Sascha Bajin, l'uomo in più per Naomi Osaka

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Sascha Bajin, l’uomo in più per Naomi Osaka

“Sasha Bajin non è più sul mercato”, scrive WTA.com. Lo sparring partner e assistant-coach più invidiato del circuito, dopo la separazione con Caroline Wozniacki, lavorerà con la ventenne Osaka

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L’inverno, da queste parti, un po’ somiglia al calciomercato. Ci si lascia e ci si prende senza rancori, almeno apparentemente, e si approfitta dei 280 caratteri per cinguettare la separazione, augurando il meglio a chi ci si lascia alle spalle. Sono molte le tenniste che si affacciano al 2018 senza una guida tecnica: chi per scelta, come Kiki Mladenovic, che si fa seguire dalla madre Dzenita, ex pallavolista; chi, forse, per un eccesso di prudenza, come Johanna Konta, avvicinata dal Daily Mail all’ex coach di Maria Sharapova, Micheal Joyce, reduce da una breve parentesi con Vika Azarenka interrotta a causa degli arcinoti problemi di lei con l’affidamento del figlio.

Tuttavia la novità forse più interessante di questo dicembre scevro di tennis non riguarda l’innesto di un nuovo coach. Sasha Bajin, ex sparring partner di Serena Williams, Vika Azarenka e Caroline Wozniacki, ha comunicato attraverso i suoi canali social di aver iniziato una nuova collaborazione: lavorerà nel 2018 con Naomi Osaka, vent’anni lo scorso ottobre e numero 68 del mondo. Bajin, che può vantare una discreta notorietà anche tra i non addetti ai lavori, aveva solleticato nei giorni scorsi la curiosità dei suoi follower, annunciando novità imminenti. L’annuncio è arrivato martedì, con una foto che ritrae Osaka al servizio e una caption: Ecco la novità ragazzi. Mi dispiace avervi fatto attendere così a lungo”.

Di lui non si fa altro che parlare un gran bene. I ben informati raccontano che sia stato Bajin a convincere Serena ad abbandonare il budello naturale per un ibrido che le garantiva un maggiore controllo negli scambi. Caroline Wozniacki, con la quale ha da poco concluso una breve, ma fertile esperienza di dieci mesi culminata nella vittoria del Masters di Singapore, lo ha definito più che un semplice hitting-partner: “Lui guarda molte partite, esamina e si ferma sempre a chiacchierare prima e dopo gli allenamenti, parlando di ciò che si potrebbe migliorare. Dà sempre buoni consigli. Direi che è più di un palleggiatore, lo definirei un assistant-coach”.

 

August 29, 2017 – Naomi Osaka in action against Angelique Kerber at the 2017 US Open.

Per Bajin, Osaka sarà una sorta di ritorno al futuro. Tornerà a lavorare con una giocatrice aggressiva, che non gioca di rimessa, ma ama condurre lo scambio. Naomi, allenata da David Taylor, storico coach di Samantha Stosur, ha chiuso in crescendo una stagione dalla quale ci si aspettava forse qualcosa in più: 68 nel ranking WTA, è tra le poche giocatrici che abitano stabilmente la top 100 a non aver ancora sollevato un trofeo. A New York, nel corso di un’esilarante conferenza stampa a margine del successo sulla ex numero uno e campionessa in carica Angelique Kerber, ad Osaka è stato chiesto cosa si prova a vedere le sue coetanee vincere uno Slam (come Ostapenko a Parigi). Lei, aggrovigliando i discorsi, come spesso le accade, ha provato a spiegare che la cosa non la disturba affatto, anzi, è solo un’altra ragione per migliorarsi.

Lo scorso anno il suo obiettivo dichiarato era raggiungere un quarto di finale Slam, ma le cose sono andate diversamente. Il potenziale non le manca e le affinità con il suo idolo Serena Williams non sono poche: da fondocampo può spingere senza problemi con entrambi i fondamentali. Col dritto è in grado di generare colpi che paralizzano le avversarie e come ha spiegato molto bene AGF nel suo articolo, il rovescio è migliorato moltissimo, diventando un’arma quasi pari al dritto. Al servizio è già tra le migliori in termini di rendimento con la prima, ma ha ancora molto da lavorare sulla seconda, che in giornata no la rende inoffensiva. Ma il vero limite di Osaka sembra essere l’aspetto psicologico: Naomi ha più volte ammesso di essere sempre molto negativa e ciò la rende trasparente alle sue avversarie, comunicando insicurezze. È qui che Bajin potrà lavorare, per plasmare una futura campionessa slam. “The sky’s the limit”, ha detto di lei David Taylor. Ci sarà da lavorare, ma con Big Sasha tutto diventa “un po’ più possibile”.

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Il Roland Garros indifeso: Nadal e gli altri campioni in carica che hanno lasciato orfano il torneo

Rafa Nadal è l’ultimo di una (breve) lista di vincitori dell’Open di Francia che non hanno giocato a Parigi l’anno successivo. Chi sono gli altri e perché non c’erano?

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La Coppa dei Moschettieri (foto via Twitter @rolandgarros)

“Dipende se Rafa giocherà” aveva detto a Roma fa Novak Djokovic, una risposta che molto probabilmente valeva per tutti i tennisti alla domanda su chi sarebbe stato il favorito a Parigi. Quel “se giocherà” si è rivelato infaustamente premonitore: non sarà Rafael Nadal ad alzare la Coppa dei Moschettieri nel 2023. Nella conferenza stampa di giovedì 18 maggio, un tennista di trentasei anni, quasi trentasette, e dall’aspetto sereno ha affranto gran parte del mondo tennistico spiegando che il proprio corpo reclama una lunga pausa. La più immediata conseguenza sportiva di ciò è l’impossibilità di difendere il titolo del Roland Garros – il quattordicesimo messo in bacheca.

Nadal non aveva mai mancato l’appuntamento parigino dal suo esordio (con successo finale) nel 2005, ma aveva dovuto rinunciarvi l’anno precedente a causa di una frattura da stress alla caviglia sinistra. Quella del 2023 è dunque la sua prima assenza come campione in carica. Ci è allora venuta la curiosità di sapere chi altri non si fosse presentato l’anno successivo al trionfo. Curiosità che evidentemente è venuta anche a qualcun altro che ringraziamo per la rivelazione. Vediamo quindi chi sono i tennisti (maschi) dell’Era Open a non essersi presentati per la difesa del titolo, con l’auspicio (ormai la certezza, assicura lei) di non doverne farne uno anche per le ragazze.

Il viaggio parte dal maggio 1970, due anni dopo l’inizio dell’Era Open, il momento di svolta in cui i tennisti professionisti furono ammessi a giocare i tornei del Grande Slam e gli altri eventi organizzati o riconosciuti dal’ILTF fino ad allora riservati agli amatori. L’ILFT era la federazione internazionale che ancora si beava di Lawn nel nome e il Roland Garros del 1968 fu il primo Slam “aperto”. Il vincitore a Parigi nel 1969 e dunque primo della lista dei campioni uscenti-assenti è Rod Laver, il mancino australiano che nell’occasione si prese la rivincita della finale dell’anno precedente sul connazionale Ken Rosewall.

 

Laver, che in quella stagione vinse il Grande Slam, era sotto contratto con la NTL (National Tennis Leagues), un tour professionistico maschile fondato due anni prima. Esisteva anche un altro tour pro, il World Championship Tennis, che insieme al Grand Prix è stato il predecessore dell’ATP. Nel 1970, il WCT acquisì la NTL e con essa i contratti dei suoi giocatori. Pare quindi che, almeno in parte, proprio per via del proprio contratto Rod non partecipò a quel Roland Garros, sebbene giocò poi a Wimbledon e a Forest Hills (US Open), due degli altri eventi sotto l’egida dell’ILTF. Nel dicembre di quello stesso anno, WCT e ILTF raggiunsero un accordo, mentre quello del 1969 rimase l’ultimo Open di Francia disputato da Laver. Il suo successore a Parigi fu così il ceco Jan Kodeš, vincitore in finale su quello Željko Franulović che avrebbe diretto il torneo di Monte Carlo per quasi due decadi.

Rimaniamo nel Principato volando però al 1982 e al secondo nome della lista, probabilmente quello facile da indovinare. Nel torneo monegasco, Bjorn Borg, numero 4 del seeding, si arrende a Yannick Noah, dopo aver battuto in tre set Adriano Panatta al secondo turno. Fin qua, nulla di strano. Guardando con attenzione, tuttavia, di fianco a quel “4” che precede il nome del sei volte campione a Parigi c’è la Q di qualificato. Perché Borg rientrava da un’assenza dal circuito di cinque mesi, la più lunga fino a quel momento, ma soprattutto aveva deciso di disputare solo sette eventi del Grand Prix invece dei dieci richiesti. Sul New York Times dell’epoca, il suo coach Lennart Bergelin spiega che Borg ha deciso di non giocare il Roland Garros a causa della regola che lo obbligherebbe a passare per le qualificazioni. “Non abbiamo ancora preso una decisione riguardo a Wimbledon” aveva aggiunto. Quello di Monte Carlo era il primo torneo a cui partecipava in stagione. Sarebbe rimasto l’unico. Senza Bjorn a difendere il titolo (il quarto consecutivo), la coppa restò comunque in mani svedesi, raccolta da un diciassettenne Mats Wilander che batté Guillermo Vilas in quattro set.

Nel 1990 non era più un fattore, Wilander, mentre il numero 1 del mondo Ivan Lendl si chiamò fuori dai giochi per prepararsi sull’erba con obiettivo Wimbledon. Fuori subito le prime due teste di serie Edberg e Becker per mano di due teenager, rispettivamente Sergi Bruguera e Goran Ivanisevic, in finale – la prima slam per entrambi – arrivarono i secondi favoriti del seeding: ebbe la meglio l’underdog, il trentenne Andres Gomez sul ventenne Andre Agassi. Il mancino ecuadoriano perse però il suo feeling con la palla nei mesi successivi, chiudendo l’anno con 12 sconfitte consecutive. Nel 1991, a Madrid, vinse il suo terzo match in stagione, ma si infortunò alla coscia al turno successivo e fu quella la motivazione per cui rinunciò al Roland Garros. Tuttavia, secondo il suo ex coach Colon Nuñez fu il mediocre stato di forma di Andres la ragione principale che portò alla decisione del forfait. “L’infortunio è stata l’ultima goccia” le parole di Nuñez riportate dal Tampa Bay Times. “Non ha retto alla pressione come avrebbe potuto. Ora sta lavorando con un preparatore atletico, cercando di tornare in forma. Di sicuro possiede ancora il talento”. Agassi tornò in finale, ma fu nuovamente sconfitto, quella volta da Jim Courier.

1970, 1982 e 1991. Non succedeva da trentadue anni che il campione in carica del Roland Garros non tornasse a difendere il titolo. Allora, magari non da così tanto ma certo dopo parecchio tempo, l’imminente Open di Francia 2023 sarà un torneo… aperto.

E quello del 2024? “Dipende…”.

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ATP

Struff, Marozsan e adesso anche Hanfmann: la rivoluzione dei qualificati è in atto

Grazie a Yannick Hanfmann, quello di Roma è diventato il quarto Masters 1000 consecutivo con almeno un giocatore proveniente dalle qualificazioni ai quarti di finale. Come spiegare questo fenomeno?

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Yannick Hanfmann - Roma 2023 (foto Francesca Micheli, Ubitennis)

Da adesso in avanti potrebbe essere una buona idea prestare molta più attenzione alle qualificazioni dei grandi tornei del circuito. Se non altro per poter dire con fierezza e senza falsa modestia agli amici “ve l’avevo detto” … Ve l’avevo detto che quello Struff, quell’Altmaier, quell’Hanfmann, o chissà chi nelle prossime settimane, sta giocando bene e che avrebbe potuto essere la sorpresa del torneo. Certo, non si tratta di nomi sconosciuti a chi segue il tennis con passione e continuità, ma da qui a pronosticarli nei quarti di finale – o anche più avanti – di un Masters 1000 ce ne passa. Bisogna avere occhio. La presenza di veri e propri outsider nelle fasi finali dei ‘mille’ sta però diventando una costante e allora lo scouting nelle qualificazioni è doveroso.

La stagione dei qualificati e dei lucky loser

Madrid è stato il torneo di Karatsev e soprattutto di Struff, arrivato a un set dal vincere il primo titolo ATP della carriera in uno degli eventi più importanti dell’anno e per di più da lucky loser (in questo caso ci voleva molto più che semplice occhio per prevedere un risultato del genere dopo aver visto le qualificazioni: sì, serviva proprio quello a cui state pensando). Presi da Aslan e Jan-Lennard, in pochi si sono accorti anche di un altro che ha raggiunto un risultato inimmaginabile: Daniel Altmaier, 4 vittorie in carriera nei main draw dei Masters 1000 e degli Slam prima di Madrid, anche lui lucky loser alla Caja Magica e spintosi fino ai quarti dopo aver battuto, tra gli altri, anche un certo Yannick Hanfmann – manco a dirlo, proveniente dalle qualificazioni pure lui.

Karatsev e Struff hanno esagerato così tanto in Spagna che hanno deciso di dare forfait a Roma, dove sarebbero dovuti ripartire dal tabellone cadetto. Daniel e soprattutto Yannick, invece, non avevano ancora finito il loro lavoro. Altmaier si è fermato al secondo turno dopo una comunque ottima prestazione contro Tiafoe, mentre Hanfmann, numero 101 del mondo e best ranking di 92, sta provando a replicare il percorso seguito da Struff.

 

Il successo su Rublev – il terzo su un top 10 in carriera, il secondo a Roma dopo quello su Fritz – lo ha portato per la prima volta nei quarti di finale di un 1000, esattamente come era stato a Madrid per Karatsev e Altmaier, per Struff a Montecarlo e anche per Eubanks a Miami: quattro 1000 consecutivi con almeno un giocatore nei quarti di finale reduce dalle qualificazioni e oltretutto mai arrivato prima a un traguardo simile. Impossibile poi non aggiungere a questi nomi quello di Marozsan, capace di battere Alcaraz in quella che rimarrà l’impresa del torneo e una delle più grandi sorprese di tutta la stagione.

Due possibili spiegazioni

IL NUOVO FORMAT DEI MILLE – Le differenze tra i giocatori citati sono tante. Quello che più merita un discorso a parte è sicuramente Karatsev (che potete trovare qui), in quanto già protagonista di un grande exploit nel 2021. Tutti, però, hanno potuto raggiungere un risultato simile anche grazie al nuovo formato di alcuni Masters 1000. Essendo questi spalmati su due settimane, i giocatori impegnati nelle qualificazioni hanno tutti un giorno di riposo o prima dell’esordio nel main draw o prima dell’eventuale secondo turno.

In questo modo il bilancio tra i pro e i contro di essere un qualificato assume tutt’altro valore: resta infatti il vantaggio di conoscere già le condizioni di gioco e di aver acquisito fiducia dai match vinti nel tabellone cadetto, mentre l’altro piatto della bilancia, rappresentato dalla stanchezza, diventa molto meno pesante. Con il format tradizionale, infatti, per raggiungere i quarti i qualificati possono essere costretti a giocare anche cinque partite in cinque giorni: con la nuova formula questa possibilità viene cancellata.

IL LIVELLO DEL CIRCUITO CHALLENGER – E poi c’è un altro elemento che riguarda fondamentalmente tutti i giocatori in questione: il livello del circuito Challenger, con la riforma voluta da Gaudenzi, si è alzato in maniera evidente e più e meno giovani ne hanno potuto beneficiare. Tra Hanfmann, Struff, Eubanks e Altmaier il più piccolo è quest’ultimo con 24 anni. Lo stesso Marozsan ne ha 23: nessuno, insomma, è il predestinato che inizia a vincere sin da subito e che scala la classifica in un amen. Tutti sono cresciuti sfruttando la palestra sempre più allenante e competitiva (grazie all’aumento dei montepremi e a una nuova categoria di tornei, i “175“) dei Challenger e di questo insieme di giocatori fanno parte anche altri nomi interessanti come quelli di Shevchenko, Borges e anche del nostro Arnaldi.

L’ultimo esempio: Yannick Hanfmann

Quasi nascosto da altre grandi sorprese (di Alcaraz si è già detto, ma anche l’eliminazione di Sinner non era attesa), a Roma Hanfmann ha già vinto 6 match tra qualificazioni e tabellone principale. L’anno scorso Yannick aveva giocato solamente in 7 main draw del circuito (un numero già eguagliato in questa stagione), raggiungendo come miglior risultato la semifinale a Kitzbuhel e con un bilancio complessivo di 7 vittorie e altrettante sconfitte. Il suo record in questo 2023 è al momento sul 12-6.

La svolta? Forse i risultati nei Challenger di fine 2022: finale a Rio de Janeiro, quarti a Bergamo e semifinale a Helsinki. Di sicuro qualcosa è cambiato e lo ammette lui stesso: “È una sensazione fantastica scendere in campo contro un giocatore come Rublev e non percepire più paura. Prima forse la sentivo, pensavo ‘Wow, ok, non so come posso giocare con lui’, ma ora so che posso battere questi giocatori. Sono abbastanza esperto per capire cosa posso fare in campo, soprattutto sulla terra battuta, e mi sento pericoloso contro chiunque”.

Per imitare in tutto e per tutto quanto fatto da Struff a Madrid, Hanfmann dovrà superare ancora un paio di ostacoli piuttosto grossi (Medvedev e poi eventualmente Tsitsipas o Coric). Del resto i punti in comune tra i due sono tanti: tedeschi, quasi coetanei (del ’91 Hanfmann, del ’90 Struff), caratteristiche di gioco simili e sintetizzabili nella potenza del dritto e del servizio, nessun torneo ATP conquistato, carriere discrete e passate prevalentemente nell’ombra di Zverev.

Beh, lunedì prossimo Sasha perderà il titolo di numero 1 di Germania mettendo fine a un primato che è stato sostanzialmente indiscusso per ben sette anni. E a prendere il suo posto sarà con tutta probabilità proprio Struff. A meno che Hanfmann non porti in fondo quello che per lui è già il torneo della vita vincendolo.

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Editoriali del Direttore

ATP Roma: Marozsan, ma da dove sei uscito? Da Budapest o Firenze? Insieme a Sciahbasi esultò di più che a battere Carlos Alcaraz

Ha demolito il prossimo n.1 ATP a suon di smorzate e missili di dritto. Eppure non c’era il suo coach. Da un gettone di 3.000€ per la serie A a 84.900. Ora in ottavi ha Coric che, semisconosciuto, sorprese Nadal, proprio come lui Alcaraz

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Le grandi sorprese degli ultimi anni

Esultò assai di più quando l’anno scorso conquistò per il Tennis Matchball di Bagno a Ripoli il punto decisivo che valeva la promozione in serie A nel doppio dei playoff contro il Tennis EUR…

Diversamente da quella volta, quando slanciò le braccia al cielo e poi abbracciò calorosamente il suo compagno di doppio, il marchigiano Lorenzo Sciahbasi,  Fabian Marozsan, 23 anni e n.135 ATP, non si è concesso sul centrale del Foro Italico e in mezzo a un diluvio di applausi nemmeno la più piccola esultanza, che so…una smorfia, un sorriso, un grido, neppur quando Carlitos Alcaraz ha tirato fuori il suo ultimo dritto sul matchpoint al termine di un tiebreak nel quale il murciano era stato avanti 4-1 prima di perdere 6 punti di fila!

 

Al suo primo torneo ATP il ragazzo di Szazhalombatta, piccola cittadina a 30 km da Budapest e nota per le sue raffinerie di petrolio, ha dato una lezione di tennis, e di smorzate, allo spagnolo che lunedì prossimo tornerà n.1 del mondo. Sì, non lo ha solo battuto. Il bruno ragazzo magiaro dall’aria apparentemente esile, un metro e 93 per 75 kg (10 meno di Matteo Berrettini che è però 3 cm più alto) lo ha dominato, nonostante che Alcaraz abbia lottato fino all’ultimo, senza mai mollare. Certo Carlitos ha giocato meglio altre volte, ma sbaglierebbe chi credesse che abbia giocato male. A risultare davvero impressionante è stata la partita di questo ragazzo che pochi conoscevano, al di fuori di chi segue la Serie A e di chi lo aveva visto giocare già bene al Challenger di Cagliari una decina di giorni fa, quando aveva battuto Luca Nardi in tre set prima di perdere in due set ravvicinati con Ben Shelton 6-4,7-6(6).

L’ungherese si è presentato in sala stampa dimostrando anche un certo sense of humour, nonostante l’evidente timidezza: “Mi chiamo Fabian Marozsan, ho cominciato a giocare quando avevo 5 anni, mio padre è stato il mio primo coach, ho cominciato a vincere qualche partita e mi sono deciso a continuare, sperando di fare sempre meglio. Per ora ho giocato solo challenger, ma dovrei essermi avvicinato alla centesima posizione ATP…”

Beh, sì, è virtualmente n.114 dopo aver vinto qui a Roma cinque partite di fila, Skatov, Meligeni nelle “quali”, Moutet n.67 ATP, Lehecka n.39. Questa vittoria, oltre all’immensa e impagabile soddisfazione, gli garantisce prima ancora di affrontare Borna Coric, la bella sommetta di 84.900 euro…non male per uno che nei campionati interclub italiani e francesi si accontenta di 3.000 euro a gettone di presenza (più il rimborso del viaggio).

Avevo rischiato di perdere al primo turno delle qualificazioni con Skatov…(tennista kazako); lui ha servito sul 5-4 nel terzo…”.

Buffo che incontri Coric…perché il tennista croato che è stato allenato per un certo periodo da Riccardo Piatti, ha una storia non troppo dissimile da quella di Marozsan.

Nove anni fa al suo terzo torneo e dopo 3 sole vittorie in 2 precedenti tornei ATP il semisconosciuto Borna Coric battè Rafa Nadal – spagnolo come Alcaraz – al torneo di Basilea 2014 e con un punteggio assai simile a 6-3,7-6 di Marozsan-Alcaraz: 6-2,7-6.

Marozsan è tesserato quest’anno per il terzo anno di fila al Tennis Club Matchball – dove in questi giorni si sta svolgendo un torneo WTA di 125.000 euro con la partecipazione di Paolini, Stefanini, Errani, Bronzetti, Townsend, Konjuh, Liu – e ormai si è fatto un tale gruppo di amici che lui stesso, pur timido e introverso, ha tenuto a sottolinearlo ringraziando tutto il gruppo, presidente (Leonardo Casamonti) compreso. Il Matchball celebra quest’anno 50 anni di vita. “Ero davvero felice di aver aiutato la squadra. Mi erano super riconoscenti. Sì, mi piace giocare lì, ci tornerò di sicuro anche a ottobre. Loro mi hanno aiutato…”

Ad aiutare ancor più la sua fiducia devono essere stati due risultati importanti ottenuti in Coppa Davis e in doppio…che pure non è la sua specialità. Le sue risposte brucianti che hanno messo in difficoltà Alcaraz avevano “bucato” due team di grandi volleador.

In coppia con Valkusz lui aveva battuto contro tutti i pronostici la coppia australiana campione di Slam Peers-Saville 6-4,6-4 e a febbraio anche quella francese formata da Mahut e Rinderknech. Contro la Francia sul 2 pari aveva perso il singolare decisivo da Humbert che giocò benissimo a quanto mi dicono qui i colleghi dell’Equipe.

Sarebbe interessante riguardare tutto il match per contare le sue smorzate. Giocate anche con il saltello, oppure retrocedendo, quindi con un coefficiente di difficoltà super-aumentato. Ma il suo repertorio di colpi è apparso completissimo.

Da dove è saltato fuori uno così, si chiedeva Ivan Ljubicic, ammiratissimo e non meno stupito. Un anno fa, il 10 maggio, si ritirava al primo turno di Zagabria con il nostro Bonadio: era n.333 del mondo. Meno di un mese fa, il 25 aprile, ha perso qui a Roma al primo turno del torneo del Garden da Alexander Weis. Certi miracoli si fa fatica a spiegarli.

Però quando un tennista dice: “Non guardo il tabellone perché penso soltanto ad un avversario per volta” occorre ammettere che non hanno tutti i torti a non fidarsi dei pronostici. Mi sarebbe piaciuto vedere che quota avessero i bookmaker a proposito di una vittoria di Marozsan su Alcaraz. Una volta il n.1 o n.2 del mondo non avrebbe mai perso da un tennista non compreso fra i top 100. Ma i tempi sono cambiati, il tennis si è livellato, basta che un top-10 sia in giornata poco buona, non dico cattiva perché ribadisco che Alcaraz non ha giocato male, e l’outsider provoca la sorpresa.

E l’ha procurata sebbene il suo coach Miklos Palagyi non fosse a Roma. Quel giovane ragazzo biondo che avrete intravisto nel suo angolo in tv. Mark Pataki, è più un amico che un vero coach: era il boyfriend di Anna Bondar e ora segue più spesso Timea Babos che non Fabian.

Anche l’outsider più timido, più introverso come Marozsan del quale però a Bagno a Ripoli ricordano anche una forzata esibizione nel karaoke insieme al compagno di doppio …perché erano stati i più lontani dall’indovinare il conto della cena della squadra. E quella, era stata la punizione. Avevano interpretato, fra le risate generali, la canzone “Baby Shark”.

Lo si deve perdonare se, così giovane, non conosce bene ancora bene la storia del tennis ungherese quando dice: “Il mio amico Fucsovics mi ha sempre aiutato e lui è stato forse il miglior tennista ungherese di sempre”.

Beh, non proprio: l’ungherese Jozsef Asboth nel ’47 ha vinto il Roland Garros, 11 anni prima che una donna ungherese Zsuzsi Kormoczy lo imitasse sempre al Roland Garros. Poi c’è stato anche Istvan Gulyas che ha giocato una finale a Parigi nel ’66 e aveva vinto Montecarlo nel 1965. Anche Balasz Taroczy, n.12 ATP in singolare e vittorioso in 2 Slam in doppio in coppia con lo svizzero Gunthardt (Wimbledon e Roland Garros) è stato un giocatore migliore di Marton Fucsovics il cui best ranking è stato n.31.

Vabbè, queste ultime sono cose da…vecchietti come me. Che salvo Asboth e la Kormoczy, gli altri li ha visti tutti giocare.

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