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Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic a New York: Welcome back, Nole

Il punto sulla stagione del tennis balcanico dopo lo US Open. Il ritorno di Nole, i rimpianti di Cilic, la crescita di Coric. Ma anche uno Slam al femminile (quasi) tutto da dimenticare

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SINGOLARE MASCHILE

Dieci in tutto, con la Serbia che torna a fare la voce grossa con ben cinque rappresentanti, quasi che la ritrovata condizione di Djokovic abbia rappresentato una spinta anche per gli altri. In casa croata, invece, non si può non segnalare l’assenza di Ivo Karlovic, eliminato al secondo turno delle qualificazioni, che non mancava in uno Slam da cinque anni (Roland Garros e Wimbledon nel 2013, a causa della meningite virale che lo fermò per alcuni mesi). Sceso al n. 138 del ranking, il 39enne gigante zagabrese pare ormai sulla via del tramonto (non vince due partite di fila da aprile, dalla semifinale raggiunta a Houston). Anche se con uno che anche quest’anno ha piazzato 634 ace ed ha tenuto il 93% dei turni di battuta è sempre meglio andare cauti con i giudizi.

BYE BYE BOSNIA E SLOVENIA. E MEZZA SERBIA – La Bosnia-Erzegovina ha salutato subito la Grande Mela. Se gli otto game raccolti da Mirza Basic contro il futuro semifinalista e tds n. 9 Dominic Thiem rientravano nella norma, ci si aspettava di più invece da Damir Dzumhur, che difendeva il terzo turno del 2017. Il 26enne di Sarajevo, tds n. 24, si è arreso invece in quattro set nel derby balcanico contro Dusan Lajovic. Negativa la trasferta americana per Damir, nonostante fosse iniziata nel migliore dei modi con la semifinale a Los Cabos. Dopo solo delusioni: le sconfitte al primo turno nei due Masters 1000, il ritiro per problemi alla schiena a Winston-Salem e la sconfitta all’esordio anche a New York. Non il prologo ideale per la stagione indoor dove il n. 28 del mondo deve difendere le pesanti cambiali dello scorso anno: le vittorie di San Pietroburgo e Mosca e la semifinale di Shenzen. Praticamente il 40% circa dei suoi punti attuali, senza i quali si ritroverebbe abbondantemente fuori dai primi cinquanta.

Anche l’unico rappresentante sloveno nel tabellone maschile, Aljaz Bedene, è rientrato subito in Europa. Il 29enne di Lubiana si è arreso in cinque set a Basilashvili, nel primo match che disputava dopo un mese, chiudendo la sua stagione Slam con tre eliminazioni al primo turno e un  secondo turno raggiunto a Parigi. Non proprio un’annata da ricordare. Borna Coric (tds n. 21) ha concesso un set – il terzo – a Florian Mayer, nell’ultima apparizione Slam del tedesco, ma senza rischiare mai di farsi sfuggire il controllo del match. A partire da quel primo martedì c’è stata la variabile caldo a spostare un po’ gli equilibri in campo e non ne sono stati immuni neanche i match di primo turno dei giocatori balcanici. Marin Cilic (tds n. 7) è partito un po’ imballato, ma poi si è sciolto. Ma si è sciolto di più il suo avversario Copil, che dal 5-1 del primo set subiva un parziale di 13 giochi a 2 e si ritirava all’inizio del terzo per un problema muscolare alla gamba sinistra (“Giocando in condizioni così difficili può capitare di farsi male” ha osservato Marin a fine match).

Ha ammesso di aver rischiato il ritiro anche Novak Djokovic, tra il caldo e problemi allo stomaco. Alla fine però Nole ha tenuto duro ed è stato invece Martin Fucsovics a crollare nella calura newyorchese, subendo un parziale di dieci game a zero dal 4-2 a suo favore nel terzo set. Tre soli set è durata invece l’avventura newyorchese di Viktor Troicki, che ha raccolto solo nove game contro Sandgren. Del resto non c’era molto da aspettarsi dal 32enne di Belgrado, che non vince un match in un tabellone principale ATP dall’aprile scorso ed è uscito fuori dai primi cento giocatori del ranking (è n. 115). E dal modo in cui ha perso senza lottare il terzo set contro lo statunitense non pare ci siano i presupposti perché riesca a farvi ritorno. Un po’ di più invece ci si aspettava da Filip Krajinovic contro il sudafricano Ebden. Che invece si è ritirato sul 4-1 del quinto, dopo essersi trovato  in vantaggio due set a uno. In questo caso il problema non è stato il caldo ma l’ennesimo infortunio del 26enne di Sombor, che già aveva saltato il primo Slam della stagione e tutta la stagione sul rosso a causa di problemi fisici. Per “l’Agassi di Sombor” si avvicina un po’ la resa dei conti, con l’approssimarsi del Masters 1000 di Parigi Bercy e la difesa della finale dello scorso anno.  Servirà un altro miracolo in terra francese, perché senza quei 600 punti è concreto il rischio di ritrovarsi anche lui fuori dai primi cento al mondo e di aver ballato al tavolo dei grandi per una sola stagione. Un infortunio ha aiutato anche Laslo Djere nel raggiungere il suo primo secondo turno a livello Slam con Leonardo Mayer che si è ritirato sotto due set a uno e 2-1 nel quarto.

FUORI LA SERBIA DI DAVIS – Al secondo turno, Lajovic contro Norrie ha lasciato un set  – il secondo – per strada, ma ha non si è più distratto, raggiungendo per la seconda volta in carriera il terzo turno in un Major. Terzo turno anche per Borna Coric, che contro Carballes Baena ha faticato solo nel primo set, vinto al tie-break, per poi salire di livello e chiudere in scioltezza in tre set. Troppo leggerino il 21enne polacco Cilic – Hurkacz per resistere all’artiglieria pesante da fondocampo di Marin Cilic, che ha ottenuto la vittoria più netta (62 60 60) della sua carriera nei match al meglio dei cinque. Djokovic si distraeva un po’ contro Tennys Sandgren e, in vantaggio di due set e con un match-point sul 5-4 del terzo, consentiva al suo avversario di ribaltare l’esito del parziale, prima di ritrovarsi e vincere nettamente il quarto set. Ha fatto i bagagli come da pronostico Laslo Djere, che ha impegnato seriamente Richard Gasquet solo nel secondo set, in cui si è arreso solo al tie-break. Al terzo turno, anche qui come da pronostico, Isner ha seppellito sotto una valanga di ace (34) le ambizioni di Lajovic di arrivare per la seconda volta agli ottavi di uno Slam. Anche se quei tre set point consecutivi non sfruttati nel tie-break del primo set, poi vinto dallo statunitense, giustificano qualche rimpianto da parte dell’allievo di Perlas, soprattutto considerando che era riuscito a portare a casa il secondo parziale. Sebbene negli ultimi due set a Isner è bastato un break per set per vincere.

Se anche l’ultimo dei convocati (gli altri due erano Kraijnovic e Djere) della Serbia per il play-off contro l’India salutavano New York, ci rimaneva senza problemi il tennista serbo che la Davis invece non la giocherà. Nessuna sorpresa infatti nel match tra Djokovic e Gasquet, con Nole che ha lasciato solo otto game al francese in un match mai in discussione.  Coric per la terza volta in meno di due mesi trovava sulla sua strada Danil Medveded. Il suo coetaneo russo (sono entrambi del 1996) lo aveva sorprendente battuto al primo turno a Wimbledon dove Borna arrivava con parecchie aspettative dopo la vittoria ad Halle in finale su Federer. Il croato si era preso una netta rivincita a Cincinnati e sul cemento newyorchese ha replicato, vincendo agevolmente in tre set. Non ci si aspettava invece che fosse un altro giovanissimo a mettere in ambasce Marin Cilic. E invece la stellina australiana Alex De Minaur si è portata in vantaggio due set a zero, prima che Marin mettesse un po’ più di ordine nelle sue trame da fondo e ribaltasse il match, non prima di dare ancora un po’ di suspence facendosi rimontare dal 5-2 nel quinto, dopo aver avuto sei match point, e chiudendo poi all’ottava palla del match.

CORIC RIMANDATO MA NON TROPPO – Negli ottavi, Del Potro ha certificato che Borna per il momento è ancora lontanuccio dall’impensierire i top 10 nei tornei che contano, battendolo nettamente in tre set. Per il croato anche un problema alla coscia della gamba destra che soprattutto nel terzo set gli ha creato difficoltà negli spostamenti, rendendo impossibile trovare la chiave per contrastare il bombardamento da fondo del tandilese. Comunque per il giovane zagabrese primi ottavi Slam e best ranking (n. 18): l’estate statunitense si chiude positivamente per l’allievo di Riccardo Piatti. Ennesima partenza al rallentatore per Marin Cilic, che però stavolta ci  ha messo di meno a carburare. Così sul 5-4 e servizio Goffin nel primo set ha iniziato a piazzare un po’ di vincenti e vinto un rocambolesco tie-break non si è fermato più, chiudendo senza particolari patemi gli altri due set. Vittoria in tre set anche Novak Djokovic, sebbene abbia poi dichiarato di aver faticato in campo, sia a causa del caldo che della tenacia di Sousa, ben di più di quanto abbia detto il punteggio.

IL SOLITO MARIN – Novak quest’anno a livello Slam la favola l’aveva già fatta scrivere a Chung e Cecchinato, quindi non aveva nessuna intenzione di replicare con Millman, che comunque la storia da raccontare ai nipotini già ce l’aveva con la vittoria su Federer nel turno precedente. Vittoria in tre set per il 31enne belgradese, anche se faticosi a causa dell’umidità serale, e undicesima semifinale a New York. Si sa invece che Cilic è un ragazzone fin troppo buono. Lui no che non se l’è sentita di interrompere la favola del ritrovato Kei Nishikori, tornato ai suoi livelli dopo i problemi al polso destro, e gli ha lasciato prendersi la rivincita della finale 2014. In realtà, stavolta Marin era persino partito – finalmente – bene. Ma non è bastato, perché poi si è vista l’ennesima partita in cui il tennista croato, mentre stava conducendo e sembrava in controllo, è entrato in uno dei suoi “buchi neri” – come li hanno definiti in Croazia – dal quale è uscito solo dopo un parziale di sei giochi a zero per Nishikori. Ma senza ritrovare più pienamente il filo del match. E se con un acerbo De Minaur magari te la cavi, contro un ritrovato Nishikori anche no.

Al momento, quindi, si prospetta un’altra stagione fatta di promesse mancate per Marin, che dopo la finale a Melbourne si era dichiarato convinto di aver fatto quell’ulteriore salto di qualità necessario per aspirare al risultato che nessun tennista croato è mai riuscito a raggiungere: la prima posizione della classifica mondiale (Goran Ivanisevic è arrivato al n. 2). Cilic ne aveva parlato apertamente, confidando nel fatto che che sarebbe stato difficile per Nadal e Federer riuscire a replicare il loro fantastico 2017 e che Djokovic e Murray avrebbero fatto fatica a ritrovare il loro livello in breve tempo. Invece, quando si stanno per cominciare a tirare le somme della stagione, lo si ritrova con un solo titolo (Queen’s), tanti piazzamenti e tante occasioni mancate (i quarti a Parigi, l’eliminazione a Wimbledon per mano di Pella) ed una classifica  immutata rispetto all’inizio dell’anno, n. 6. E con i risultati che stanno ad indicare che dopo quelli di Rafa, Roger e Nole, in assenza di Andy il quarto nome in ordine di importanza è diventato quello del suo coetaneo Juan Martin del Potro. A dimostrazione che i tempi erano maturi anche per il tennista di Medjugorje, ma che purtroppo è stato lui a non essere ancora maturo. Ed il timore, alla soglia dei trent’anni, è che non lo diventi mai.

NOLE DI NUOVO A STELLE E STRISCE – Anche nel 2014 faceva molto caldo quando Nishikori, a sorpresa, batté in semifinale un Djokovic evidentemente più a disagio di lui in quelle condizioni climatiche. Ma quest’anno Nole aveva perso due set per strada più per disattenzione che per altro, mentre Kei arrivava dalle quattro ore di battaglia con Cilic. Semifinale senza storia e 14esima vittoria consecutiva del serbo (15-2 in totale gli head to head) sull’allievo di Michale Chang, che gli ha consentito di raggiungere la 23esima finale Slam, ottava a New York.

Ma se ancora qualcuno avesse avuto ancora qualche piccolo dubbio sul fatto che Djokovic fosse tornato, perché non erano bastate le vittorie a Wimbledon e a Cincinnati e i due soli set in sei incontri persi a New York a fugarli, il modo in cui ha superato Juan Martin del Potro li ha definitivamente spazzati via. In campo si è rivisto il giocatore che aveva dominato il circuito e che ora è tornato a scrivere la storia del tennis. Come dicevamo all’inizio, quattordicesimo torneo del Grande Slam per lui. Proprio come il suo idolo Pete Sampras, che da bambino guardava trionfare a Wimbledon fantasticando di imitarlo. Probabilmente eguagliare Sweet Pete sarà stato un altro dei sogni che parevano irrealizzabili del piccolo Nole e che invece è riuscito a far diventare realtà. E Novak non pare intenzionato a finirla qui, a partire dalla riconquista di quella prima posizione del ranking che dovette lasciare alla fine del 2016 –  quando non si sapeva che stava per arrivare l’annus horribilis – e che solo sei mesi fa sembrava un miraggio, che non dista poi tantissimo: di fatto, il migliaio di punti che lo separano da Nadal nella Race. Con in arrivo la parte della stagione più favorevole al serbo, tra tournée asiatica e tornei indoor europei (12 vittorie tra Shanghai, Bercy e ATP Finals per lui, solo una per Rafa, nel lontano 2005 a Shanghai).

Come direbbero in Serbia, Nole se vratio. Eh sì, Novak Djokovic è proprio tornato. O forse no. A giudicare dalle sue parole di questi giorni, la sensazione è che “questo” Novak Djokovic non sia esattamente lo  stesso di prima. Quello precedente era un “cannibale”, sportivamente parlando, un atleta alla continua caccia di vittorie e sempre focalizzato verso la sfida successiva. Questo sembra invece un atleta ed un uomo più maturo, desideroso di vivere appieno – forse proprio perché per diverso tempo non ha potuto farlo – tutte le emozioni e le sensazioni derivanti dalle vittorie che conquista. E non sembra che questa differenza possa rappresentare un vantaggio per i suoi avversari. Anzi…

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