Zverev maestro con il botto (Piccardi), Maestro del tennis, la prima volta di Zverev (Semeraro), Sascha il predestinato tra famiglia e profezie (Crivelli), E’ cambiata la storia (Azzolini), Zverev il nuovo Maestro (Scanagatta)

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Zverev maestro con il botto (Piccardi), Maestro del tennis, la prima volta di Zverev (Semeraro), Sascha il predestinato tra famiglia e profezie (Crivelli), E’ cambiata la storia (Azzolini), Zverev il nuovo Maestro (Scanagatta)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Zverev maestro con il botto

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 19.11.2018

II nuovo maestro è un Odino zazzeruto e algido, già stretto d’assedio dalle groupies del circuito, cresciuto nel mito di Roger Federer e Dwayne Wade e, da oggi, mitizzato lui stesso in quanto più giovane campione delle Atp Finals — a 21 anni — dal 2008, quando a Shanghai fu il rivale battuto, Novak Djokovic, a trionfare. Con molto oro al collo e pochi fronzoli, aggrappato a un servizio devastante (71% di prime palle, io ace) e a poche solide idee disegnate sul campo per lui dal neo-mentore Ivan Lendl (anche lui vincitore del primo dei suoi cinque Master a 21 anni: New York 1982), Alexander Zverev detto Sascha — figlio di Alexander Mikhailovic senior e Irina Zvereva, ex tennisti dell’Unione Sovietica — fa il passo che gli mancava tra i grandi, annettendosi il Masters e chiudendo l’anno al numero 4 della classifica mondiale, subito dietro gli Immortali. Nel gennaio 2019 dall’Australia, quindi, si ripartirà così: Djokovic, Nadal, Federer e poi lui, il piccolo di famiglia (198 centimetri) con un futuro da predestinato. La rincorsa è partita da lontano. Amburgo, 20 aprile 1997. Sei anni dopo il trasloco dalla Russia alla Germania del clan Zverev, nasce Alexander junior. Con i genitori e un fratello maggiore, Mikhail detto Misha, tennisti, non c’è da stupirsi che a 5 anni Sasha sia già in campo, instradato da papà, e che ieri sia diventato il primo tedesco dai tempi di Boris Becker (Francoforte 1995) a laurearsi maestro. Due set facendo il Djoker contro un Djokovic irriconoscibile, fallosissimo di dritto e frastornato: il numero 1 del ranking sognava di eguagliare Federer nei titoli Master vinti (6) a coronamento di una stagione da urlo (due Slam, Wimbledon e Us Open, Cincinnati, il trono del tennis riconquistato), e invece si ritrova a fare i complimenti a rete a Odino, 6-4, 6-3 e tutti in vacanza. E’ stato davvero il torneo delle sliding doors, questo Masters che ha raccolto in riva al Tamigi gli otto migliori fradici di stanchezza (si lamentano che giocano troppo e poi si vanno a sfiancare in lucrosissime esibizioni attraversando il mondo…), Zverev si era arreso a Djokovic nel girone e ribalta il destino in finale, dopo aver rispedito da Mirka un Federer brutto e bolso. Si può eccepire sulla formula del Masters, che premia un tennista battuto a inizio settimana, ma non è certo la prima volta che succede e Sasha non viene sommerso dai coriandoli azzurri della premiazione per caso. A differenza di Grigor Dimitrov, maestro 2017, di Atp Finals Zverev ne vincerà altre, e sbancherà gli Slam, perché il rodaggio è finito, ha un tennis per tutte le superfici (Nadal permettendo sulla terra, però il tedesco quest’anno al Roland Garros è arrivato nei quarti) e l’età sarà un’arma letale contro la generazione dei magnifici ultra-trentenni. «Se guardo le cose in prospettiva — ha detto Djokovic a Fine match —, non posso negare che sia comunque stata una stagione eccezionale». Ha ragione: dopo gli Internazionali d’Italia, a maggio, era sceso al numero 22 della classifica e la sconfitta con Marco Cecchinato a Parigi pareva aver segnato il punto più basso della carriera. Ma il futuro è di Odino, che ha tutto per piacere agli dei del tennis: la faccia da schiaffi, gli occhi blu, l’altezza da cui far precipitare fulmini, tuoni, saette e ace, il look giusto e il tennis adeguato per ipotecare gli Slam quando Djokovic, Nadal e Federer gliene offriranno l’occasione, magari già sul veloce di Melbourne arroventato dal sole australiano. «Sono incredibilmente felice» dice Sasha nel microfono mentre il padre piange e la mamma raggiunge il campo (non riesce a vedere le partite del figlio dal vivo): «Grazie per avermi allenato tutta la tua vita. Adesso però smettetela di piangere…». Seguiranno lacrime più calde per successi ancor più pesanti. L’era di Zverev è appena decollata.

 

Maestro del tennis, la prima volta di Zverev

 

Stefano Semeraro, la stampa del 19.11.2018

 

Sascha Zverev ha vinto il torneo dei Maestri battendo il n.1 del mondo Novak Djokovic (6-4 6-3) e uno sarebbe tentato di dire che, dopo qualche anno di acerbo precariato, è la Next Gen, la nuova generazione di docenti che entra in ruolo. Anche considerando che da Wimbledon in poi Djokovic ha perso tre partite: a Toronto contro il 20enne Stefanos Tsitsipas, a Parigi-Bercy contro il 22enne Karen Khachanov e ieri alle Atp Finals contro il 21 enne Sascha, il più giovane maestro, guarda caso, dai tempi di Djokovic nei 2008. I se e i ma riguardano la prestazione del Number One, svuotato, irriconoscibile (60% di prime palle, 20 errori e appena 7 vincenti), insomma lontano qualche parsec dal Terminator che mercoledì scorso, nella fase a gironi, aveva spinto allo scoramento proprio Sascha lasciandogli appena 5 games. «So che puoi vincere tutte le partite che vuoi – ha non a caso paraculeggiato il tedeschino -, ma apprezzo che tu mi abbia consentito di vincere oggi». In tribuna è scappato un sorriso persino al suo precettore Ivan Lendl, esperto in maturandi e solitamente meno espressivo di un bassorilievo maya. Zverev se lo è preso in carico un paio di mesi fa, dopo che un velenoso divorzio da Juan Carlos Ferrero ne aveva rafforzato la fama di capofila di una generazione di sdraiati di talento: grande fisico, grande braccio, ma scarsa etica del lavoro. La mano ruvida ma sapiente, con cui Ivan il Terrible aveva svezzato e teleguidato Andy Murray ai primi successi Slam, inizia ora a vedersi anche sul nuovo alunno. Cambi di ritmo e discese a rete Zverev non ha solo picchiato su diritto e servizio, ma ha provato a irritare il Djoker, riuscendoci, anche con cambi di ritmo, discese a rete, accelerazioni dislocate con pazienza alla fine di scambi lunghissimi: quelli che solitamente alla fine vince Djokovic e che ieri invece si è spesso intascato il rivale. Del resto è da quando dominava fra i bimbetti, sorvegliato dagli occhietti feroci di papà Alex senior – ex tennista pure lui, ma nato in Russia come il resto della famiglia mentre Sascha è di Amburgo – che tutti guardavano a junior come al Predestinato. Al futuro Number One, all’erede di Becker, prima di lui l’ultimo tedesco a vincere il Masters (1995). Con questo torneo dei Maestri la profezia inizia a compiersi: nei 2019, da solido n. 4, Zverev dovrà finalmente dimostrarsi da corsa anche negli Slam. «Giocherò il Masters ancora a lungo» ha abbozzato alla fine il 31enne Djokovic, e guardava diritto il futuro negli occhi azzurrissimi di Sascha.

 

Sascha il predestinato tra famiglia e profezie

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 19.11.2018

 

Da Wimbledon a Braunschweig ci sono 783 km in linea d’aria, una distanza che da ieri sera si è accorciata sovrapponendo il campione più grande di questo decennio all’erede più talentuoso. PREDESTINATO Nel luglio del 2014, mentre Djokovic si inginocchia sull’erba di Church Road per festeggiare il secondo trionfo ai Championships, un ragazzone biondo nato ad Amburgo da genitori russi ex tennisti conquista, a 17 anni e due mesi, il Challenger della città tedesca: più precoci di lui ci sono stati solo tipetti del calibro di Chang, Gasquet, Nadal, Djokovic e Del Potro. È un segnale, e che segnale. Infatti un paio di settimane dopo Sascha diventa il più giovane vincitore di un match Atp 500 proprio nella natia Amburgo e il primo minorenne a battere un top 20 dieci anni dopo Gasquet. Come si fa a non definirlo predestinato? Anche perché c’è stato il Bonfiglio nel 2013 con annesso numero uno della classifica juniores e gli Australian Open giovanili l’anno dopo. Soprattutto, quando ha appena sedici anni, le sue qualità convincono Stich, grande gloria teutonica, a metterlo sotto contratto per un lustro e Federer, che all’inizio degli anni 2000 se l’era visto finire tra le gambe al torneo di Amburgo (Sascha aveva cinque anni e in pratica era la mascotte del circolo), quando ha l’occasione di palleggiare con lui, ancora junior, lo benedice come futuro top ten. A quei tempi, la Germania che rimpiange Becker spera in un trio di promesse: lui, Marterer e Masur. II Masters appena concluso fornisce la risposta su chi fosse il migliore. IN FAMIGLIA Un fenomeno plasmato dagli affetti di casa: papà Alexander senior è l’allenatore, il fratello Mischa, attuale numero 69 ma già 25 l’anno scorso, di dieci anni più vecchio, è il suo mentore nell’approccio al circuito dei grandi, mamma Irina è la sua fisioterapista e dietologa. Un lavoro eccellente, che porta il bimbo fino al numero 3 del mondo. Ma la bambagia familiare pub essere anche una gabbia: alla naturale spocchia di chi sarà un dominatore, Sascha aggiunge qualche atteggiamento da divo in allenamento che fa fuggire polemicamente Juan Carlos Ferrero dopo solo qualche mese di collaborazione. Perb tre Masters 1000 vinti a 21 anni (il primo a Roma, a sottolineare il feeling con l’Italia) lo affiancano a gente come Nadal e Djokovic. E adesso c’è Lendl, che l’ha subito obbligato a 4-5 ore di preparazione giornaliera in un momento della stagione in cui pensi soltanto alle vacanze. Con che risultati, si è visto. Ora manca solo la consacrazione negli Slam, l’unico cruccio. Ma potrebbe essere appena questione di mesi.

 

E’ cambiata la storia

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 13.11.2018

 

Siamo nell’Era di Bimbo Sascha, alla fine. Gli indizi ci sono tutti. Vi siamo entrati senza fracasso, senza spintoni, senza annunci clamorosi, e ora siamo qui a dirci che, in fondo, doveva succedere, che gli anni passano per tutti e nel divenire delle cose i cambiamenti sono il sale della vita. Lui, il giovane Zverev, è ancora li, sul campo, steso a pancia in giù, quasi in un atto d’amore.11 pubblico applaude senza rendersene conto. Nessuno pensava che Djokovic perdesse queste Atp FinaLs, nessuno riteneva Sascha Zverev già in grado di disinnescare il serbo tomato da poche settimane al numero uno. Non c’era anima viva disposta a puntare un solo penny sulla doppia lezione servita ai Favolosi di una volta, prima Federer, poi Djokovic. Sascha ha vinto le Finals dominando i due che intorno a questo titolo avevano costruito una leggenda Ma la Storia del Tennis segue percorsi tutti suoi, e ancora una volta ha dato una risposta differente, ha spinto sulla ribalta il ragazzino meglio introdotto. Zverev ha bussato alla porta del Club dei Campioni, e loro gli hanno detto di accomodarsi. Le Finals non sono uno Slam, ma possono vincerle solo i più grandi. Zverev dovrà ancora percorrere un bel tratto di strada, ma ora sa quale sarà la meta finale. Vittorie così ti cambiano dentro, anche se sei un predestinato. Finché non le cogli, non credi di esserne capace. Ora Sascha ha capita Curioso match. Otto game in copia e incolla con l’ultimo confronto giocato, appena martedì scorso. Djokovic il primo a battere, Sascha all’inseguimento, ma con passo sicuro, senza foga. Sembrava quasi che Zverevvolesse ricominciare da fi, da quel nono game con il Djoker al servizio, durante il quale quattro sere fa aveva storpiato il suo tennis, facendosi cogliere dal batticuore davanti a due palle break che lo avrebbero trascinato di peso alla vittoria nel primo set. Chissà quanto gli sono costati, quei due strafalcioni, e chissà quante tirate d’orecchie gli sono venute da Mastro Lendl, che simili trascuratezze non le ha mai perdonate, a cominciare da se stesso. E così, il bimbo smaniava per mostrare i progressi compiuti, e come tutte le reprimende fossero state recepite, catalogate e trasferite nella memoria centrale. Ha preso di mira il rovescio del Djoker, forse più fragile alla lunga del dritto; ha aperto varchi che di norma il gioco chiuso del serbo non offre, e su quelli ha ritrovato la palla break (la prima del match) con la quale misurarsi. E l’ha giocata bene, questa volta, a botta sicura. Poi si è girato compunto verso l’angolo del suo maestro e ha chiesto con gli occhi se questa volta avesse fatto bene. Il sì di Lendl ha trasformato in colpi di spingarda i suoi servizi di Sascha. Tre ace. E finalmente il set. Lì Djokovic ha capito che non sarebbe più stato il match della sua sesta vittoria nel Master Sascha guidava gli scambi, lo incalzava, e quel che è peggio per il serbo, non aveva paura ad avventurarsi oltre il quindicesimo, addirittura il ventesimo scambia ll secondo set ha subito messo in piazza tre break, due per Sascha, ormai libero di colpire. Tre a uno, eDjokovic nelle vesti dell’inseguitore, un ruolo che sperava di non dover più recitare. L’ultimo break è giunto su un rovescio non facile da tenere in campo. ll marchio di fabbrica di un ragazzo costruito per vincere, e un po’ anche per stupire. Un match costruito su un impianto solido, quello di Zverev. Pianificato nei minimi dettagli, nel quale gli strateghi di casa Zverev hanno dato spazio a tutte le doti del “ragazzo che un domani sarà numero uno”. Un servizio da tenere sempre ben vivo, variandolo spesso ma senza assumere rischi non calcolati; un dritto da curare nelle traiettorie, alzandole di quel tanto da renderle sicure, eppure infide per Djokovic; e un rovescio invece più libero di colpire a piacimento. È il suo colpo migliore in fondo, e su quello a Bimbo Sascha è stata concessa piena libertà. Del resto, c’è una famiglia di autentici architetti del tennis, dietro il ragazzo costruito per vincere. Papà Alexander è stato giocatore professionista, mamma Irina è maestra di tennis. La famiglia si trasferì ad Amburgo nel 1991, spinta dagli entusiasmi di una Germania senza muri. L’idea fissa era quella di dare forma a un numero uno. Il primo prodotto venne abbastanza bene, non benissimo. Misha, dieci anni più di Sasha, aveva colpi incantevoli e carattere volubile. Sasha invece è venuto su alla perfezione. Modernissimo nel tennis, che è violento senza sforzo, il carattere di acciaio e tungsteno. È ancora giovane, solo molto giovane… Ma prima o poi, anche questa gli passerà.

 

E’ Zverev il nuovo Maestro

 

Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 19.11.2018

 

Mai dare nulla per scontato nel tennis e soprattutto nel Masters di fine anno. Puoi essere favorito quanto vuoi, i bookmakers possono dare a sei (quota pazzesca) la vittoria del tuo avversario, tu sei n.1 del mondo, hai perso solo due partite da Wimbledon in poi (35 vittorie in 37 match), non hai perso il servizio fino alla finale concedendo soltanto 32 punti in 36 turni di battuta, hai battuto 64 61 il giovane finalista tedesco di 21 anni che ti ritrovi di fronte dopo 4 giorni e che in tutti gli Slam dell’anno aveva fatto flop (salvo i quarti di finale al Roland Garros), ma la vecchia legge del Masters che dice quanto sia difficile battere per due volte lo stesso avversario (su 18 volte 9 volte il vincitore era stato quello che aveva perso nel round robin), ha colpito ancora.

Alexander (Sasha per gli intimi) Zverev, 21 anni compiuti il 20 aprile, ha battuto contro tutti i pronostici, dopo Roger Federer in semifinale, anche Novak Djokovic in finale: 64 63 in un’ora e 20 minuti. E’ il primo Maestro tedesco in 23 anni. Nel 1995 trionfò Boris Becker su Chang.

Soltanto Andy Murray nel torneo olimpico del 2012 a Wimbledon e prima di lui Rafa Nadal due volte nel 2008 (Roland Garros e Amburgo), avevano battuto sia Federer  sia Djokovic nello stesso torneo.

Ma è curioso che a battere Djokovic da Wimbledon in poi siano stati soltanto tre rampolli della Next-Gen, il greco Tsitsipas a Toronto, il russo Khachanov a Parigi-Bercy e ora Sasha Zverev che aveva vinto il suo primo Masters 1000 un anno fa a Roma e già nel novembre di un anno era salito a n.3 del mondo e deciso di saltare il torneo NextGen di Milano per fare la prima esperienza fra i Maestri.

Quando a Montecarlo, quest’anno dopo un inizio zoppicante per essere stato sconfitto da Chung in Australia e aver fatto tre maratone contro avversari modestucci a Parigi, gli fu chiesto se non fosse il caso di cercarsi un allenatore diverso dal padre, e cioè Ivan Lendl, quasi si arrabbiò: “Mio padre (Alex senior) seniormi conosce meglio di chiunque, da 21 anni, e nessun coach ha tirato su due giocatori dalla tecnica del tutto diversa (il fratello maggiore Mischa  è mancino, gioca serve&volley, un anno fa era n.25, oggi è n.69) come noi”.

Sarà ma poco prima di Wimbledon Sascha ha cambiato idea e ha preso Lendl, l’ex campione ceco vittorioso in 8 Slam e in 5 Masters di fine stagione che aveva condotto Andy Murray a vincere Wimbledon e US Open prima di queste Atp finals Murray (su Djokovic in finale) nel 2017.

Fino al 4 pari del primo set la finale ha rispettato la regola dei servizi come mercoledì scorso. Ma a differenza di quella partita Djokovic non ha salvato pallebreak: con due errori di dritto, uno in rete e l’altro lungo ha subito il primo break del torneo. E sul 5-4 Zverev ha messo a segno 3 aces per il 6-4. 62% di prime per il serbo e 84% per il tedesco. Il secondo set per Djokovic è cominciato peggio! Ha perso la battuta nel primo e nel terzo game. Tre break di fila per uno che non li aveva mai subiti. Irriconoscibile lui, spento, sempre perdente in tutti gli scambi lunghi. Così Zverev, che temeva una folla ostile dopo l’episodio del raccattapalle con Federer, con un passante lungo di rovescio lungolinea ha conquistato il torneo più importante della sua carriera e 2.509.000 dollari.

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