Garbiñe Muguruza, il futuro del tennis spagnolo

Al femminile

Garbiñe Muguruza, il futuro del tennis spagnolo

Pubblicato

il

 

Garbiñe Muguruza è in continua crescita: in questo periodo si gioca la leadership nazionale con Carla Suarez Navarro, ma anche la top ten sembra alla sua portata

Sarà inevitabile per chi scrive di tennis femminile: bisognerà imparare i comandi per digitare rapidamente la tilde, evitando ogni volta la ricerca nella sezione “caratteri speciali” dove si trova la enne con l’ondina sopra. La tilde è necessaria per scrivere correttamente Garbiñe Muguruza.
Ventuno anni, nata l’8 ottobre 1993 a Caracas ma cresciuta tennisticamente a Barcellona, è la più concreta speranza per il movimento spagnolo di ritrovare finalmente una giocatrice di primo livello, che manca dai tempi di Arantxa Sánchez e Conchita Martinez.
Dopo di loro ci sono state buone giocatrici, come Anabel Medina Garrigues (abbonata alla vittoria a Palermo e Strasburgo) o come Maria Josè Martinez Sanchez (una delle tenniste più anomale degli ultimi anni, capace di una settimana da sogno a Roma 2010); e oggi sarebbe ingiusto sottovalutare il bel gioco classico di Carla Suarez Navarro. Ma direi che Muguruza sembra poter ambire a qualcosa in più: quanto meno ad entrare nella top ten, un risultato che, se non sbaglio, manca al tennis spagnolo da quasi quindici anni

Forse qualcuno ricorderà l’esordio eccezionale di Garbiñe nel circuito maggiore, nel marzo 2012. Allora era ancora oltre il duecentesimo posto e dopo aver preso parte senza successo ad un paio di qualificazioni WTA, aveva ricevuto una wild card per giocare a Miami. Era stato possibile grazie all’appoggio della IMG, che curava anche l’organizzazione del torneo in Florida e che evidentemente credeva molto nelle sue possibilità.

Eccola dunque a Miami: prima partita in un tabellone principale WTA, e in uno dei tornei più prestigiosi del calendario. L’inizio contro Ayumi Morita (73 del ranking) è vincente, ma è nulla in confronto al turno che la aspetta: la numero 9 del mondo Vera Zvonareva.
La partita non è ripresa dalle telecamere (i primi giorni non erano coperti dalla tv), per cui solo gli spettatori sul posto sono testimoni della sorpresa: la numero 208 del mondo liquida la numero 9 in due set: 6-4, 6-3.
Nemmeno il match successivo è coperto dalla tv, e così mancano le immagini anche della terza vittoria da esordiente: 6-2, 1-6, 7-6 a Flavia Pennetta. Per fermarla ci vuole la futura vincitrice del torneo Agnieszka Radwanska, in uno dei migliori momenti di forma della carriera (sconfiggerà Sharapova in finale).

Da quel momento Muguruza non è più una giovane qualsiasi che si è affacciata tra le professioniste; diventa immediatamente qualcuna che merita di essere tenuta d’occhio, corteggiata dalle federazioni di due nazioni.
Però l’impresa in Florida forse è prematura; a diciotto anni, dopo i quarti di finale raggiunti quasi sullo slancio a Fes, non riesce a confermarsi: nel resto della stagione perde sempre nella qualificazioni o al primo turno dei tabelloni principali.
Ma la carriera di Garbiñe va incontro ad una difficoltà ancora più seria a metà del 2013, quando è costretta a fermarsi per un intervento chirurgico alla caviglia destra. Durante la pausa forzata si opera anche al setto nasale per risolvere problemi di respirazione.

Non racconterò nel dettaglio tutte le stagioni successive di Muguruza: per quello basta andare nel sito WTA e scorrere la pagina dei risultati. Mi limito a questo: con il tempo i picchi di gioco si sono fatti più frequenti e il ranking è logicamente migliorato.

Gli ingegneri della Formula 1 sostengono che è meglio progettare una macchina veloce ma poco affidabile piuttosto che una che non si rompe mai, ma più lenta; perché nel tempo è più facile acquisire la solidità piuttosto che migliorare le prestazioni. Facendone una metafora tennistica, direi che la penso allo stesso modo: tendo a dare più credito alle giovani discontinue, ma capaci di picchi molto alti, rispetto alle “formichine”, che salgono in classifica grazie a tanti discreti risultati, ma senza particolari exploit.
Muguruza ha iniziato con il botto, a Miami, e poi ha avuto bisogno di un po’ di tempo per ripetersi. Ma evidentemente quello era il segnale che la stoffa superiore c’era.

Numero 104 a fine 2012, numero 64 a fine 2013 (anno giocato solo fino a Wimbledon, e lì concluso per l’operazione).
Numero 21 a fine 2014, grazie a una stagione iniziata subito bene: al rientro dallo stop medico, vince  in gennaio a Hobart (primo torneo in carriera), e poi diventa protagonista assoluta al Roland Garros. A conferma che per lei ogni superficie va bene, dato che sostiene di amare l’erba e poi il cemento, mettendo come ultima la terra rossa.
Fatto sta che a Parigi sconfigge con un perentorio 6-2, 6-2 la campionessa in carica Serena Williams e perde nei quarti al terzo set (6-1, 5-7, 1-6) contro Sharapova (che poi avrebbe vinto il torneo) arrivando a due soli punti dalla vittoria, nel finale di secondo set.

E proprio a Sharapova direi che la si può avvicinare per il tipo di gioco. Anche se non mi piacciono molto i paragoni, mi pare che in questo caso i punti di contatto siano reali

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=aPiAaPcKXIM
Come Maria, è una tennista alta, solida fisicamente, particolarmente sicura nei tre colpi base (servizio potente, dritto e rovescio in topspin); e che punta sullo scambio da fondo in pressione costante, cercando sistematicamente il vincente. Anche il grunting (seppur non ugualmente forte) un po’ le accomuna: aspetto curioso, visto che quando ha esordito tra le pro Garbiñe era una giocatrice quasi del tutto silenziosa.
Se prende il comando del palleggio diventa davvero difficile resisterle: ogni palla può diventare definitiva, e la pressione che mette nello scambio non è sostenibile a lungo. In sostanza Muguruza propone un tennis non ricchissimo di variazioni, ma estremamente efficace.

Ma limitarsi a questo per descrivere i suoi pregi sarebbe a mio avviso farle un torto. Credo vada spiegato meglio in cosa è superiore: e secondo me la sua miglior dote consiste nel sapere spingere palle davvero difficili.
Nel circuito le giocatrici in grado di tirare forte sono parecchie, ma non tutte sono in cima al ranking; questo perché un conto è essere capaci di attaccare su palle comode, un conto saperlo fare su parabole insidiose. E’ inevitabile: più sale la difficoltà della palla proposta dall’avversaria, più si riducono le tenniste che sanno replicare all’altezza.
E quando per molte giocatrici la palla è così difficile da dover ripiegare su una soluzione di contenimento, Muguruza invece riesce ancora ad aggredirla; se ha il tempo di raggiungere la traiettoria, si può stare certi che riuscirà a gestire anche colpi pesantissimi, ribattendo ancora in grande spinta.

Questo grazie alla notevole potenza (di gambe innanzitutto, ma non solo) e alla compattezza del movimento. Il suo swing infatti non è molto ampio, ma riesce comunque a far viaggiare la palla: non ha bisogno di grandi aperture (una leva lunga) per generare velocità perché dispone di una forza superiore.
Mi verrebbe da dire: quasi un peso massimo, ma molto coordinata, e rapida nella preparazione; e la preparazione contenuta la agevola anche in risposta, dove mostra una reattività sorprendente, che contrasta con la flemma con cui si muove tra un punto e l’altro.
E’ una delle poche giocatrici che non concede troppo a Serena sul piano della forza muscolare. E che sia davvero un’avversaria pericolosa, dopo il Roland Garros lo deve pensare anche la numero uno del mondo; tanto che agli ultimi Australian Open l’ha affrontata con evidente rispetto: Serena è scesa in campo subito concentrata, eppure  ha comunque perso il primo set; e in quello decisivo ha rischiato di finire sotto di un break (2-6, 6-3, 6-2).

Naturalmente Muguruza ha anche punti deboli. A mio avviso sono soprattutto due: la fase difensiva (perché prima o poi la palla impossibile da attaccare arriva, e in quel caso le soluzioni di contenimento non sono il suo forte) e il gioco di volo.
Senza troppi giri di parole: a rete la ritengo una delle peggiori del circuito; un po’ meglio negli schiaffi, ma disastrosa sulle volèe classiche. Qualcuno replicherà che sta raccogliendo ottimi risultati in doppio insieme a Carla Suarez Navarro; ma in realtà le qualità che occorrono per volleare in singolare non sono le stesse del doppio.
Per tenniste con un gioco differente non sarebbe una grave mancanza; ma per Garbiñe è un po’ diverso; infatti, per come imposta lo scambio, molto spesso conquista campo progressivamente, al punto da ritrovarsi, quasi senza volerlo, così avanti da dovere colpire di volo. E a quel punto arriva il pasticcio.
Troppo spesso ha perso punti importanti con errori davvero evitabili; ad esempio contro Serena agli ultimi Australian Open ha mancato una volèe elementare che grida ancora vendetta, su un break point del terzo set.
Penso che a questo problema dovrà trovare rimedio: o con la rinuncia della conquista della rete oppure cercando di colmare la lacuna. In fondo è ancora giovanissima ed è possibile crescere su questi colpi; ad esempio Caroline Wozniacki era una pessima volleatrice (smash escluso, che ha sempre eseguito bene) mentre oggi è senz’altro migliorata.

Dove potrà arrivare? Di sicuro ci sono stati incontri in cui ha già dimostrato di potersela giocare ad altissimi livelli; e poi storicamente le attaccanti fanno meglio delle difensiviste negli Slam, se questo è il traguardo di cui, più o meno esplicitamente, vogliamo parlare.
Fare previsioni è come avventurarsi in un territorio minato, in cui gli errori sono possibili ad ogni passo; e in più c’è il rischio di farsi influenzare dai propri gusti di gioco, nella speranza che possano coincidere con i risultati futuri. Sotto questo aspetto devo ammettere che preferisco altre giocatrici, magari meno solide, ma capaci di sorprendermi con soluzioni e colpi meno prevedibili.
Credo però che tra le nuove leve (Pliskova, Keys, Bouchard etc) che si sono fatte notare ultimamente, Muguruza un vantaggio ce l’abbia: è già andata incontro alle prime delusioni e ai momenti di seria difficoltà che si possono presentare dopo la prima fase di euforia: l’avere sperimentato sei mesi fuori dal circuito per problemi fisici in un momento in cui era in ascesa potrebbe averle fortificato l’approccio verso il tennis, rendendola più equilibrata e concreta verso la professione. Non resta che aspettare i prossimi grandi tornei per scoprire fino a che punto saprà spingersi.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement