Fenomenologia di Nick Kyrgios

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Fenomenologia di Nick Kyrgios

Dopo la masturbazione simulata in campo, la bufala del nuovo coach. Aspettando il tennista Godot, torniamo alla distruzione della terra rossa al Roland Garros 2017, con Marcelo Rios sullo sfondo

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Una delle ultime sparate di Nick Kyrgios, dopo innumerevoli intemerate che ne hanno fatto il personaggio che conosciamo, aveva lanciato una nuova scoppiettante puntata della saga: “Le beffe alla stampa”. Artefice di domande banali o fastidiose, indiscrezioni non documentate e megafono esagerato delle sue imprese fuori dal campo. Cosa sarà mai aver sussurrato a Stan Wawrinka che si porta in campo un bel paio di corna, non era forse la verità? E che due scatole tutte quelle ramanzine per la gag della masturbazione, non bastava la multa dell’ATP? Possibile che tra i giornalisti ci siano solo educande (quelli italiani, poi!)? Proprio loro, che pur di scrivere qualcosa d’interessante farebbero ben di peggio… Eccocela servita allora, qualcosa d’interessante: in ottobre, il gaglioffo down under annuncia in prima persona al Courier Mail, testata di Brisbane, che ha finalmente trovato un nuovo coach, l’anonimo doppista statunitense James Cerretani. Il tempo per gli sventurati colleghi di cascarci ed ecco che Nick, non contento, si fa beffe di loro via social.

L’ultimo capitolo della fenomenologia di Kyrgios apre numerose discussioni nel rapporto tra giocatori e giornalisti. Una tematica di sicuro interesse, specie nell’era delle bufale e delle fake news, ma di sicuro non per la testa calda di Canberra, che va avanti per la sua strada incurante di tutto e tutti. Ormai tutti lo conoscono, ma vale la pena soffermarsi su quanto accaduto al Roland Garros 2017, quando da inviati abbiamo avuto occasione di avere Nick Kyrgios davanti a noi in carne e ossa per ben due volte, la seconda delle quali decisamente indimenticabile. Partiamo da quella.

Siamo alla conferenza stampa del primo turno, dove Nick ha appena sconfitto Philipp Kohlschreiber. Dopo le prime domande, il sottoscritto prende la parola per indagare sull’unico momento di frizione col giudice di sedia, dopo una chiamata dubbia. Il motivo è capire, piuttosto ingenuamente visto chi c’era davanti, a cosa fosse dovuto durante il match un nervosismo che fin lì era completamente latente, in una situazione di punteggio in pieno controllo. “Nervous? I was no nervous”. Fine. La testa è già girata dall’altra parte, ad attendere la domanda successiva. La delusione dell’intervistatore è infinitamente minore del fastidio dell’intervistato. Ciò che sarebbe accaduto di lì a poco non ha però nulla a che fare con quello stato d’animo, più istantaneo di quel che si potrebbe pensare. Parte infatti un vero climax teatrale condotto tra sguardi assenti e risposte acide, fino al culmine che in quattro parole devasta oltre un secolo di leggenda su terra battuta. Non è cosa da poco trasformare la più classica delle domande sulla superficie di gioco in un autentico anatema coatto contro il mattone tritato, proprio nell’aula magna (la Room 1 dell’area interviste) del tempio del tennis sul rosso.

Così il suo rapporto con la superficie del Roland Garros diventa un modo per dire che non ama correre e quindi chiude il colpo appena gli è possibile – tanto per ribadire la sua totale pigrizia, semmai qualcuno avesse ancora dubbi – e soprattutto che ciò che non ama della terra è il fatto che gli sporca le scarpe. I suoi allenamenti a casa sul rosso sono perciò molto rari perché le scarpe così ridotte finiscono poi per imbrattare di robaccia rossa anche la sua macchina, col risultato di avere sia le scarpe sia l’automobile da pulire… In trenta secondi, cento e passa anni di Lacoste, Pietrangeli, Santana, Vilas, Nadal vengono spazzati via, devastati dall’importanza superiore di avere auto e scarpe in ordine. Il moderatore dell’intervista non trattiene il sorriso, rigorosamente a denti stretti visto il ruolo. Ma risulta evidente come il suo obiettivo sia non mostrarsi per quel che è: se solo potesse, si lascerebbe andare a grasse risate.

Uno dei tanti tweener di Nick, sulla terra di Madrid nel 2017

Figurarsi cosa direbbe, il nostro Nick, dell’erba di Wimbledon se non gli piacesse nemmeno quella. Se la detestasse, dopo una magra figura ai primi turni di Wimbledon, in conferenza stampa non si farebbe grossi problemi a uscirsene così, nella migliore delle ipotesi: “Quando entro in un campo in erba parto quasi romantico, un paio di volte mi sono chiesto ‘chissà che non trovi una margherita per Alja’ (Tomjanovic, la sua collega fidanzata, nda), ma poi finisco sempre inca…to per come rimbalza la palla, più il match va avanti più non la sopporto!”.

MARCELO ERA CATTIVO, NICK INVECE… – C’è in ogni caso un precedente di peso che viola la sacralità dei prati di Church Road e risponde al nome di quel delinquente di talento di Marcelo Rios: “L’erba va bene solo per le mucche!”, disse dopo l’ennesimo flop verde. Il cileno era però una testa calda come Nick ma molto più cattivo. Forse il suo più grande merito è stato proprio tradurre la sua rabbia in autentica furia agonistica, rivelatasi alla prova del campo un’arma formidabile e compatibile col suo talento, caratterizzato in primis da un tocco di palla favoloso. Pur senza mai alzare al cielo un trofeo dello Slam, il cileno raggiunse due volte il n.1 del mondo nel 1998 (dal 30 Marzo al 20 Aprile e poi dal 10 al 17 Agosto). Il vero problema di Rios si manifestava semmai, forse più per gli altri che per lui, fuori dal rettangolo di gioco. Tra le infinite chicche regalate dal duo Tommasi-Clerici, c’è il racconto di Rino – come sempre tanto telegrafico quanto gustoso – sul malcapitato bambino che una volta ebbe la pessima idea di chiedergli un autografo: “Non solo gliel’ha negato, gli ha addirittura rotto la matita!. Di sicuro un monito efficace anche per i fans vicini…

Nick invece è un tipo più svogliato che cattivo. Sempre a Porte d’Auteuil nel 2017, non fu difficile riconoscerlo nel lungo tunnel collocato sotto la tribuna Borotra del Philippe Chatrier che permette di accedere anche alla Sala Stampa. Sebbene sia sempre impossibile intuire cosa gli passi per la testa, non si potevano ignorare quegli occhi sempre un po’ assenti che tradivano una forma d’insofferenza verso quanto lo circondasse. Sembrava tutto tranne che entusiasta di essere al Roland Garros e la cosa presa in sé potrebbe anche essere accettabile (quanto meno per essere lo Slam con la superficie più sgradita, evidente anche senza le sparate di cui sopra), ma quante volte si è ripetuta? Verrebbe quasi voglia di dire dappertutto, ormai rassegnati a vedere per sempre un talento cristallino ridursi a un personaggio che regala sempre qualcosa da raccontare, ma quasi mai legata al suo splendido tennis. Un personaggio bizzarro che si può detestare o amare, ma un tennista sublime che sembra possibile solo immaginare.

A proposito di cattivi alla Marcelo Rios, se interpretassimo il tennis come un dramma sarebbe un’adeguata rappresentazione del male. Spesso si è parlato, soprattutto a proposito di Storia, della banalità del male. Se ne potrebbe discutere a lungo, l’unica certezza che abbiamo è che fino a quando il Sole sorgerà su questa Terra, nessuno mai parlerà della banalità di Nick Kyrgios.

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