Le dieci di Fognini, Halep in discesa libera

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Le dieci di Fognini, Halep in discesa libera

A Chengdu 18esima finale in carriera per Fabio (decima sconfitta). La numero 1 del mondo al quarto KO di fila. La rinascita di Tomic e Nishioka, conferma Sabalenka

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0 – le top ten giunte ai quarti del Premier 5 di Wuhan, torneo dotato di oltre 2 milioni e settecentomila dollari di montepremi e della stessa categoria di eventi storici del calendario tennistico come Roma, Open del Canada e Cincinnati. Il Dongfeng Motor Wuhan Open non ha analoga tradizione – è nato solo nel 2014 – ma poteva contare sulle presenza delle prime quindici giocatrici al mondo (la prima a non risultare nell’entry list era Serena Williams). Tecnicamente dunque, oltre che economicamente (alla vincitrice andava un assegno superiore ai 500.000 dollari, assieme a pesanti 900 punti in classifica) era sicuramente stimolante per le migliori. Eppure, il pubblico di Wuhan nelle partite più importanti del torneo non ha visto in campo nessuna top 15, a causa della stanchezza con la quale le migliori arrivano all’autunnale trasferta asiatica e al grande equilibrio che vige nel tennis femminile. A tal riguardo, basti notare come sei tenniste (Serena, Kerber, Pliskova, Muguruza, Halep, Wozniacki) diverse si siano avvicendate al numero uno del ranking da inizio 2017 e che si siano avute ben otto vincitrici diverse negli ultimi otto Major giocati. L’ultima delle quali, Naomi Osaka, in appena quattro tornei nel 2018 ha raggiunto le semifinali, a riprova dell’incostanza delle migliori: la 21enne giapponese ha brillato e entusiasmato a New York, dove però, oltre a Serena, in quel momento 26 WTA, ma sempre tra le favorite a prescindere dalla sua classifica, aveva incontrato solo una top 15 (Keys). Naomi ha interrotto la sua striscia positiva non appena ha affrontato una top ten, Karolina Pliskova a Tokyo. Stanchezza delle migliori a fine stagione, grande equilibrio, entrambi i fattori o altro: qualunque sia la ragione, la delusione di organizzatori e pubblico di Wuhan nell’aver investito, a seconda dei ruoli, tanti soldi per non vedere nessuna stella, deve essere stata legittimamente grande.

4 – le sconfitte consecutive patite da Simona Halep. Non le capitava dall’estate 2012, quando non era ancora mai entrata nella top 30. E dire che quando a metà agosto arrivò in finale a Cincinnati, dopo aver vinto Montreal e precedentemente il suo primo Slam, il Roland Garros, la numero 1 del mondo era la padrona incontrastata del circuito. Simona aveva vinto nove match consecutivi per riuscire a raggiungere le due finali negli importanti Premier 5 nord-americani (non ci riusciva, nello stesso anno, dal 2015). Una striscia di risultati positivi estremamente positiva estendibile a 18 degli ultimi 20 (considerando anche il titolo al Roland Garros) incontri e a ventidue delle ultime venticinque partite (includendo anche la finale di Roma). La finale persa a Cincinnati contro Bertens – dopo aver sprecato un match point nel tie-break del secondo set – è stata, inaspettatamente, solo l’inizio di un periodo molto difficile per la campionessa romena. L’inopinata sconfitta nella partita che inaugurava il nuovo Louis Armstrong, nel primo turno degli US Open perso contro Kanepi, sembrava solo uno sfortunato incidente di percorso. La trasferta asiatica, con le sconfitte all’esordio a Wuhan (in due set contro Cibulkova) e Pechino (ritiro dopo aver perso il primo parziale contro Jabeur) ha però confermato il momento difficile. Purtroppo, il peggio potrebbe non essere ancora arrivato: Simona in Cina ha parlato nel post match dei problemi alla schiena che la stanno affliggendo e non ha nascosto l’ansia per l’evoluzione di questi dolori in qualche problema più serio. Le auguriamo vivamente di no.

5 – le sconfitte rimediate nelle ultime sei partite giocate da Stefanos Tsitsipas. Il numero 15 del mondo, nella settimana che lo portava a compiere i 20 anni, lo scorso agosto a Toronto impressionò il mondo del tennis arrivando alla finale del Masters 1000 canadese – lui che in precedenza non era mai arrivato nemmeno agli ottavi in tornei di questa categoria – che gli permise il conseguente balzo in classifica nella top 20. Arrivato in Canada reduce dalla semi all’ATP 500 di Washington, divenne il più giovane nella storia dell’ATP Tour a sconfiggere nello stesso torneo ben quattro top ten: Thiem, Djokovic (unica sconfitta del serbo nelle ultime ventitre partite da lui giocate), Zverev (annullandogli due match point) e Anderson (a cui impedì di convertire una palla match). L’aumentata celebrità e con essa le aspettative nei suoi confronti devono avere provocato un periodo di fisiologico assestamento in Stefanos, il quale, dopo Toronto, ha vinto una sola partita contro Tommy Robredo, 214 ATP, al primo turno degli US Open. Dopo la sconfitta con Nadal in finale, sono arrivate ben tre sconfitte nella partita inaugurale del suo torneo. In particolare, sono stati deludenti le ultime due: quella di Metz – contro Berankis, 103 ATP – e quella di Shenzhen pochi giorni fa, sconfitto in due set da Herbert, 67 ATP, vincitore in due set (6-3 7-6) e poi finalista del torneo. Il tennis attende con ansia che la sbornia finisca e torni a giocare come sa.

10 – le finali ATP perse da Fabio Fognini. Aggiungendo le otto vinte, corrispondenti ai titoli sin qui conquistati in carriera, si arriva a un totale di diciotto, distribuite tra terra (tredici), cemento all’aperto (due, con un successo e una sconfitta) e tappeto indoor (quattro, tutte perse). Quindici di esse sono arrivate in tornei appartenenti alla categoria ATP 250, tre ad eventi della fascia ATP 500 (quella vinta ad Amburgo nel 2013, le due perse nel 2015 a Rio de Janeiro e nuovamente Amburgo). Ad esse vanno aggiunte altre diciotto semifinali, quattro sole di queste in tornei non giocati sulla terra: a gennaio 2018 Sydney sul cemento all’aperto, lo scorso anno Stoccolma e Miami (unica del livello Masters 1000, assieme a Montecarlo nel 2013) e Pechino nel 2015 (unica della categoria ATP 500, con quella di Rio raggiunta lo scorso febbraio). Un bottino ragguardevole, degno di un giocatore, particolare da non dimenticare, capace di stare sin qui ben 103 settimane nella top 20, un numero molto importante destinato a salire (da qui a fine anno ha soli 135 punti da difendere) e che ben poco viene sminuito dalla strategia del ligure di giocare molti tornei “piccoli”. Sono tanti altri gli ottimi giocatori che provano a utilizzare lo stesso metodo e non hanno gli stessi risultati del numero 1 italiano. Il grande tennis si gioca nei Major o nei Masters 1000, è vero, ma ottenere ottimi piazzamenti in tornei ATP 250, in un sport professionistico in cui nessuno regala nulla e nel quale tutti tra i primi 200 sanno giocare bene, se non benissimo, i vari colpi del bagaglio tecnico (senza approfondire la loro grande forza mentale), è comunque molto difficile e sarebbe scorretto non sottolinearlo. Peccato solo per l’ultimo torneo a Chengdu, dove Fabio, in finale contro Tomic, ha sprecato nel tie-break del terzo set addirittura quattro match point (di cui ben tre consecutivi). Per arrivare a giocarsi la possibilità di vincere il nono titolo, Fabio aveva eliminato in precedenza Bemelmans (6-4 7-6), 114 ATP, Ebden (6-4 6-2), 47 ATP e Fritz (6-7 6-0 6-3), 62 ATP. Nonostante la delusione per l’epilogo, la caccia al miglioramento del best career ranking (l’attuale 13) continua.

13 – i titoli vinti in doppio da Pierre-Hughes Herbert, tre dei quali Major e sei Masters 1000. Tutti, ad eccezione del primo (a Tokyo 2014) conquistati in coppia con Nicolas Mahut, con il quale è salito sino alla seconda posizione del ranking di specialità dopo aver vinto Wimbledon nel 2016. In singolare, il 27enne nato a Schiltegheim, piccolo paese del Basso Reno situato vicino Strasburgo, ha sin qui avuto un rendimento decisamente inferiore. L’accesso nella top 100 è arrivato solo nell’agosto 2015, in coincidenza di quella che sino alla scorsa settimana era la sua unica finale nel circuito maggiore: a Winston-Salem da qualificato si arrese solo nell’ultimo atto del torneo a Kevin Anderson. Una continuità tale da garantirgli quantomeno una costante presenza dai primi 100 al mondo l’ha però trovata solo da febbraio dell’anno scorso, quando, da qualificato, a Rotterdam sconfisse (unica volta in undici confronti sin qui) un top 10, Thiem, per giungere sino alle semifinali. Il primo terzo turno della carriera in un Masters 1000 (a Indian Wells) e al Roland Garros e i due quarti di finale raggiunti a Pune e Antalya lo avevano fatto avvicinare al best career ranking (67 nel 2016), traguardo che verrà superato con la finale di questa settimana a Shenzhen. Nella metropoli cinese Herbert ha prima eliminato Lajovic (6-4 6-3), 67 ATP; poi al secondo turno con Tsitsipas – sconfitto 6-3 7-6 – è arrivata la quarta vittoria contro un top 20. Nei quarti e in semi due maratone di oltre due ore e mezza lo hanno portato sino alla finale: Ramos (6-7 7-6 6-4), 52 ATP, e De Minaur (7-5 2-6 7-6), 40 ATP; con l’australiano incapace di convertire due match point, sono stati costretti a fargli spazio. In finale il francese ha lottato ma alla fine si è arreso a Nishioka, vincitore al terzo e decisivo set.

18 – i successi nelle ultime 21 partite giocate da Aryna Sabalenka. La ventenne bielorussa, appena cinquantadue settimane fa iniziava la sua scalata nel grande tennis raggiungendo a Tashkent, da 119 WTA, la sua prima semifinale nel circuito maggiore. Sabalenka si era fatta conoscere agli addetti ai lavori nella scorsa Fed Cup, contribuendo in maniera decisiva a portare la sua Bielorussia in finale: proprio a novembre 2017, contro gli Stati Uniti, otteneva la vittoria sin a quel momento più prestigiosa della carriera, sconfiggendo Stephens, fresca vincitrice degli US Open. Nel 2018 era partita subito forte, raggiungendo i quarti a Shenzhen e Hobart, mentre ad aprile a Lugano la bielorussa conquistava la prima finale della carriera sulla terra (sconfitta da Mertens). Sull’erba Aryna compiva un ulteriore salto di qualità nel rendimento: dopo i quarti a ‘s-Hertogenbosh, raggiungeva la finale (persa contro Wozniacki) al Premier di Eastbourne, sconfiggendo per la prima volta una top ten (Pliskova). Nell’estate nord americana una serie di ottimi risultati le spalancavano le porte della top 20: a Montreal sconfiggeva Wozniacki, a Cincinnati arrivava in semi eliminando tre top 20 (Pliskova, Garcia e Keys). Al Premier di New Haven conquistava il primo titolo della sua giovane carriera, sconfiggendo in finale Suarez Navarro. Agli US Open era l’unica giocatrice capace di togliere un set a Osaka, prima di incartarsi nel rush finale del parziale decisivo e cedere il passo alla giapponese. Il successo della scorsa settimana a Wuhan non è stato dunque in sé sorprendente. Aryna dopo aver sofferto nei primi due turni contro Suarez (7-6 2-6 6-2) e contro l’unica top ten incontrata nel suo cammino, Svitolina (6-4 2-6 6-1), ha concesso pochissimo alle successive avversarie incontrate per raggiungere il successo sin qui più importante della carriera. Kenin (duplice 6-3), 62 WTA; Cibulkova (7-5 -3); 31 WTA; Barty (7-6 6-4), 17 WTA in semifinale e Kontaveit (6-3 6-3), 27 WTA in finale nulla hanno potuto contro la sua furia. Il prossimo obiettivo è la top ten: il gran momento di forma, la freschezza atletica e la grande potenza a disposizione della bielorussa sembrano in grado di poterglielo permettere.

36 – i tornei ATP giocati da Bernard Tomic dopo la semi al Queen’s nel 2016, nei quali aveva portato a casa una sola semifinale. Un misero record, migliorato la scorsa settimana a Chengdu, dove è tornato a vincere un titolo a distanza di quasi tre anni e mezzo dall’ultimo (Bogotà 2015). Il 25enne australiano nato a Stoccarda, 17 del mondo appena due anni fa, dopo le semi al Queen’s nel 2016, solo lo scorso giugno a ‘s-Hertogenbosh era riuscito ad arrivare tra gli ultimi quattro tennisti ancora in gara. Bernard era infatti reduce da un 2017 e da una prima metà del 2018 nei quali, complessivamente, aveva raggiunto appena due volte i quarti di finale (lo scorso anno a Istanbul e Eastbourne). Un periodo buio di sedici mesi nel quale, tra una serie di piccoli infortuni e una scarsa voglia di concentrarsi sul tennis, sembrava ormai irrimediabilmente destinato a sprecare il grande talento che madre natura gli aveva regalato. Qualche segnale di ripresa lo si era avuto lo scorso maggio, quando Bernard prima aveva conquistato una finale in un Challenger francese sulla terra, poi era riuscito a qualificarsi al tabellone principale del Roland Garros (perdendo contro Trungelliti). L’inizio della stagione su erba gli aveva regalato il primo buon piazzamento del 2018 – la già citata semi a ‘s-Hertogenbosh – ma dopo il torneo olandese era calato nuovamente il buio su Bernard (per uno dotato del suo talento, erano poca cosa il secondo turno a Wimbledon e il challenger vinto a Maiorca a inizio settembre). L’australiano era arrivato a giocare le quali a Chengdu con la classifica di 123esimo giocatore al mondo. In Cina, pur salvando complessivamente cinque match point (uno con Harris, quattro con Fognini) ha a sorpresa conquistato il quarto titolo della carriera (tutti ATP 250 sul cemento all’aperto). Bravo a qualificarsi (sconfiggendo in due set Takuda, 308 ATP, e solo al tie-break del terzo parziale Gerasimov, 258 ATP), nel tabellone principale ha avuto la meglio nell’ordine su Kahn (6-7 7-6 6-2), 96 ATP; sul qualificato Harris (7-6 6-2 7-6), 129 ATP; su Auger-Aliassime, (6-2 6-4), 146 ATP e su Joao Sousa (duplice 6-4), 50 ATP. In finale – dopo Cincinnati 2016, quando sconfisse Nishikori – è tornato a battere un top 20, imponendosi su Fognini con il punteggio di 6-1 3-6 7-6.

380 – la classifica nella quale era scivolato Yoshihito Nishioka lo scorso aprile. Colpa del difficile rientro nel circuito successivo all’operazione al legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Il giapponese si era sottoposto all’intervento nel 2017, dopo l’infortunio patito durante la partita con Sock a Miami, quando si trovava esattamente al suo best career ranking, 58 ATP. Rientrato lo scorso gennaio, pur aiutandosi col ranking protetto, i primi mesi sono stati per lui difficili (sebbene a Melbourne avesse sconfitto un top 30 come Kohlschreiber) e inevitabilmente è dovuto ricorrere ai challenger per rilanciarsi, guadagnando punti preziosi (ne ha vinto uno in Corea del Sud e in un altro ha fatto semifinale). All’ATP 250 di Los Cabos ad agosto era arrivato per il 23enne giapponese il primo vero segnale di una forma accettabile, con l’accesso ai quarti (fermato da Fognini). Non poteva però di certo bastare l’accesso al tabellone principale di Toronto per avere una classifica migliore del 173esimo posto col quale Nishioka si è presentato a Shenzhen. Dopo essersi qualificato sconfiggendo in due set sia Bublik, 211 ATP, che Peliwo, 206, il giapponese, che in carriera aveva solo una volta raggiunto una semifinale nel circuito maggiore (ad Atlanta nel 2016) ha intrapreso un cammino che lo ha portato sino alla conquista del suo primo titolo a livello ATP. Nishioka ha eliminato dal torneo cinese, nell’ordine, Kudla (6-1 6-3), 65 ATP; Shapovalov (rimontato da 0-3 e servizio nel set decisivo per il canadese, al quale ha annullato due match point prima di imporsi 7-6 3-6 7-5), 31 ATP; Norrie (7-6 6-2), 73 ATP; Verdasco (1-6 6-3 7-6), 28 ATP. In finale, cosi come ha fatto Tomic nell’altro ATP 250 cinese della settimana, a Chengdu, ha vinto il torneo come qualificato costretto a dover annullare match-point in almeno una partita del suo cammino per il titolo: in questo caso, rispetto a quanto avvenuto per l’australiano, la finale è stata un po’ più agevole per il giapponese, vincitore su Herbert col punteggio di 7-5 2-6 6-4.

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