Rafa, Maria e le altre storie scritte alla grande sulla terra del Foro (Piccardi). Sonego, è la tua terra (Azzolini). Scatto Cecchinato: "Rovescio e testa così sono cresciuto" (Crivelli): Adriano Panatta: "La capitale ha bisogno di un chirurgo" (Rossi)

Rassegna stampa

Rafa, Maria e le altre storie scritte alla grande sulla terra del Foro (Piccardi). Sonego, è la tua terra (Azzolini). Scatto Cecchinato: “Rovescio e testa così sono cresciuto” (Crivelli): Adriano Panatta: “La capitale ha bisogno di un chirurgo” (Rossi)

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Rassegna stampa a cura di Daniele Flavi

 

Tennis Rafa, Maria e le altre storie scritte alla grande sulla terra del Foro

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 14.05.2018

 

Questa è la terra di Rod Laver, Bjorn Borg e Adriano Panatta. Questo è il torneo che il Ponentino accarezza di giorno e l’umidità che sale dal Tevere impregna di notte. Questo è l’evento che ha lo stadio Pietrangeli, il luogo dell’anima del Foro Italico che i turisti vanno a visitare anche dopo il torneo. E tutti gli altri (sì, anche gli Slam) stanno a guardare. Con il loro bailamme di pubblico, supplì ed entusiasmo, gli Internazionali d’Italia sono scattati a Roma portandosi dietro i temi della primavera. Rafa Nadal costretto a vincere per riprendersi il trono ceduto a Federer (contumace: il divino Roger tornerà solo sull’erba), ma non sarà facile: in rotta di collisione con il niño si profila all’orizzonte quel Thiem cui Rafa ha permesso di allenarsi alla sua accademia, fino a concedergli qualche segreto di troppo. II giovane austriaco fidanzato con Kiki Mladenovic ha espulso Nadal dal suo salotto, Madrid, e medita di fargli la festa anche al Foro (nei quarti) che lo spagnolo vorrebbe annettersi per l’ottava volta (l’ultima nel 2o13). Avanza, intanto, la next generation che si ridarà appuntamento a novembre a Milano: il greco Stefanos Tsitsipas e l’americano Frances Tiafoes, entrambi classe 1998, sono partiti con il piede giusto, sperando di fare quel salto di qualità che a Shapovalov, canadese israeliano di nascita, è già riuscito. Alexander Zverev, fresco del titolo di Madrid, gioca dall’anno scorso in un campionato tutto suo: gli Internazionali 2017 sono stati il taglio della linea d’ombra, a Roma si presenta stamane da campione in carica e testa di serie numero due. Roma è la palestra del giovane Lorenzo Sonego, ultrà granata che già si era messo in mostra all’Australian Open, capace di sbucare dalle qualificazioni ed eliminare il numero 27 del mondo, il francese Mannarino, dopo tre annidi tentativi andati a vuoto. E 11 sogno più grande di Filippo Baldi, 22enne di Vigevano, che intasca l’ultimo punto del tie break con lo spagnolo Garcia Lopez e scoppia in lacrime: perla prima volta nella sua carriera è in tabellone a Roma. Oltre le storie dei piccoli eroi, le certezze. II numero 1 d’Italia Fabio Fognini che debutta con Monfils in cerca di qualche soddisfazione sulla terra di casa («Dove la pressione è al massimo e non facile da gestire»), l’addio al tennis di Roberta Vinci dopo 20 annidi rovesci in back e gesti bianchi, omaggiata di una doverosa wild card all’ultimo passaggio a volo radente su un campo da tennis («Poi mi piacerebbe insegnare ai grandi ma anche ai bambini» dice la pollicina che sconfisse Serena Williams all’Open Usa 2015), il ritorno in Europa dell’ex regina Vika Azarenka dopo la sanguinosa causa con II padre del piccolo Leo, che le ha impedito per mesi di lasciare la California….

 

Sonego, è la tua terra

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 14.05.2018

 

Ti sbattono. Ed è quello che ci piace. Lo fanno con ampiezza di gesti, ediparole, teatrali come solo noi italiani sappiamo essere. Pronti a contraddirsi, se serve, a mistificare se solo gliene date occasione, a piangere e a fottere, ma aggrappati come gatti all’ultima delle loro nove vite. Ribaltano i match dal nulla, graffiano quando gli avversari ritengono di averli disarmati, e tornano a correre da che sembravano azzoppati, pronti a ricominciare da capo, sorridenti alla vita e lamentosi per tutta la sfiga che porta con sé. Eccoli, altri due che potrebbero richiamare il pubblico sui bastioni, là dove si prega e si combatte. Lorenzo Sonego e Filippo Baldi, cognomi da garibaldini, mezzi busti da Gianicolo sotto la statua di papà Giuseppe, che guarda lontano, forse proprio in direzione del Foro. Il Sonega Il Baldi… Italiani nati per un tennis che non può essere come loro lo vorrebbero, perché richiede di timbrare il cartellino flnoa quando non siè abbastanza forti da sentirsi liberi di non farlo più. Giocatori che si perdono nelle nebbie quotidiane dei Challenger, ma diventano tennisti se condotti a misurarsi nell’agone celebrato, dove ci si sente pari ai più forti. Lì cambiano, trasmutano, non solo distendono le ali per spiccare il volo. Vanno oltre. Diventano attrazione di giornata Entrambi in rimonta Ma c’era da chiederlo? Sonego sul Centrale ritrova d’incanto i colpi che gli avevano permesso di scalare gli Open d’Australia, a gennaio. Tre match di qualifica e poi su fino a Gasquet, secondo turno dello Slam, battendo marrani della fatta di Haase e Tomic. Ha trascorso l’inverno spalmando Challenger senza convinzione, poi si è ritrovato a tu per tu con il circuito, a ribadire che la sua generazione si sente pronta peri piani alti dell’edificio, ma nei sotto scala si tormenta e cade in depressione. Eccolo nelle quali di Budapest, che passa, e sale fino ai quarti prendendosi il lusso di sbolognare Gasquet, proprio lui. E di brutto… Due set e via, senza diritto di replica E ora Roma, altro giro, altre qualificazioni, e altro francese, Adrian Mannarino, 115 posizioni più su in classifica. Non c’è partita pensano i bookmakers, ignari che di Sonego, torinese (tre giorni fa il suo compleanno, 23) e torinista pervia di nonna che più granata non si può, esistono due versioni, quella di tutti i giorni, e l’altra, extralusso. Di fatto, Lorenzo agevola la strada di Mannarino, concede il primo break e il primo set, poi si trasforma, e comincia a ribattere colpo su colpo, solo che i suoi – colpi – sono più incisivi, pescano angoli lontani. Mannarino pensa sia fortuna, si ricrede e si preoccupa Accetta lo scontro aperto, ma si ritrae un poco di spavaldo non ha più niente nel suo gioco. Decide il tie break del secondo set che il francese conduce fino al 4-3, prima che Sonego sferri l’ultimo accatto, giocando servizi e dritti sulle righe. La vittoria al terzo, a quel punto, giunge per vie naturali. Sonego viaggia sulle ali del pubblico, va 4-1, attende che la riscossa di Mannarino, lupetto ormai sdentato, si consumi su una palla break ammosciata con un passante asfittico, e transita al secondo turno. La prima volta… Meglio: la prima vittoria di Lorenzo Sonego in un Masters 1000. Avrà Peter Gojowczyk (52 Atp), tedesco im pronunciabile, ma amichevole nella misura in cui gli toglie dalla strada Sam Quetrey (13). Secondo turno possibile. Sonego ringrazia, la vittoria su Mannarino lo avvicinerà di molto a quel tennis che va cercando. Basta sotto scala. Si va ai piani nobili. «AGojowczyknonpenso, è già bello così. Il Centrale, il pubblico… Ci provai tre anni fa, superai le quali, poi persi in tre da Sousa Da allora ho lavorato tanto, per stare sempre più dentro il campo». Losièvista Econtinueremo a vederlo, a sentire GipoArbino, che lo allena da quando Lorenzo aveva 11 anni e pensava più al calcio che al tennis. «Era un’ala veloce, armonica nei passi. Ma con una caratteristica dei tennisti forti, per questo ho insistito: impara in fretta, sa mettere a frutto gli insegnamenti. Per me ha margini di miglioramento incredibili». Poi Baldi, che trova posto in tabellone. Battuti Fucsovics prima, ieri Garcia Lopez. Classifica alla mano, due “quali” impossibili. In realtà due match che il nostro ha saputo modellare a sua immagine, con tanta voglia di resistere a tutto. L’anno scorso era un “Next Gen , ora gli anni sono 22, «ma sodi non essere lontano da quel gruppo di ragazzi che comincia a farsi sentire». Non ha ancora giocato un match nel tennis che conta, solo Challenger e Future. Sarà la prima volta. Ma entrando dalla porta principale.

 

Scatto Cecchinato «Rovescio e testa così sono cresciuto»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 14.05.2018

 

Avrebbe dovuto partire dai brividi delle qualificazioni, malgrado la fresca vittoria al torneo di Budapest, la prima in carriera. Poi l’infortunio di Lorenzi gli ha regalato la wild card: e chissà se Marco Cecchinato volgerà un’altra volta la buona sorte a suo favore. Marco, quale parola userebbe per descrivere il suo momento? «Magia. Non penso ci sia un altro modo per rappresentare questo periodo». In tabellone da lucky loser, a Budapest ha vinto il primo torneo in carriera e non ha tremato quando il traguardo si avvicinava. Una bella dimostrazione di forza mentale. «E’ stato il mio segreto per tutta la settimana, ho pensato che avrei dovuto far fruttare la fortuna che avevo avuto. A ogni partita è cresciuta la convinzione, con avversari che erano tutti più avanti di me in classifica». Compreso Seppi, sconfitto in semifinale. «Andreas è uno dei miei migliori amici, fondamentale per la mia crescita tra i 17 e i 19 anni, quando mi sono allenato con lui e sono diventato un giocatore vero. A Budapest l’allievo è stato più bravo del maestro». Un paio di giorni dopo, a Monaco, ha sconfitto Fognini: sul futuro del nostro tennis possiamo stare tranquilli. Tanto c’è lei… «Piano, sono state due vittorie importanti e molto belle, contro due giocatori che per me rappresentano un esempio, ma la strada è lunga e in Italia bisogna convivere con l’attesa del campione che risolve tutti i problemi. Però a 25 anni credo sia giusto avere ambizioni alte da inseguire: io voglio diventare il numero uno italiano». Significa che si sente pronto a entrare tra i 30 del mondo? *** «Ho risolto i problemi fisici e tecnicamente sono cresciuto, poi un giocatore si valuta dalla continuità di rendimento più che da un numero accanto al nome. Intanto però la classifica mi consente di iscrivermi ai tornei più importanti senza passare dalle qualificazioni e dunque di programmarmi meglio». Basta viaggi in posti strani e a proprie spese come nei challenger: un bel cambiamento. «La cosa che mi ha fatto più piacere sono stati i complimenti di campioni come Djokovic e Zverev, mi hanno fatto capire che stavo entrando in un nuovo mondo. E poi c’è una bella differenza tra i soldi di un challenger e quelli anche solo di un primo turno al Roland Garros…». Si aspettava questo salto di qualità così repentino? «Se devo essere sincero, no. Quattro settimane di preparazione invernale mi avevano lasciato buone sensazioni, il lavoro con coach Vagnozzi è di grande qualità, ma non pensavo di essere pronto a vincere un torneo Atp. Per fortuna mi sbagliavo». Oggi debutta sul Pietrangeli contro l’uruguaiano Cuevas: una partita complicata. «Lui è un grande specialista della terra, anche se ultimamente è un po’ in crisi di risultati: mi aspetto un match duro, lungo e combattuto». Non la spaventa l’idea che alle prime sconfitte lei diventerà il solito italiano che scompare dopo un grande successo? «Io penso che occorra dare il giusto valore alle cose: a questi livelli, non si vince un torneo Atp per caso. Quindi sono conscio del mio valore. Però dovrò essere bravo a dare continuità ai miei risultati e al mio gioco». Dove è cresciuto di più tecnicamente? «Nel rovescio: era un colpo solo per buttare di là la palla, adesso ci ottengo anche dei punti. A Budapest mi ha fatto vincere almeno due partite». Lei vince tornei, ma il suo Milan arranca. «Lo so, speriamo di tornare presto in alto. O, per quanto mi riguarda, di rimanerci». Il giocatore che l’ha ispirata? «Il mio idolo assoluto è stato Marat Safin: mi piaceva il tipo di gioco e mi piaceva la personalità che metteva in campo». E fuori dal campo? «Lì credo sia inimitabile».

 

Adriano Panatta “La capitale ha bisogno di un chirurgo”

 

Paolo Rossi, la repubblica del 14.05.2018

 

Da Treviso, dove oggi risiede Adriano Panatta, Roma potrebbe sembrare più lontana e magari essere vista con un occhio nostalgico, perfino più disincantato. Mano, niente di tutto questo vale per l’Adriano nazionale, romano che più non si potrebbe, il tennista che – alla metà degli Anni Settanta (il 1976 in particolare) – deliziò il palato degli appassionati di tennis con le sue smorzate e i colpi al volo che ancora oggi ricordiamo con nostalgia. Adriano, è il momento degli Internazionali: che fa? «Non ci vado come sempre, ormai da oltre quindici anni». Per un rapporto mai più ricucito con la Federtennis. «Esatto. Basta. Ah, no, una cosa voglio far capire a tutti: la federazione italiana non è il tennis nella sua totalità. È una goccia del mondo del tennis. Ma ne sto approfittando per dare una risposta a tutti quelli che me lo chiedono sempre». L’ultimo episodio, la storia dei manifesti celebrativi senza lei. «Direi che l’ha notato l’intera a Italia. Ma io non voglio commentare, dico soltanto che la cosa mi fa sorridere. Semplicemente perché cerco di cogliere l’ironia in tutte le cose della vita, anche quelle della miseria umana». Se lo ricorda che anche Pietrangeli era stato messo da parte nel ventennio del presidente Galgani? «Lo ricordo perfettamente. Ma io non sento di essere stato messo da parte, o in esilio, o qualunque altra parola. Prima di tutto, perchè a me nessuno mi costringe a far nulla. E secondo, perchè ormai mi occupo di altro». Va bene, abbiamo capito. Ma Roma? «Roma? È sempre bellissima, ma ormai è una vecchia signora, un pochino malandata». Ormai è diventato trevigiano… «Ala quando mai. Faccio la spola su e giù. Sono diventato un pendolare a oltre sessant’anni». Però Roma ha bisogno di una chirurgia estetica. «E di uno bravo. Un chirurgo come si deve, per un restyling serio». E la Roma dei suoi esordi? «E chi se la ricorda più…». Uno sforzo… «Mah, il mio primo torneo al Foro? Credo avessi diciassette anni. Si, stavo ancora con i miei, abitavo sulla Colombo». E si spostava con il motorino. «No, con la macchina». Ma non era maggiorenne… «Ops… no, allora avevo già diciott’anni!». Comunque sia, lei ha fatto la storia. Ma è vero che non ha più neanche le coppe?» «Sì, non mi piace che la mia casa mi diventi una sorta di museo». Poi è stato capitano di Coppa Davis e direttore tecnico degli Internazionali. «Sì, per un triennio». Ci si ricorda ancora di quella volta che usci dal suo ufficio per affrontare gli ultras in viale delle Olimpiadi dopo una partita della Roma. «Eh, credo fosse 112000. C’era la domenica di campionato, quelli tiravano bombe carta. Io sono uscito semplicemente per difenderei miei ragazzi». Ma se il tennis la richiamasse in qualche modo? «No, i contrasti restano, nonne voglio più sapere. E ho altri interessi». Però due anni fa c’è andato al Foro per partecipare alla cerimonia dei quarant’anni della vittoria azzurra in Coppa Davis… «L’ho fatto solo perché me l’ha chiesto Giovanni Malagò, che è un caro amico. Ma non lo rifarei». E dunque cosa le resta del tennis? «Beh, vado sempre al Roland Garros. Mi invitano, hanno un altro modo di omaggiare e di ospitare i vincitori del loro torneo». Torniamo a Roma, alla città… «Mah, vederla ridotta cosi fa male. Le buche, i bus in fiamme in pieno centro storico. A leggerlo, e vedere le immagini, sembra incredibile. Ma ormai mi pare una partita persa, questa è la pura verità». Per questo si dedica alle giovani generazioni. «Esatto: il ‘Banca Generali campione per amico, l’evento cui sono coinvolto insieme a Chechi, Graziani e Lucchetta vuol essere un divertimento e un messaggio per i ragazzini, che sono ancora sani e non guastati dal mondo circostante. Ci puoi scherzare, vederne la gioia, immaginare sogni e aspettative». Ecco, l’ironia è stata davvero il modus vivendi di tutta la sua vita. «Ma io odio chi si prende troppo sul serio. La gente che pontifica, nel tennis poi: ma vi pare normale? Noi tiriamo semplicemente delle palline…». Di solito, quando pronunci il nome di Adriano Panatta, torni indietro nel tempo e pensi a Bjorn Borg, Vitas Gerulaitis, Loredana Bertè, Renato Zero… «Vitas non c’è più, che tristezza ogni volta che penso a lui….

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