponese che era sotto 2 set a uno e aveva perso 7 volte su 8 con lo scozzese) che pochi giapponesi hanno visto perchè a Tokyo erano le tre di notte – ma il match verrà riproposto in tutte le salse – ha compensato gli acquirenti del biglietto pomeridiano, prima che stanotte Serena Williams regolasse in 3 set la Halep alla fine di una bella partita 6-2,4-6,6-3 (perdendo per la prima volta il servizio nel torneo) e poi del Potro giocasse contro Wawrinka.
Murray è stato più nervoso del solito durante tutto il match. Soprattutto se l’è presa con un’interruzione provocata da un guasto del microfono dell’arbitro – è successo quattro volte – che ha fatto ripetere un punto su una pallabreak che lui si era praticamente aggiudicato. Ma è stato onesto, Andy, nel riconoscere i meriti del “Giap”: “Lui ha giocato la sua miglior partita contro di me e io ho rimontato diverse partite che stavo perdendo negli ultimi due mesi e mezzo (con Johnson, con Fognini…n.d. UBS), quindi ci sta che questa volta sia stato rimontato io…”.