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Garbiñe Muguruza e la terra di nessuno

Alcune ragioni per cui la vincitrice dell'ultimo Roland Garros è una giocatrice più interessante da seguire di quanto potrebbe sembrare a prima vista

Last updated: 03/02/2020 1:41
By AGF Published 21/02/2017
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16 Min Read
Garbiñe Muguruza - Roland Garros 2016

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Non amo particolarmente il genere di tennista tutto di un pezzo, che in campo non sembra distrarsi né cedere mai: con la vittoria in testa come unico obiettivo, senza incertezze o debolezze. Un po’ come era la “prima” Muguruza: monodimensionale. La seconda Muguruza per me è più interessante. Con un paradosso, si potrebbe dire che, sul piano della psicologia tennistica, Garbiñe crescendo sembra essere diventata più immatura. Questo potrebbe essere un motivo di preoccupazione per il suo team, ma ai miei occhi di semplice spettatore l’ha invece resa una figura più ricca e articolata; anche se a volte spigolosa, e perfino scostante.

Ma la ragione che mi ha fatto cambiare idea su di lei è soprattutto quella tecnica. Anzi, tecnica e tattica insieme. Nel corso delle stagioni secondo me Muguruza ha mostrato di possedere una caratteristica del tutto particolare, che nei primi tempi avevo parzialmente individuato, ma che faticavo a comprendere in pieno. Avevo scritto un articolo su di lei giusto due anni fa (febbraio 2015), prima che entrasse in top ten e che raggiungesse la finale di Wimbledon.

Non è facile descrivere una giovane giocatrice: mettere in ordine le tessere sparse del mosaico di sensazioni (tecniche, tattiche, caratteriali) che si ricavano da un numero limitato di match; ed è quasi impossibile che tutte le immagini, tutte le caratteristiche, risultino perfettamente a fuoco. Sul suo gioco avevo scritto: “Senza troppi giri di parole: a rete la ritengo una delle peggiori del circuito; un po’ meglio negli schiaffi, ma disastrosa sulle volèe classiche. (…) Per tenniste con un gioco differente non sarebbe una grave mancanza; ma per Garbiñe è un po’ diverso; infatti, per come imposta lo scambio, molto spesso conquista campo progressivamente, al punto da ritrovarsi, quasi senza volerlo, così avanti da dovere colpire di volo”.

Ecco, secondo me la parte interessante di Muguruza è proprio il suo modo estremamente personale di interpretare la verticale di gioco: quel “ritrovarsi avanti quasi senza volerlo”. Non è una attrazione per la rete nel senso classico del tennis, ma qualcosa di diverso: una attrazione per l’avanzamento, una propensione che si traduce nella volontà di togliere spazio e tempo all’avversaria; venendo avanti, conquistando campo.

Il problema è che il tennis non è, ad esempio, il rugby, in cui la conquista del territorio è la base del gioco; nel tennis sappiamo che “secondo i manuali” c’è una parte di campo in cui sarebbe meglio non farsi trovare durante gli scambi: la cosiddetta terra di nessuno. Per cui o si gioca al rimbalzo da fondo, o si gioca di volo nei pressi della rete: a metà strada no, perché lì le cose si fanno estremamente difficili e pericolose.

Invece per Muguruza questa separazione tra zona di fondo campo e zona di rete è molto più sfumata. Non accade in tutti i match e non su tutte le superfici, però con alcune avversarie e su alcuni terreni si verificano situazioni in cui sembra quasi rifiutare l’idea della terra di nessuno come un luogo in cui non avventurarsi e non sostare. E così, se il palleggio la porta a conquistare campo ma non c’è il tempo per raggiungere la rete, è comunque molto restia a tornare indietro.

A Singapore, ad esempio, in occasione delle ultime Finals, su una superficie di media velocità a rimbalzo piuttosto alto, diverse volte Garbiñe ha preferito rimanere nella terra di nessuno, senza cedere campo in vista del colpo successivo, confidando sul fatto che l’avere assunto il dominio dello scambio difficilmente avrebbe consentito all’avversaria di replicare con parabole profonde. In alcuni casi questo azzardo le ha consentito di vincere il punto, in altri casi il rischio si è rivelato letale.

La mia sensazione è che queste scelte siano determinate da una spinta profonda, istintiva; per questo mi piacerebbe sapere cosa si dicono lei e Sumyk nel momento in cui lavorano sul tema degli spostamenti in avanti/indietro.
Sarebbe possibile per Muguruza cercare di valorizzare questo istinto? In che modo farlo? Per provare a rispondere ho bisogno di una breve digressione, a partire da un ragionamento su due colpi che si sono diffusi negli ultimi anni: schiaffo al volo e controbalzo da fondo.

a pagina 3: La possibile evoluzione del gioco di Muguruza 

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TAGGED:Garbine MuguruzaSam Sumyk
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