Ode alla Croazia ed all’ultima romantica Coppa Davis (Clerici), Alla Croazia la cara e vecchia Davis (Semeraro), Addio alla vecchia Davis con la vittoria della Croazia (Piccardi), L’ultima Davis è della Croazia (Scanagatta)

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Ode alla Croazia ed all’ultima romantica Coppa Davis (Clerici), Alla Croazia la cara e vecchia Davis (Semeraro), Addio alla vecchia Davis con la vittoria della Croazia (Piccardi), L’ultima Davis è della Croazia (Scanagatta)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Ode alla Croazia ed all’ultima romantica Coppa Davis

 

Gianni Clerici, la repubblica del 26.11.2018

 

Sono accorato. Scusate se vi parlo di me, come faccio troppo spesso, ma non posso prescinderne, quando un fatto mi tocca personalmente. Ho trascorso la mia vita nel tennis, e la Coppa Davis ne è un parte non secondaria. Ho visto, dopo che la Croazia aveva battuto la Francia, il mio amico Noha, capitano francese, piangere. Avevo già visto piangere un uomo, che si chiamava Valentino Taroni, quando avevo nove anni, e non immaginavo che i grandi piangessero. Valentino era stato accoppiato con tennista di Fiume, Kucel, ribattezzato dai fascisti Cucelli, per la presunta superiorità razziale. I due avevano perso male, nel 1939, da Puncec-Mitic, jugoslavi veri e, tornando al lago di Como in auto accompagnati da mio papà, Taroni si era messo a piangere, perché il capitano Fazzini gli aveva tolto il suo abituale partner Quintavalle e imposto Kucel. Il risultato era stato drammatico, quattro soli games vinti. Oggi era Noah, il più noto francese, garantiva Paris Match, a piangere, perché forse aveva sbagliato nello schierare Lucas Pouille, invece di mettere in squadra 4 giorni fa Gasquet. Pouille aveva concluso per la Francia la finale dell’anno scorso battendo il Belgio di Darcis, ma Darcis era solo il n° 76 del mondo, mentre oggi l’avversario era Cilic, uno che ha vinto uno Slam e perdute due finali. Infine, in questa valle di lacrime, avevo pianto anch’io, il giorno in cui ero stato convocato contro l’Olanda nel 1953, e poi cancellato dal capitano Barbato per offese alla Federtennis (ero già un giovane giornalista). Oggi non sono riuscito a piangere, ma ho immaginato lo facesse mr. Dwight Davis nella sua tomba, perché l’anno prossimo, quella che porterà il suo nome, sarà una gara diversa. Ci saranno dapprima le eliminatorie, poi una conclusione sempre a squadre, e la maligna concorrenza di Europa-America che il golf chiama Ryder Cup e il tennis Laver Cup, di quel grande organizzatore di Federer. Scusate se ho finito a non parlare di Croazia- Francia, ma il fatto che i singolaristi croati, Cilic e Coric, non abbiano perduto un solo set la dice lunga sulle lacrime di Noah per i suoi, infortunati o malscelti.

 

Alla Croazia la cara e vecchia Davis

 

Stefano Semeraro, la stampa del 26.11.2018

 

La prima finale la vinsero 3-0 gli Usa contro le Isole Britanniche nel 1900 al Longwood Cricket Club di Boston, e in campo c’era anche l’uomo che ci aveva messo il grano e dato dato il nome alla Coppa: Dwight Davis. L’ultima, nel formato che conosciamo da quasi 120 anni, se l’è presa ieri la Croazia, che a Lille ha vendicato la sconfitta ai Mondiali di calcio rifilando un 3-1 senza appelli alla Francia di Yannick Noah. Il punto decisivo l’ha portato Marin Clic, n. 7 del mondo, 7-6 6-3 6-3 a Lucas Pouille, e via Twitter sono arrivatii complimenti di Mario Mandzukic, uno dei delusi di Mosca: «Vittoria storica! la migliore contusione di un grande anno sportivo. Bravi ragazzi». Dopo il 2005 È la seconda Zuppiera che finisce a Zagabria dopo il trionfo del 2005 a Bratislava contro la Slovacchia, e rischia di diventare lo spartiacque fra due ere. Dal 2019 infatti si cambia tutto: fase di qualificazione in febbraio, finali a 18 squadre in sede unica a Madrid con incontri due soli singolari e un doppio al meglio dei tre set. Una bestemmia, per i puristi. L’unico modo di salvare una competizione moribonda, secondo il Presidente dell’Itf David Haggerty e Gerard Piqué, star del Barcellona e fondatore del gruppo Kosmos che finanzia la rivoluzione. Francia-Croazia ha interessato poco le tv, ma al «Pierre Mauroy»c’erano comunque 24.144 spettatori, a Madrid, in campo neutro, come sarebbe andata? Molti dei big, Federer e Djokovic compresi, storcono il naso, l’Atp ha lanciato per il 2020 la ATP Cup, una pseudo-Davis con molti soldi e molti punti: il fischiatissimo (a Lille) Haggerty e Piqué iniziano a temere un flop.

 

Addio cara vecchia Davis 118 anni di storia e emozioni

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 26.11.2018

 

La discesa a rete disperata di Lucas Pouille, aggrappato al rovescio a due mani come il naufrago allo scoglio. E il pallonetto scolastico di dritto di Marin Cilic, che plana nella terra che non sarà mai più di nessuno. Game, set, match. Finisce così — Cilic-Pouille 7-6 6-3 6-3 e Croazia-Francia 3-1— l’ultima Coppa Davis tradizionale nella storia del mondo, già diversa da come ce l’avevano tramandata i padri fondatori (quattro universitari di Harvard che nel19oo si misero in mente di sfidare a tennis gli inglesi: uno di essi, Dwight F. Davis, s’inventò un formato e ordinò una coppa d’argento da mille dollari ai gioiellieri di Boston Shreve, Crump e Low), dominata da Usa, Regno Unito, Francia e Australasia fino al 1974, quando Sudafrica e India rompono l’embargo, qualificandosi per la finale. Della decrepita signora di 118 anni, la Coppa Davis andata in pensione ieri nella mestizia di un capannone di Lilla aveva tutte le caratteristiche: le rughe di vecchiaia oltre che d’espressione, l’odore di naftalina, la crocchia di capelli bianchi sfatta, il rossetto sbavato. Però, accidenti, che fascino sotto il velluto liso del sipario bordeaux che, chiudendosi, si strappa. Addio incontri tre set su cinque spalmati sul weekend. Bye bye all’alternanza di match casalinghi e in trasferta, con deriva di arbitraggi di parte (la storia della Davis ne è piena). Mister Davis si rivoltera nella tomba a sapere che a fare la rivoluzione è stato un corpo estraneo al tennis, il difensore del Barcellona e della Nazionale spagnola Gerard Piqué, ambasciatore barbuto del dio denaro: per tre miliardi di dollari, valore totale dell’operazione, il presidente della Federtennis internazionale (Itf) David Haggerty ha venduto l’evento a Kosmos, il gruppo d’investimenti fondato e presieduto dal campione del mondo 2010. Il matrimonio d’interesse durerà 25 anni. La Davis dal 2019 diventerà una specie di Mondiale del tennis, disputato in sede unica (Madrid) nell’arco di una settimana (18-24 novembre) da 18 nazioni: 12 usciranno dagli scontri diretti del primo turno (l’Italia affronta l’India fuori casa), più le quattro semifinaliste di quest’anno, più due wild card. Ogni giorno due singolari e un doppio, due set su tre. Con tanti denari nell’insalatiera e un impegno concentrato a fine stagione, la speranza della diabolica coppia Haggerty-Piqué è garantirsi a Madrid la presenza di tutti i top-player, anche quelli che nel passato evitavano la Davis per inconciliabile divergenza di vedute con il loro calendario di tornei (il divino Roger Federer, per dire, in carriera l’ha vinta una volta sola: nel 2014 quando la Svizzera ha superato la Francia). E sorvoliamo sulle incongruenze: i miliardari del tennis che si lamentano di giocare troppo ora si troveranno imbottigliati in pochi mesi tra la lucrosissima Laver Cup (privata: tra gli organizzatori c’è la società di Federer), la nuova Davis (Itf) e la rinata World Team Cup (Atp), una guerra a colpi di dollari e punti per il ranking che non crediamo farà del bene al tennis (alle tasche dei tennisti sì). Ma tant’è. Nell’era del Mondiale di calcio a 48 squadre (già in Qatar nel 2022?), il tennis che sperimenta il tie break sul 4-4, il punto diretto anziché i vantaggi, lo shot clock, il no-let e qualsiasi altra trovata esca dal cappello da pensatore del marketing, si offre l’occasione di un cambiamento radicale, che Cilic e Pouille hanno sigillato con quell’ultimo punto giocato alla vecchia maniera. La maniera di Nicola Pietrangeli, recordman con 164 partite in Davis dal ’54 al ’72; Roy Emerson, primatista con 8 titoli in carriera (Harry Hopman ne ha 16 come capitano); Bjorn Borg, che firmò una striscia di 33 match vinti; Marco De Rossi (San Marino) il davisman più giovane a 13 anni e 319 giorni; e Leander Paes, che in Davis ha attraversato 28 anni (1990-2018). Numeri, record, volti (tutti i protagonisti della storia del tennis si sono confrontati con l’insalatiera) vanno in archivio insieme alla Croazia che brinda alla sua seconda Davis (gli Usa, con 32, chiudono in vetta, l’Italia è ferma a una: quella mitica del 1976). La creatura che nascerà nel 2019 della Coppa Davis porterà solo il nome. Furto d’identità, potremmo chiamarlo.

 

L’ultima Davis è della Croazia

 

Ubaldo Scanagatta, il Quotidiano nazionale del 26.11.2018

 

Centodiciotto anni di storia del tennis se ne sono andati ieri tristemente — ma in un’atmosfera resa irripetibile sul campo dai 24.000 spettatori al Pierre Mauroy — con l’ultima vera Coppa Davis e con la Croazia di Marin Cilic e Borna Coric che ha così inciso per la seconda volta dopo il 2005 il proprio nome sulla base della leggendaria Coppa d’argento. Nel novembre 2019 si giocherà in un’unica sede neutra, a Madrid, un surrogato della Davis con 18 Nazioni. «Non la chiamate più Davis! — ha invocato Noah — Ho detto in faccia al presidente dell’Itf Haggerty tutto il mio disgusto per quello che ha fatto. Nessuno vivrà più queste emozioni, lui le ha rovinato per sempre». E, annunciando «la mia vita nel tennis finisce oggi; ora c’è la musica», rivolgendosi a chi scrive ha detto «Che cosa sarebbe stato il tennis in Italia seria la Coppa Davis?». Trenta minuti di sfogo, un po’ teatrale, ma commovente. CAPITAN Noah ha giocato le sue cane, ha sostituito il deludente Chardy (n° 40) della prima giornata con Pouille (n° 32). Ma invano. Pouille non ha conquistato neppure una palla break. La Croazia, che aveva perso in 4 set il doppio sabato, ha dominato la Francia nei due singolari di venerdì, Coric-Chardy (62 75 64), Cilic-Tsonga (63 75 64), e nel terzo di domenica CilicPouille (76 63 63) senza che nessuno perdesse mai un set (era successo solo 4 volte dal ’73, l’ultima nel ’90) e seria mai cedere un game di servizio! L’uomo più contento fra tutti era Marin Cilic. Era l’unico dei vincitori di Slam in attività a non aver vinto la Davis. Due anni fa aveva mancato in finale il punto decisivo contro l’Argentina e del Potro dopo essere stato avanti 2 set a 0 e poi un break nel quinto. Due anni di incubi. Ora ha anche lui in bacheca una miniatura della Davis, come gli altri Slam-winners in attività, Federer, Wawrinka, Murray, Nadal, del Potro e Djokovic. La sua è da collezione, è l’ultima. Noah, capitano vincente di 3 Davis (’91,’96 e 2017) questa volta non poteva fare il miracolo. Non era lui ad avere in squadra il n°7 e il n°12 del mondo. Le struggenti parole di Yannick Noah e le polemiche francesi su www.ubitennis.com.

 

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