Direzione Milano: otto italiani a caccia di una wild card
ATP NextGen Finals, la guida completa
Quando Denis Shapovalov ha iniziato a comparire una, due e più volte, sembrava quasi fosse uno stratagemma di Tennis Canada per ingraziarsi i fan alienati dal gioco di Raonic. Con una sorta di esperimento di ingegneria genetica del tennis, il paese della foglia d’acero aveva tirato fuori un ragazzino monomane (!) con una spiccata vocazione per la mobilità e l’iniziativa (!!), al quale doveva essere stato infuso uno di quei pochi talenti che sono anche indiscutibilmente belli da guardare. Tutt’altra storia insomma rispetto al povero n.1 nazionale, ottimo tennista ma assai mal sopportato dai puristi del gioco a più basse velocità.
Ai primi sguardi insomma Shapovalov piacque subito. Già dal circuito junior, dove ha trionfato soltanto lo scorso anno a Wimbledon in singolare. Il suo gioco sembrava un sensato connubio tra l’efficacia richiesta nel 2017 e la bellezza (richiesta sempre), tanto da valergli la definizione di “Federer mancino” da parte dell’analista di tennis Craig O’Shannessy. Per molti, quest’altro ragazzino figlio di sportivi russi incarnava la speranza che il famoso domani di “corsa e cannonate” non dovesse essere costituito solo e unicamente di quelle. Così qualche grande wild card è arrivata ancor prima dei risultati a livello Challenger, tanto che nell’estate 2016, nel Masters 1000 di casa, in quello che è soltanto il suo secondo incontro nel circuito maggiore Denis sconfigge addirittura Nick Kyrgios. L’australiano è in versione guscio vuoto e alla vittoria non ne seguono altre per il resto dell’anno, perciò al di fuori dei confini nazionali l’impresa fa poco rumore. Shapovalov però intanto ha ottenuto la sua piccola bandierina bionda sulle mappe del tennis.
Il vero paradosso è che la prima vera grande ribalta di Shapovalov coincida con il punto più basso della finora breve parabola sportiva, la famigerata pallata in faccia al giudice di sedia. Per chi non dovesse ricordare, una breve sintesi: nel febbraio di quest’anno, il Canada ospita la Gran Bretagna nel pericoloso primo turno del World Group di Coppa Davis, quello che spedisce qualcuno ai quarti e qualcun altro agli spareggi per non retrocedere. Privo di Raonic, capitan Martin Laurendeau affida il primo e l’ultimo singolare a Shapovalov, del quale è diventato co-coach insieme a mamma Tessa appena due mesi prima (in sostituzione di Adriano Fuorivia e dopo una prova del ragazzo con Gunter Bresnik). Sul 2-2 nel match decisivo contro Kyle Edmund, già sotto di due set, Denis manda largo il rovescio che costa il break e sfoga la frustrazione sparando in aria la pallina rimastagli. Ne viene fuori una sorta di prodezza al contrario: colpisce in pieno occhio sinistro Arnaud Gabas, intento ad aggiornare il punteggio. Bullseye, centro perfetto, roba da portarsi a casa tutti i peluche del tiro a segno.
Uno scatto di rabbia con tali conseguenze, a diciotto anni, in mondovisione, è il peggiore dei biglietti da visita. La taciuta consapevolezza che sarebbe potuto capitare anche a un Fab Four (Djokovic non ci è andato lontanissimo) non scongiurava l’enorme rischio di funerale sportivo nella culla, specialmente in un tennis alla disperata ricerca di giovani “marketable”. E invece oggi Denis è diventato uno dei personaggi positivi di punta della multiforme, ma spesso anonima, ATP Next Generation. Alla faccia di chi ne chiedeva la radiazione, il ragazzetto ha reagito nell’unico modo possibile: maturando. È stato lui stesso, nella lunga chiacchierata con Ubitennis in giugno, a stabilire un prima e un dopo l’incidente nella sua vita e nella sua carriera. Vedendolo sinceramente pentito, a tendergli la mano non è stato soltanto Gabas – con il quale ha chiarito ed è ora in buoni rapporti – ma lo stesso destino, proponendogli occasioni di riscatto “ad hoc”: prima una rivincita contro Edmund a campi invertiti; poi un nuovo, cruciale tie di Coppa Davis (contro l’India).
I due eventi fanno da inizio e fine alla sua splendida estate, il cui apice è stato il ritorno alla Rogers Cup, stavolta di sede a Montreal. C’era un secondo turno da difendere, Shapovalov lo ha trasformato in una semifinale pulitissima. Caricato ancora una volta dalle difficoltà iniziali (ha annullato 4 match point a Dutra Silva nel match d’esordio) ha battuto prima del Potro e poi Nadal, fermandosi soltanto davanti al poi campione Alexander Zverev, Next Gen come lui ma di due determinanti anni di età più esperto. È soprattutto la vittoria contro Rafa che dà il segno di quanto Denis sia stato sparato come un razzo verso il cielo del tennis: nove anni prima era la mascotte col magliettone XL, oggi lo stesso campo centrale lo acclamava come vincitore sul maiorchino. La settimana seguente, costretto da un ranking ormai ben dietro le spalle a giocare le qualificazioni degli US Open, ha dato seguito al gran momento di forma raggiungendo gli ottavi di finale e aggiornando un altro paio di record di precocità.
Se Shapovalov ha gestito bene il balzo in classifica, l’improvvisa notorietà lo ha invece colto un po’ di sorpresa. Lui stesso ha raccontato come sia rimasto colpito da un episodio ormai di routine per quasi tutti i tennisti con una certa fama, ovvero la richiesta di un autografo da parte di un bimbo, che lo ha riconosciuto in strada a Central Park. L’emozione del piccolo nel trovarglisi accanto ha generato in lui la consapevolezza di essere ormai diventato anche un idolo, un esempio per le generazioni ancora successive. Motivo in più per non ripetere certi errori che ormai, per gioco ma non troppo, possono addirittura essere chiamati “di gioventù”. La rapidità con cui questi campioni crescono (o sbocciano, o esplodono… scegliete voi la metafora) non deve far comunque dimenticare che si tratta ancora di ragazzi. Tanto per dirne una, il rapporto di Denis con il best friend Felix Auger-Aliassime, un altro prospetto canadese da tenere d’occhio, è quello di due adolescenti come tanti: dividono la cameretta durante la Rogers Cup, si consigliano serie tv e si taggano ancora a vicenda sotto gli highlights dei Fab Four…
A differenza di numerosi baby-adulti, insomma, Shapovalov lascia ancora facilmente trasparire la sua età. Dinamico, umile, spontaneo, divertente in campo e fuori, è ancora soprattutto tanto, tanto giovane. Perciò, nonostante una leg asiatica ridotta all’osso e un indoor sottotono, non c’è da allarmarsi. Denis non compirà ventuno anni né quest’anno né il prossimo e se i colleghi più maturi dovesse eliminarlo da Milano, avrà certamente altre occasioni per fare suo il titolo. A meno di non trovarsi presto, come già si trova Sascha Zverev, “in ben altre faccende affaccendato”.
Sognando Milano