âTienimi per manoâ⌠con questo incipit, nonchĂŠ titolo di una toccante poesia, Hermann Hesse suggella il significato dellâesistenza umana, invocando il sostegno di una persona che possa condurlo ânel difficile vivereâ. Questa rubrica non ha certo la pretesa di illuminare il sentiero dei nostri lettori, ma piuttosto di accompagnarli lungo un corridoio di una galleria dâarte, rivivendo i migliori eventi di un 2018 che ormai volge al termine. Non sarĂ un bilancio di ranking e statistiche, bensĂŹ un viaggio a ritroso nei momenti che hanno tenuto incollati gli appassionati anche di notte, tracannando caffè, pur di sostenere i propri idoli tennistici. Un excursus tra opere dâarte di ogni stile, ricche di emozioni, lacrime versate sui campi, sudore terso dai polsini macchiati di rosso.
Tutto ha inizio nella torrida Australia, in quel di Melbourne. Si alza il sipario, la platea ridonda di brusii, le attrici calcano la scena e sono pronte per recitare il loro copione nella finale del primo Slam dellâanno. Le protagoniste non possono che essere la numero uno e due del mondo: Simona Halep e Caroline Wozniacki. Nellâaria si respira tensione, lâesito è quanto mai incerto: da un lato una guerriera da anni sulla cresta dellâonda che vuole confermarsi e affermarsi; dallâaltro una combattente dalle sembianze elfiche anche lei a caccia del primo titolo Slam. Il tennis sfoggiato dalle due è di alto livello, come non si vedeva da tempo nel circuito femminile: la rumena trova soluzioni estreme per sfondare il muro danese eretto da Wozniacki nel primo set. Halep incrocia dritti in top, ma anche palle corte taglienti, costringendo Caroline ad un gioco a rete forzato. Strategia vincente che infiamma la Rod Laver Arena tra sussulti e palpitazioni.
Lob, smorzate, spostamenti laterali, per quanto impeccabili, non possono nulla contro una Wozniacki dagli occhi di ghiaccio, talmente pungenti da imprimere la loro fermezza anche attraverso la telecamera. Un fendente a rete di Halep porta al cielo le braccia di Caroline, la quale non può fare a meno di lasciarsi cadere, abbandonando la fedele arma. Il suo sguardo granitico, impresso nella tela che stiamo osservando, si scioglie nella giusta commozione per il primo titolo Slam in carriera, dopo 43 partecipazioni e 3 finali disputate (le precedenti agli US Open 2009 e 2014). La vittoria porta Wozniacki di nuovo in vetta al ranking mondiale a distanza di sei anni. La giusta pennellata finale a compimento della prima opera dâarte dellâannata 2018.

Continuiamo lungo la sezione della nostra galleria, distogliendo lo sguardo dalle tele al femminile, stile Frida Khalo, per passare ad un quadro surrealista. SĂŹ, proprio cosĂŹ, perchĂŠ quello che ha compiuto il Re del tennis va oltre ogni realtĂ pensabile. Stesso scenario, stessa arena, ma ad entrare in scena sono i finalisti del torneo maschile: Roger Federer e Marin Cilic. Neanche a dirlo, il pubblico inneggia allo svizzero come ormai siamo abituati a sentire. Lâinterrogativo è uno solo: riuscirĂ a bissare lâimpresa dellâanno precedente?
Il âpof pofâ della pallina è una pennellata morbida ed elegante, che si infrange da una parte allâaltra del rettangolo, incantando il pubblico ludibrio. Le tinte rosa degli indumenti targati RF danzano sul tappeto blu del campo, accarezzando lo schizzo giallo che macchia di lĂ e di qua la tela per due set di dominio. Per amalgamare il colore, Cilic è costretto piĂš volte allâavanzamento a rete e a rovesci inchiodati sulle linee, riuscendo ad imporsi in un secondo e quarto set che fa tremare i federeriani. Ă solo il momento dâincertezza di una mano dâartista che sa giĂ come dare il tocco finale al suo capolavoro. La volĂŠe che dĂ colore, il dritto in anticipo lucente, il rovescio in chiaroscuro e il servizio vincente ad uscire mettono la firma sul 20esimo Slam nella carriera di Roger Federer. Non resta che la commozione (anche dello stesso artista) di fronte a cotanta bellezza.
Si fa appena in tempo a distogliere lo sguardo da questo quadro, che la parete surrealista è pronta a regalarci ancora emozioni. Cambio di sfondo: Rotterdam, un mese dopo. Lâartista è sempre lui, il tocco è inconfondibile. Questa volta la cornice è meno ridondante, ma i colori sono sempre vivi, energici. Ormai i co-protagnisti si amalgamano allo sfondo, ciò che appare è un autoritratto dellâennesimo trionfo: Federer conquista il suo 97esimo titolo e torna ad essere il numero uno del mondo dopo 14 anni dalla sua prima volta (2 febbraio 2004), raggiungendo un totale di 303 settimane (neanche a dirlo, record giĂ suo). Ă il dettaglio a fare la differenza tra un falso e unâopera autentica e irripetibile (forse): a 36 anni Roger è il piĂš vecchio numero uno della storia del tennis, battendo il record di Agassi (33 anni).

Con la mano ancora stretta alla nostra guida si prosegue alla fine di questa prima sezione e, come degna conclusione, si erge una scultura in marmo. La sua imponenza è conturbante, la potenza baroccheggiante, ma le linee del volto sono gentili. Ă Juan Martin del Potro in finale ad Indian Wells. Il suo rovescio slice scalfisce come uno scalpello, il servizio dĂ corpo al capolavoro che si sta costruendo, seppur a fatica contro il surrealista svizzero, che non ne vuole sapere di non incorniciare unâaltra tela da esporre. La torre di Tandil, con il suo dritto di marmo e le nuove soluzioni compensatorie per un polso martoriato, si erge in una sala dominata dal surrealismo per riportare la concretezza dellâarte che solo una scultura può donare.
Un pezzetto di roccia alla volta ed ecco che lâopera prende corpo e vita: nel terzo set Delpo salva ben tre match point, dopo averne sciupato uno nel tiebreak del secondo parziale. Il tiebreak finale squarcia la tela di Federer, cosĂŹ come quella degli US Open 2009 ed è il completamento del capolavoro marmoreo che suggella il primo Masters 1000 in carriera di Juan Martin del Potro.
