Zverev è già grande: lezione a Federer (Crivelli), Federer s'inchina alla velocità del talento Zverev (Mancuso), Clerici, «scriba» del tennis un novelliere dietro le quinte (Perrone)

Rassegna stampa

Zverev è già grande: lezione a Federer (Crivelli), Federer s’inchina alla velocità del talento Zverev (Mancuso), Clerici, «scriba» del tennis un novelliere dietro le quinte (Perrone)

Pubblicato

il

 

Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Zverev è già grande: lezione a Federer

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 14.08.2017

 

Il ragazzino non c’è più. Quel ragazzino a cui Federer aveva concesso l’onore, attribuito a pochissimi che non fossero ancora al top, di palleggiare con lui quando era ancora una giovane promessa, adesso è il candidato più serio a sedersi sul trono non appena calato il sipario sulla lunghissima stagione vincente dei fenomenali Fab Four. Altroché Next Gen: il futuro di Alexander Zverev è adesso. A Montreal non è nata una stella: è esplosa definitivamente. Che il tedesco di radici russe fosse un predestinato, era scritto fin dal giorno in cui inciampò proprio su Federer negli spogliatoi di Amburgo, il torneo di cui è stata la mascotte per anni, visto che papà e mamma allenavano lì. Aveva quattro anni. Adesso, a venti, si prende lo scalpo più prestigioso della carriera, anche se aveva già battuto Djokovic in finale a Roma. Ecco, aver conquistato due Masters 1000 così pesanti e prestigiosi nella stessa stagione, sulla terra e poi sul cemento, aver battuto due mostri, dà la misura della crescita imperiosa di Sasha, che oggi si ritroverà numero sette del mondo e prima alternativa a Roger e Rafa per gli Us Open. Proprio così. In Canada, dopo un torneo perfetto, Zverev fa il salto di qualità anche mentale, aggredendo subito Sasha oggi sale al numero 7, sua miglior classifica: «E’ stata una settimana perfetta» Federer e tenendo in mano la partita con il servizio. Il Divino (prima finale persa dell’anno) non è la solita macchina perfetta, si muove male e usa con troppa frequenza lo slice di rovescio solo in funzione difensiva. Però i] tedesco non gli concede un centimetro, lo tiene Ià dietro e non trema quando deve servire per il primo set e poi per il match. Finisce in un’ora e 8 minuti. Che campione: è il quinto trionfo stagionale (Montpellier, Monaco, Roma, Washington e Montreal), e purtroppo per noi Milano e le Next Gen Final si allontanano di brutto, perché il Giovin Signore giocherà il Masters dei grandi: «E’ stata una settimana perfetta, anche se mi spiace aver impedito a Roger di vincere per la prima volta a Montreal. NUMERO UNO Già, i due titoli del Masters 1000 canadese (2004 e 2006) per lo svizzero sono arrivati a Toronto e mai in Quebec: «Ma devo fare i complimenti a Sasha, ha giocato un torneo fantastico». La sconfitta non interrompe la corsa del Divino verso il numero uno, ma gli pone solo un piccolo ostacolo in più: per raggiungere il primato dopo il torneo di Cincinnati e non lasciarlo a Nadal, deve vincere il torneo se lo spagnolo arriva almeno in semifinale. Una lotta emozionante. Intanto, tra le donne, quinto titolo su cinque in stagione per Elina Svitolina.

 

Federer s’inchina alla velocità del talento Zverev

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 14.08.2017

 

Quel che più impressiona di Alexander Zverev è la capacità di non disunirsi nei momenti importanti. Il ventenne tedesco ha battuto Sua Maestà Roger Federer nella finale del Masters 1000 di Montreal con il piglio del Fab Four: 6-3 6-4. Dall’1-1 del primo set ha messo a segno un parziale di 12 punti a 2 che lo ha portato sul 4-1, quindi ha chiuso 6-3 senza affanni. Troppo bassa la percentuale al servizio dello svizzero (sotto il 50%), stranamente rigido al servizio e poco mobile, tanto da far temere problemi alla schiena. Il giovane di Amburgo andava al doppio della velocità e ha dominato gli scambi: nel secondo set il break decisivo è arrivato sul 3-3. Serviti coloro che avevano recitato parole troppo severe dopo l’immediata eliminazione del tedesco al Roland Garros o chi si aspettava di più a Wimbledon. Quest’anno Zverev si è aggiudicato il torneo di Montpellier, ha conquistato i successi a Monaco di Baviera e soprattutto a Roma, diventando il più giovane vincitore di un Masters 1000 dai tempi di Djokovic. Otto giorni fa ha vinto l’ATP 500 di Washington e ha proseguito la striscia positiva in Canada (10 match di fila). Il suo bilancio stagionale è di 46 vittorie e 13 sconfitte e il cemento dell’estate nord americana può consacrarlo. STAGIONE DA BIG In Canada ha giocato la sesta finale del 2017: soltanto Federer e Nadal hanno saputo fare meglio o altrettanto. E’ settimo nel ranking ATP, terzo nella Race, la classifica che tiene conto solo dei risultati nel 2017. Il distacco con gli altri Next Gen è abissale: ha raccolto il quadruplo dei punti del più diretto inseguitore, il russo Khachanov. Un bottino grazie al quale si è assicurato la certezza di un posto alle Next Gen ATP Finals in programma a Milano dal 7 all’ll novembre. E con le assenze certe di Djokovic e Wawrinka (hanno entrambi già chiuso la stagione) ha ottime chance di qualificarsi pure per il Masters di Londra. Zverev ha introdotto la moda dei super coach pure tra i Next Gen. Qualche settimana fa aveva confessato di aver pensato a Becker, opzione abbandonata per questioni di budget. Allora ha deciso di affidarsi a Juan Carlos Ferrero, uno dei tre spagnoli con Nadal e Moya capace di arrivare in vetta al ranking. Almeno per il momento si tratta di una collaborazione part-time: Ferrero farà parte dello staff del tedesco guidato da papà Alexander senior fino agli US Open. L’obiettivo è migliorare il rendimento negli Slam in cui ha raggiunto una sola volta la seconda settimana, lo scorso luglio a Wimbledon. Poco per uno che viene indicato come l’erede dei Fab Four. LA CORSA AL N.1 Federer ha fallito per il momento l’aggancio a Lendl a quota 94 titoli in carriera (il record appartiene a Connors con 109). Nonostante la sconfitta il 36enne fuoriclasse svizzero, schiena permettendo, può continuare a pensare al numero uno del ranking, posizione che è stata già sua per 302 settimane, 237 di fila. Gli potrebbe bastare la finale a Cincinnati, altro Masters 1000 in calendario da oggi e ultimo warm up prima degli US Open. A patto di eguagliare o far meglio di Nadal. Il prossimo 21 agosto infatti Murray, assente anche nell’Ohio a causa dell’infortunio all’anca, perderà la prima posizione ATP conquistata il 7 novembre 2016. Se a vantaggio dello svizzero o dello spagnolo lo scopriremo questa settimana: uno dei due sarà la prima testa di serie agli US Open al via il 28 agosto.

 

Clerici, «scriba» del tennis un novelliere dietro le quinte

 

Roberto Perrone, il giornale del 14.08.2017

 

Qualche anno fa, a Wimbledon, si mandò reciprocamente a quel paese con Francesca Schiavone. Giovanni, Gianni Clerici, Como, classe 1930, come Giban Brera di cui era vicino di scrivania al Giorno (prima di passare a Repubblica), prodigo di soprannomi e di rimandi storico-letterari, l’aveva soprannominata “la Leonessa”. C’entravano le origini bresciane della campionessa 2010 del Roland Garros, le Guerre d’Indipendenza, la strenua, eroica resistenza che Francesca metteva in ogni scambio. Ma Francesca se ne lamentò e Gianni lo venne a sapere. Così si presentò in sala stampa a chiarire la cosa. Lei, incauta, lo interruppe: «Chiamami come vuoi, tanto voi giornalisti fate quello che vi pare». Doppio sbaglio: a) dargli del giornalista; b) sistemarlo in una categoria. Lui eruttò: «Io non sono un giornalista». L’incauta Schiavone non conosceva, evidentemente, quello che di Gianni disse Giorgio Bassani: «E’ uno scrittore prestato al giornalismo». Clerici ha raccontato tutti gli sport, perfino il calcio, ma a parte il tennis ha amato moltissimo lo sci. Il tennis lo ha praticato arrivando a disputare i primi turni sia al Roland Garros, sia a Wimbledon. Raggiunse la periferia sud di Londra in auto, epicamente, in tempi in cui l’Europa non era un’autostrada. A Wimbledon, sull’erba, gioca ancora, nei ritagli del torneo. Gianni Clerici, nel giornalismo, ha precorso i tempi. Paradossalmente è più attuale ora, a 87 anni portati egregiamente in prima linea, di qualche decennio fa. Ora il potere della scrittura, la bravura nel raccontare, la seduzione del lettore, sono la vera unica notizia di un quotidiano di carta. Gianni ha sempre sostenuto di non essere un “reporter”, piuttosto uno “scriba”. Al festival della letteratura di Mantova, nel 2009, spiegò: «Non sono un reporter, i setter riportano. Sono un giornalista che narra quello che altrimenti non avreste modo di sapere». Ha ragione. Ha sempre offerto una prospettiva diversa con cui leggere un avvenimento, non un elenco di risultati. Il tratto di Gianni Clerici è sempre stato quello del grande novellista. Pennellate, immagini, battute fulminanti, dialoghi, spesso immaginari, che hanno la funzione, come in quello leopardiano tra il venditore di almanacchi e il passeggero, di veicolare un messaggio, di trasmettere un’idea, di stimolare un approfondimento. Gianni ha sempre giocato la sua partita, incurante degli avversari come dovrebbe fare un vero giornalista. La prima immagine che ho di lui risale al 1988 all’Olimpiade di Seul in una specie di parcheggio, sotto lo stadio del tennis. Raffaella Reggi era stata sconfitta nei quarti da Manuela Maleeva. Gianni torreggiava, per altezza e lettura del match, su un gruppo di avventizi come me. Pochi hanno contribuito alla divulgazione del tennis come lui. Quando cominciai a occuparmene mi disse: «Sono contento che ci sia qualcuno del Corriere che lo segua stabilmente». La sua storia lo ha portato, secondo italiano dopo Nicola Pietrangeli, nella Hall of fame di Newport. Il suo migliore amico nell’ambiente era l’americano Bud Collins (scomparso nel 2016), come lui columnist (per il Boston Globe) e commentatore televisivo. Una coppia incredibile. Gianni alto e vestito in modo non appariscente, Bud sempre con papillon e pantaloni dai colori sgargianti. I loro dialoghi erano sensazionali. Gianni sempre critico verso gli italiani, soprattutto i frequentatori di stadi, tennis compreso. Bud più benevolo, generoso anche verso i nostri difetti. Gianni è un’istituzione. In un Wimbledon particolarmente piovoso, mi ammalai, e lui, vedendomi prostrato, mi portò da uno dei dirigenti del club che mi accompagnò al centro medico dove mi visitarono come se fossi appartenuto alla famiglia reale. Uomo colto, curioso, ha scritto decine di libri, dal monumentale “500 anni di tennis”, all’ultimo delizioso romanzo “Diario di un parroco del lago” (Mondadori). Con lui, in un giorno di sciopero dei giornali, abbandonammo il Roland Garros per una mostra al Beaubourg. Durante i tornei frequentava teatri, visitava musei. A Melbourne andammo insieme allo zoo. Malgrado la sua magrezza, apprezza la buona tavola. In Rue Princesse a Saint Germain, dove facevano un grande os a moelle, cioè l’ossobuco versione francese, mangiammo ai quattro palmenti e quando mi avanzò, stranamente, qualcosa, mi guardò male: «Mia madre mi diceva sempre di non lasciare nulla nel piatto». Ora scrive con il pc, ma come Gianni Mura ha resistito strenuamente con la sua Lettera 22 prima di cedere. Il ticchettio si udiva in tutte le sale stampa, seguito dalla dettatura del “pezzo” ai dimafoni. Con Rino Tommasi ha inventato un genere nel commento sportivo in tv. Rino, rigoroso, attento al dettagli, soprattutto statistici, lo chiamava “Dottor Divago” per la tendenza di Gianni a perdersi in aneddoti e sfaccettature. Questa loro distanza, però, ha prodotto momenti indimenticabili, telecronache straordinarie e un popolo di aficionados, come li definiva Gianni, che ancora li rimpiangono. L’ultima volta che l’ho incontrato era in compagnia di una signora simpatica, carina e intelligente. «Chi è?» gli ho chiesto, curioso. «La mia infermiera» mi ha risposto. Ma stava, e sta, benissimo. E questa è un’altra storia.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement