“Ho perso, sono nervoso”. L'inquietudine di Federer e il Masters da salvare (Semeraro). Djokovic è un mago. Che lezione a Isner (Crivelli). Sascha non decolla (Azzolini)

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“Ho perso, sono nervoso”. L’inquietudine di Federer e il Masters da salvare (Semeraro). Djokovic è un mago. Che lezione a Isner (Crivelli). Sascha non decolla (Azzolini)

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“Ho perso, sono nervoso”. L’inquietudine di Federer e il Masters da salvare (Stefano Semeraro, La Stampa)

Il Patriaca è inquieto. Rabbuiato. In campo Roger Federer non si è piaciuto e soprattutto ha perso, per la prima volta da quando gioca il Masters, senza portare a casa neppure un set in un incontro dei gironi. Contro Nishikori aveva vinto sette volte su nove, e domenica sera, nella bambagia luminosa della 02 Arena non è che il giapponese, infilato in uno dei suoi completini tricolori a prova di daltonico, abbia poi fatto sfracelli. Solo che anche ai ricchi capita di piangere, agli dei di incespicare. E a Roger Federer, ogni tanto, a 37 anni più spesso di un tempo, di giocare male e imbizzarrirsi tirando una pallina in tribuna, beccandosi per giunta una ramanzina dal giudice di sedia. «L’arbitro pensava che fossi nervoso, ma non lo ero — ha provato a giustificarsi dopo il match -. Lo sono adesso che ho perso, non in campo. Lui è convinto di conoscermi bene, ma forse lo crede soltanto». Non se l’è presa solo con lui («non ti ascolto, non sto parlando con te») il Roger furioso, ma anche con il campo: «È lento ma è così per tutti, bisogna adattarsi». Quando fa così Federer è arrabbiato con se stesso. La scarsa vena al servizio, la risposta latitante, i movimenti moviolosi, magari anche un rovescio che si è tirato sul naso come un Fantozzi qualsiasi, gli hanno fatto il contropelo all’umore. La conseguenza è che stasera alle 21, per non rischiare un flop nel torneo che ha già vinto sei volte e nel quale cerca il 100esimo successo da professionista, dovrà battere Dominic Thiem. Sempre ammesso che scenda in campo: ieri ha annullato l’allenamento del pomeriggio al Queen’s. Dietro una prestazione non all’altezza potrebbe nascondersi un malanno fisico (polso)… [SEGUE].


Djokovic è un mago. Che lezione a Isner (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello sport)

Numeri uno in campo, numeri uno in tribuna. Davanti a Cristiano Ronaldo, Novak Djokovic inizia l’11° Masters in carriera con una lezione di tennis a Isner, il più vecchio debuttante alle Finals dal 1972 e il più alto di sempre (2.08) a qualificarsi. Ma il servizio di Long John è un’arma spuntata contro l’incredibile capacità di lettura in risposta del primo giocatore del mondo, che ci aggiunge pure un rendimento alla battuta fenomenale: nessuna palla break e appena quattro punti concessi con la prima. In tre parole: ingiocabile, chirurgico e favoritissimo per la gioia del solito posato coach Vajda. Chissà se invece conta già la mano di Ivan Lendl, seduto al suo angolo per la prima volta dagli Us Open, nella reazione di Zverev alle difficoltà del match contro Cilic, domato dal Giovin Signore tedesco con due tie break. In una partita certamente poco spettacolare, come certificato dai 78 errori gratuiti complessivi (46 di quello sciagurato del croato), Sascha recupera da 0-3 sotto nel primo set (con l’avversario che ha le occasioni per salire 4-0 e 5-1) e rimonta un break anche nel secondo parziale, mantenendosi freddo quando Marin gli annulla il primo match point (arrivato sul 5-4 dopo una fantastica risposta) con una martellata di dritto, dominando poi anche il secondo tie break, appuntamento sempre delicato. Nei momenti cruciali, insomma, il numero 5 del mondo non ha tremato, anche se la vera scommessa di Lendl, dopo il Masters, sarà di velocizzargli il dritto e soprattutto di eliminarne le idiosincrasie verso gli Slam, certo non guarite dai quarti di Parigi. Intanto, però, una vittoria in due set fissa una pietra importante verso l’orizzonte delle semifinali per chi l’anno scorso non ha superato il round robin: «La superficie è difficile — rivelerà Zverev — perché è molto veloce e le palle rimbalzano davvero alte, è diverso rispetto agli altri tornei e non si riesce subito a trovare il ritmo, specialmente nel primo match. Ma alla fine è stata una buona partita, ed è stato importante vincere perché qui ci sono soltanto i più forti»[SEGUE].


Sascha non decolla (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il ragazzo cannone resta un enorme mistero. Forse non sa volare. Forse vi riesce solo nei brevi tratti. E’ ancora piccolo, Sascha, anni 21, appena un pulcino: forse imparerà. Magari siamo noi a non capire: lui ha solo bisogno di completare l’apprendistato, gli studi, il bagaglio tecnico, e crescere liberamente, in esperienza e in personalità. Non in altezza è augurabile, ché quella (a quota 198) già va bene così. Il fatto è che semina di dubbi il proprio cammino, sempre, anche quando vince. Come ieri con Marin Cilic. E non ha mezze misure, come se quelli del suo team non gli avessero ancora rivelato che nella vita esistono i mezzi toni, le mezze stagioni, i bicchieri pieni o vuoti a metà. Lui, Sascha, o stronca gli avversari, o va in sofferenza. Li abbatte, o frana. Cerca il kappaò, oppure è capace di prenderle. Ma pretende di giocare con tutti allo stesso modo. Una Camila Giorgi al maschile, e di quasi due metri, lo Zverev che tutti aspettano al numero uno, e invece chiuderà l’anno senza progressi rispetto a dodici mesi fa. Era il quarto nel 2017, e li è rimasto, avvitato allo strapuntino appena discosto dal podio. Gli basterà superare Del Potro, a casa per l’infortunio alla rotula, e tornerà nella pos zione di sempre, quella che Ivan Lendl – chiamato due mesi fa a fargli da sherpa – considera il primo gradino della sconfitta. «Lavoro per portarlo a vincere gli Slam», dice Ivan un tempo Terribile, «spero di farlo subito, comunque presto». Prima però dovrà insegnare al ragazzo cannone come effettuare il decollo. E non solo quello, a giudicare dal debutto nelle ATP Finals londinesi, primo incontro del Gruppo Kuerten. Nei primi cinque game di assoluto stordimento, Sascha ha mostrato con naturalezza tutto il repertorio di strafalcioni che fa da spartito ai suoi match. A volte li semina qui e là, e forse si notano di meno, altre invece li raggruppa in una inestricabile mappazza di sconcezze. Si piega il minimo sulle gambe, che sì, è vero, sono parecchio alte, ma il punto è che se non lo fai, non ti va, o pensi di poterne fare a meno, l’avversario di turno ti spedisce palle sempre più simili a serpi velenose. E poi azzarda il gioco su due colpi, ma lo prepara a capocchia, allontanandosi dalla riga di fondo di un metro e mezzo se va bene, ma anche di due. Così, se non sfonda subito le altrui difese, è costretto a ripiegare su un lavoro ai fianchi che non sa bene come condurre, e non gli riesce per vie naturali. Cilic se n’è andato sul 4-1 gettando al vento due occasioni per un 4-0 che avrebbe passato di mano il primo set e costretto Sascha a fare i conti con la rabbia isterica che cominciava a palesare, fra lanci di racchette e moccoli tirati giù che neanche gli smash vanno via così veloci. Ma è rinsavito in tempo, Zverev, e ha mantenuto il dislivello su un solo break di ritardo, che ha recuperato sul 5 pari, quando il suo cannon ball è tornato a ruggire. Finalmente nei tie break si è visto perché Sascha era avanti 5-1 (ora 6-1) nei testa a testa con il croato. Nel primo è andato subito in testa, quel tanto che è servito a tranquillizzarlo. Nel secondo, giunto al tennis di un set costruito senza errori né scossoni, Zverev si è esibito addirittura in un monologo. Ma era Cilic, a quel punto, a non credere più nelle sue possibilità. Sascha si propone ora come “alter Djoko” nel gruppo brasileiro, ruolo che somma non poche responsabilità. Il numero uno è nella forma giusta, ha assorbito le enormi spinte di Isner al servizio e ha avuto gioco facile in due set, sempre comandando, e soprattutto serve rispondendo con precisione estrema… [SEGUE].

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