Angelique Kerber, trent'anni da Slam - Pagina 2 di 2

Al femminile

Angelique Kerber, trent’anni da Slam

Come la maturità di una giocatrice ha contribuito a farne una campionessa

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Sul piano tecnico una volta di più ha confermato che il suo gioco si sposa perfettamente all’erba. Negli ultimi tre anni a Wimbledon ha ottenuto questi risultati: finale, ottavo di finale, vittoria. E a sconfiggerla nel 2016 e nel 2017 sono state solo le vincitrici del torneo (Serena e Muguruza). Certo il suo tennis da erba non è quello di aggressione che spesso siamo abituati ad associare alle superfici più rapide. Ma pur nella sua personale interpretazione ha dimostrato di avere trovato un equilibrio efficacissimo tra fasi di difesa, contenimento e contrattacco. L’erba è la superficie che offre i rimbalzi più bassi, e per chi difende gestire parabole che schizzano via rapide e sfuggenti, più vicine al terreno, è di solito un problema in più. Ma non per Angelique, che al contrario si esalta nella difesa bassa, rasoterra: grazie alle gambe elastiche e fortissime è capace di piegarsi all’estremo e rimandare tutto, in quella tipica esecuzione compatta che sul piano difensivo è forse il suo vero “signature shot”. Non sarà forse il colpo più elegante della storia del tennis, ma rimane una prodezza difficilissima da eseguire, e chi ha provato a tenere in mano una racchetta lo capisce al volo.

Difesa, contenimento e contrattacco: in un certo senso quanto il suo sia un tennis di contrattacco è perfino difficile stabilirlo, visto che, quando è in forma, molte volte riesce a fare la differenza con la prima fase del suo gioco, quella della difesa. In questo Wimbledon spesso è riuscita ad “addomesticare” le avversarie con tale sicurezza da non avere nemmeno bisogno di ricorrere al contrattacco: sbagliano loro per prime direttamente e il punto finisce lì.

Fra i commenti all’articolo di cronaca della finale, un lettore (nickname Davorko Nemec) ha indicato una statistica che illustra come le più importanti avversarie di Wimbledon 2018 abbiano tutte alzato il numero degli errori gratuiti nell’affrontarla. L’ho rielaborata in modo più sintetico, e su tutti i turni. Ecco il confronto riferito alle giocatrici che hanno incontrato Kerber dal terzo turno in poi. I due dati sono: Media errori non forzati dei match precedenti Errori non forzati contro Kerber:
Osaka: 16,5 – 22
Bencic: 16,3 – 36
Kasatkina: 16,6 – 31
Ostapenko: 23 – 36
Williams: 15,1 – 24

Credo che la spiegazione più logica sia questa: di fronte a una giocatrice che regala pochissimo, prima o poi si finisce per sbagliare; e lo si fa per due ragioni. La prima: sostanzialmente perché uno scambio non dura mai all’infinito, e quindi prima o poi qualcuno sbaglia. E difficilmente quel qualcuno è Kerber.
La seconda. Di fronte a questa consapevolezza, le avversarie cercano soluzioni alternative: prendono più rischi e a volte finiscono anche per interpretare male le situazioni nello scambio. In finale Serena ha commesso errori per entrambe le ragioni. Nel primo set soprattutto per la prima causa: provava a spingere, ma la palla le tornava sempre indietro, la scambio si allungava e prima o poi un errore lo commetteva. Sotto questo aspetto il primo set della finale è stato una specie di disincanto. Per Serena, ma anche per gli osservatori esterni: quella partita era anche un test, e dal test abbiamo capito che non era riuscita ancora a raggiungere un grado di efficienza tale da permetterle di tenere testa a un’avversaria del livello di Kerber.

Nel secondo set invece Serena ha peccato anche a causa di errori interpretativi. Al disincanto ha fatto seguito la frustrazione, e con la frustrazione la tendenza a strafare, nel tentativo di raggiungere un obiettivo che si faceva sempre più difficile. E quando si vuole strafare si regalano punti che sembrano a portata di mano, come per esempio la volèe sul 15-0 del game finale, spinta fuori senza che ci fosse una reale necessità di caricare il colpo. Ma proprio a questo porta un’avversaria che sembra concedere nulla in qualsiasi momento del match.

Insomma, Kerber in forma è davvero tosta da affrontare, e se non la si spinge al limite non si possono nemmeno mettere alla prova le sue qualità di contrattaccante. Personalmente, ho già avuto modo di scrivere che non ritengo Angelique forte in attacco quanto lo è in difesa. Quando spinge penso sia una giocatrice tutto sommato prevedibile nelle sue direzioni dei vincenti e non credo che siano queste qualità che fanno di lei una tre volte vincitrice Slam (ho provato a spiegarlo QUI). Però anche con questi limiti di gioco, in fase di attacco il suo cross di rovescio e ancora di più il dritto lungolinea rimangono comunque risorse a cui attingere. Risorse che possono fare la differenza, perché le giocatrici più monodimensionali, di pura difesa, pongono meno problemi di impostazione tattica.

Citavo prima alcune delle migliori partite degli ultimi anni a Wimbledon. Quest’anno quella che probabilmente ha coinvolto di più il pubblico del Centre Court è stata Kerber contro Kasatkina (6-3, 7-5). Avversaria difficile già in passato (come testimoniano i precedenti) forse l’unico match in cui Angelique ha davvero rischiato di perdere il controllo della situazione. Per un momento ha sfiorato il baratro: un istante in cui si è affacciata sul vuoto, rischiando di cadere.

È accaduto nel finale di secondo set, quando Kasatkina dopo essere stata sotto di un break ha recuperato lo svantaggio e ha ingaggiato una lotta punto a punto, sfoderando soluzioni sempre più difficili, che hanno infiammato il Centre Court. Daria ha conquistato punti decisivi con una serie di prodezze; e nel momento in cui ha cominciato a salvare match point a ripetizione era ormai entrata in piena trance agonistica, trascinando con sé tutto lo stadio, che festeggiava i suoi quindici con boati impressionanti. Trance agonistica: la “magica” sensazione di totale concentrazione sul tennis, sul momento di gioco, senza che niente possa distrarre o interferire. L’ha descritta la stessa Kasatkina in conferenza stampa. Le hanno chiesto: “Cosa pensavi in quei momenti, mentre salvavi matchpoint un dopo l’altro? Daria ha risposto: “A essere onesta: niente. La mia testa era completamente vuota. Non sentivo alcuna pressione, alcuna paura. Affrontavo un punto dopo l’altro semplicemente giocando, giocando, giocando. Penso che sia la chiave per vincere grandi match: non avere nulla nella testa, giocare a mente completamente sgombra”.

Non c’è avversaria peggiore da affrontare di quella che gioca in questa condizione: senza paura, senza pressione, totalmente dedita al gesto tennistico. E con in più 14mila persone che la sostengono compattamente. Come ho già avuto occasione di scrivere subito dopo quel match, in quei momenti ho pensato che se Kasatkina fosse riuscita ad arrivare al tiebreak avrebbe finito per vincere, lei insieme al pubblico che la stava letteralmente spingendo a dare il massimo.
Ecco: che Kerber sia stata capace, malgrado tutto, di venirne a capo, riuscendo a deludere un intero stadio, è stata una notevole impresa. Una straordinaria prova di freddezza e lucidità, davvero frutto di grande dominio mentale e di esperienza. E come sia possibile ce lo ha spiegato lei stessa: “Ormai ho trent’anni”.

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