Focus
Quanti ricordi ammirando Andy Murray
Il direttore ripassa alcuni momenti magici di una carriera strepitosa nonostante Federer, Nadal e Djokovic. Con le sue prime sensazioni. E si pente di averlo battezzato il Ringo Starr dei Fab Four

Che choc, che tristezza, che pena. Mi si è stretto il cuore, m’è venuto un groppo alla gola, non sono riuscito a guardare quel video in una sola volta. Ho avuto bisogno di fermarmi e riprendere a scorrere in due riprese tutto il commovente filmato proveniente dall’Australia (non sono ancora a Melbourne) che mostrava Andy Murray non più nei panni del Braveheart di Dunblane e del guerriero che è sempre stato, ma in quelli di uno sfortunato ragazzo in lacrime, dolorosamente incapace di proferire parola, il capo chino, le mani a coprirsi il viso, per annunciare il suo singhiozzante “No Mas” dopo 20 mesi di dolore e di stop prolungati fra un intervento chirurgico e l’altro, fra mesi e mesi di infermeria, riabilitazione e soltanto sette vittorie portate a termine nel 2018.
Un campione vero, Andy, e un grande uomo che non ha mai detto una parola fuori posto – altro che sul campo dove invece ne ha sempre dette di tutti i colori, ma sempre contro se stesso – che ha sempre rispettato tutti, avversari, fans e giornalisti alle cui domande rispondeva sempre impegnandosi a dare il meglio di sé, proprio come sul campo. Essere riuscito a vincere 3 Slam, 14 Masters in mezzo a 45 tornei e una Coppa Davis vinta praticamente da solo, ed essere stato il numero 1 del mondo per 41 settimane – unico Brit – da quel magico 7 novembre nel quale riuscì a conquistare la ventiquattresima vittoria consecutiva e a battere Novak Djokovic, è stata un’impresa pazzesca considerando gli avversari che si è trovato di fronte e anche la pressione continua che è stato costretto a sopportare nel Regno Unito dove dopo Fred Perry non era stato più vero campione nessuno, nemmeno Tim Henman e Greg Rusedski, e dove la magia di Wimbledon pesa come una cappa insopportabile su qualunque tennista britannico.
E non l’hanno costretto alla resa i tre grandi campioni della sua era, Federer, Nadal, Djokovic, nei quali Andy ha avuto la sfortuna, ma anche l’orgoglio, di imbattersi riuscendo anche non poche volte a prevalere, ma una maledetta anca destra che alla fine ha preso il drammatico sopravvento. Tutti si erano accorti della serietà dell’infortunio in occasione della semifinale 2017 del Roland Garros, quando era ancora n.1 del mondo e perse da Wawrinka.
Forse – e sarebbe ancora più ingiusto e terribilmente triste – lo scozzese non ce la farà neppure a trascinarsi, zoppicando, fino al prossimo Wimbledon, come sta ancora romanticamente sognando. È lì che vorrebbe far sentire il suo canto del cigno. Cioè laddove aveva vinto la sua prima medaglia d’oro olimpica nel 2012 sconfiggendo Federer, prima di ripetersi nei veri Championships l’anno dopo, quando dopo 77 anni – 28.127 giorni! – era riuscito a… mettere a riposo l’ingombrante ombra di Fred Perry, l’ultimo Brit campione all’All England Club nel 1936.
Si dirà che dalla vita Andy ha avuto tutto, che è stato in fondo fortunato, fin da quando lui a 8 anni e il fratello Jamie a 9 scamparono all’eccidio di Dunblane del 13 marzo 1996, uno dei fatti più tragici della storia scozzese: uno squilibrato, Thomas Watt Hamilton, uccise a colpi di pistola 16 scolari fra i 5 e i 6 anni e la loro insegnante prima di suicidarsi.
Ha vinto tanto, tantissimo, nel Regno Unito – dove a inizio carriera veniva ricordato che era scozzese quando perdeva e britannico quando vinceva – la sua fama ha oscurato perfino quella degli assi del pallone e delle pedate. Con Norman Brookes (1939) è l’altro solo tennista che sia mai stato fatto Cavaliere dalla monarchia britannica. Ma qui non starò a ricordare i suoi successi, li trovate ovunque, così come troverete su Ubitennis decine di articoli che abbiamo scritto su lui. L’ultimo, a mio avviso assolutamente mirabile, quello di Agostino Nigro, scritto a dicembre e che ho chiesto alla redazione di pubblicare nuovamente.
Non le ho davvero contate ma credo di aver assistito a diverse centinaia delle sue 840 partite dai suoi esordi a oggi. Fra i più nitidi e antichi ricordi c’è quello degli ottavi di finale all’Australian Open 2007 contro Rafa Nadal. Andy era in ritardo sulla tabella di marcia con gli altri Fab, anche se già nel 2006 aveva raggiunto gli ottavi a Wimbledon. Ma quel giorno giocò in un modo fantastico, cambiando continuamente ritmo, accelerando di rovescio e poi rallentando di dritto, ma anche viceversa, tanto che lo ribattezzai “il nuovo Gattone Mecir”. Era avanti due set a uno, perse al quinto perché non era ancora forte fisicamente come il toro di Manacor. Ma quel giorno mi colpì in modo indelebile per la sua straordinaria imprevedibilità: era capace di alternare in modo per nulla banale o scontato, accelerazioni di colpi anticipati e soprattutto piatti – quindi per ciò stesso molto più penetranti di un qualsiasi colpo liftato o tagliato – a colpi improvvisamente accarezzati e senza peso, ma liftati alti e profondi, capaci di destabilizzare il ritmo di qualunque avversario.
Mi impressionò per la spiccata intelligenza del suo tennis che non aveva colpi immediatamente decisivi, sebbene la risposta di rovescio fosse apparsa subito formidabile – ricordo che fu cronometrata a Shanghai a 160 km orari – ma erano le sue trame, la sua strategia di gioco a sedurmi. Un’intelligenza, dicevo, decisamente superiore alla media. E insieme a quella come non restare affascinati dall’irriducibile grinta, dai recuperi impossibili, da quelle gambe che mulinavano vorticosamente e che hanno corso così tanto – forse più del necessario e del dovuto? – da fargli pagare alla fine il prezzo salato che lo ha forse fermato per sempre.
Aveva il talento per essere un po’ meno passivo, ma talvolta se ne dimenticava. Ricordo di aver scritto un articolo che ne magnificava le doti quel giorno in cui batté Federer al Masters di Shanghai 2010, per l’ottava volta nei primi 13 duelli. Mica exploit da poco eh?
Ricopio quanto scrissi quel giorno in Cina:
a) Andy è probabilmente il miglior ribattitore del circuito.
b) La sua diagonale rovescia è paragonabile per efficacia al Nadal che sfrutta il vantaggio d’essere mancino per creare difficoltà al rovescio di Federer.
c) Riesce a tirare passanti diabolici anche con il suo colpo meno incisivo, il dritto, come ha fatto vedere oggi sia correndo in laterale – esempio il passante straordinario lungo linea che pur giocato in posizione assai squilibrata lo ha portato al setpoint nel primo set – che correndo in avanti – esempio il passante incrociato stretto anch’esso straordinario sulla volée smorzata di Roger sul set point. Alla fine non sai se restare indietro ad aspettare che sbagli e non sbaglia quasi mai, oppure se attaccarlo esponendosi ai suoi passanti. È un dilemma tattico che può confondere qualsiasi avversario.
d) È miglioratissimo al servizio rispetto ai tempi cui mi riferivo del suo match perso al quinto con Nadal in Australia 3 anni fa 6-1 al quinto, tant’è che stamani ha servito mediamente la “prima” a 20 km orari più veloce di Roger e soprattutto ha rinforzato la seconda, conquistando infatti più del 50 per cento dei punti anche quando ha dovuto farvi ricorso.
e) In quanto a tocco, e la grande efficacia delle sue smorzate lo dimostra, solo lui può competere con Federer (più di Nadal che pure ne ha, più di Djokovic che ne ha così così, più di Del Potro, Roddick e altri che ne hanno molto meno).
f) Atleticamente è proprio un altro rispetto a quello che scoppiò contro Nadal e comunque sulla distanza dei due set su tre è fortissimo perché riesce a mantenere sia spunto di velocità che concentrazione mentale.
Beh, ecco perché chiunque discuta oggi le qualità di campione dello scozzese secondo me… ci vede poco. Risulti o meno simpatico alla gente. Concludo aggiungendo un’altra osservazione già fatta tante volte, una sorta di chiodo fisso: Murray non è il prodotto di una scuola tennistica, di una federazione. Non è necessario esserlo. Murray è il prodotto di… se stesso, tutt’al più anche della madre e di una famiglia che ha creduto in lui e nella sua voglia di arrivare, nella sua decisione di andare a lavorar duro e a migliorarsi in Spagna – è certo lì che ha sviluppato quel tocco, quel timing perfetto nel decidere quando giocare le smorzate – nella sua testardaggine alla ricerca di una soluzione tecnica soddisfacente magari non ancora raggiunta, visto l’avvicendarsi dei coach, ma mai abbandonata, anzi lungamente cercata.
Un tipo deciso e tosto come Murray, ecco dove volevo arrivare, si è fatto da solo e avrebbe potuto benissimo venir fuori anche in Italia. Uno come lui – credo – non si sarebbe fatto condizionare né dalla Federazione, né dalla stampa, né da nessuno.
Dopo lo US Open del 2012, il primo Slam vinto dallo scozzese, scrivevo che a mio parere, anche se Andy aveva chiuso l’anno a n.4 dietro i soliti tre Beatles della racchetta, e Djokovic vantava un gap enorme di punti su Federer, chi aveva più titoli per meritare la leadership mondiale era proprio Murray: “Questo è il primo anno dal 2003 in cui i 4 Slam hanno avuto quattro vincitori diversi: Djokovic in Australia su Nadal, Nadal in Francia su Djokovic, Federer su Murray a Wimbledon, Murray su Djokovic all’US Open. Un anno particolare questo perché non c’è dubbio che il Wimbledon Olimpico, vinto da Murray su Federer, meriti di affiancarsi agli Slam – e più dei Masters 1000 – come torneo di super-prestigio, forse anche per via della location… Murray è il solo ad avere vinto 2 tornei dei cinque che sono poi – salvo che per gli addetti ai lavori – quelli che l’opinione pubblica ricorda meglio e dà maggior peso. Non solo: Murray è stato finalista nel torneo che di solito viene considerato di più, quello di Wimbledon. Nelle cinque finali sopracitate Djokovic e Murray compaiono in tre finali, Nadal e Federer invece in due”.
Insomma, nel 2012 Murray pareva avermi smentito. Ero stato io per primo a ribattezzarlo il Ringo Starr dei Fab Four, il grande perdente dopo 4 finali di Slam fallite, eterno incompiuto, figlio di mamma, malato immaginario etcetera. Me ne sarei pentito, anche se oggettivamente, di fronte a Federer-Lennon con i suoi 20 Slam, Nadal McCartney con i suoi 17, Djokovic Harrison con i suoi 14, lo scozzese che ne ha vinti solo 3 non poteva essere messo sullo stesso piano degli altri. Però era un nomignolo ingeneroso, anche perché rispetto a Ringo Starr si diceva sempre che ci fossero tanti batteristi migliori, mentre nessun tennista è stato più… quarto di Murray.
Quando nel 2013 Andy ha messo fine ai ricordi nostalgici di Fred Perry, beh sembrava davvero che avesse svoltato. Era mancata soltanto la Regina. Ma c’era Lendl al fianco di Andy e forse era più importante.
I NUMERI DI ANDY
- 45 titoli complessivi
- 3 titoli del Grande Slam
- 2 ori olimpici in singolare
- 14 Masters 1000
- 1 ATP Finals
- 41 settimane al N.1 del ranking mondiale
- Giocatore dell’anno 2016 per ATP e ITF
GLI H2H
- vs Federer: 11-14 (vinta finale Olimpica 2012)
- vs Djokovic: 11-25 (vinta finale US Open 2012 e Wimbledon 2013)
- vs Nadal: 7-17 (vinta semifinale US Open 2008 e Australian Open 2010)
ATP
Draper salta Wimbledon per l’infortunio alla spalla patito al Roland Garros
Dopo il ritiro a match in corso nel 1° turno parigino contro Etcheverry, Jack Draper è costretto a rinunciare anche all’intera stagione sui prati

Jack Draper salterà l’ormai imminente – al via tra meno di un mese, il 3 luglio – edizione numero centotrentasei del torneo di Wimbledon a causa dell’infortunio alla spalla patito nella prima settimana del Roland Garros, precisamente durante una sessione di allenamento che ha preceduto l’incontro di esordio contro l’argentino Tomas Etcheverry.
Purtroppo per il classe 2001 di Sua Maestà, il fastidio era già piuttosto pronunciato da impedirgli anche solo di poter portare a termine il match di primo turno, dal quale si è così dovuto ritirare: dopo aver perso il primo set 6-4 e ritrovatosi sul punteggio di 1-0 nel secondo ha alzato definitivamente bandiera bianca – non prima di aver provato comunque a continuare per diversi minuti pur con uno stato fisico limitante, ben rappresentato dai numerosi servizi da sotto in cui si è esibito. Il 23enne di La Plata beneficiando di quest’occasione ha saputo farla fruttare nel migliore dei modi, compiendo un grandissimo exploit e raggiungendo un’incredibile quarto di finale sospinto dall’alto.
Un duro colpo per il 21enne britannico, dato che si tratta dell’ultimo di una lunga serie di problemi di natura fisica che ne hanno irrimediabilmente condizionato il rendimento negli ultimi mesi di Tour. Il mancino di Sutton era infatti in grande ascesa ai nastri di partenza dello US Open 2022, tuttavia purtroppo la sua corsa fu nuovamente fermata da un altro crack fisico che l’obbligò al ritiro a fine terzo set della sfida di sedicesimi, dando così la possibilità di involarsi agli ottavi al futuro semifinalista di Flushing Meadows Karen Khachanov.
La tormentata conclusione della scorsa annata tennistica ha rappresentato però, per la sfortuna del n. 4 di Gran Bretagna, solamente l’inizio di un calvario senza pace che lo ha tormentato a tal punto da permettergli di disputare nel 2023 la miseria di 8 eventi.
Nonostante Jack fosse estremamente sconfortato dall’ennesimo stop fisico, in seguito alla “non” partita contro il sudamericano, dal box del giocatore flirtava comunque ottimismo guardando al successivo blocco del calendario: la stagione su erba. Si pensava, difatti, che il problema non avrebbe poi intaccato così tanto il prosieguo dell’anno ma tutte le speranze sono crollate fragorosamente non appena Draper si è sottoposto agli esami clinici del caso rivolgendosi ad uno specialista del settore: il responso è stato inequivocabile, niente prati e soprattutto forfait allo Slam casalingo.
“Dalle analisi è apparso chiaramente come la mia spalla necessiti di un periodo di riposo forzato, e successivamente di una fase riabilitativa per riacquistare pienamente le proprie funzioni. Io e il mio team siamo così stati costretti a dover prendere la difficile decisione di saltare la stagione su erba di quest’anno. Ho sempre saputo che in questo sport ci sono così tanti alti e bassi, ma questo momento è davvero duro da accettare. Certamente però non smetterò di perseverare” ha commentato, a margine di questo nuovo infortunio, su Instagram il diretto interessato.
Nelle parole del campione juniores 2018 di Church Road non si accenna a nessun intervento chirurgico, perché assieme al suo staff hanno optato per un percorso di recupero meno invasivo e che si basi quasi esclusivamente sulla fisioterapia. Il rientro, se tutte le tabelle di marcia verranno rispettate senza controindicazioni, alle competizioni è previsto tra la metà e la fine di luglio.
Quando ha potuto giocare con uno stato di forma non inficiato da fastidi fisici di vario genere, Jack Draper – ex n. 7 a livello junior – ha indiscutibilmente dimostrato di possedere il potenziale per spiccare il volo nell’élite ATP dei migliori al mondo ma come è facilmente intuibile questo contesto di benessere fisico è stata un’assoluta rarità: prima l’infortunio alla gamba destra a New York, poi un virus influenzale che l’ha debilitato e non poco in pre-season
La storia personale tra il ragazzo nato nel sud di Londra e SW19 ha visto finora andare in scena due soli capitoli: l’esordio assoluto nel 2021 quando è stato capace di strappare un parziale a Novak Djokovic, mentre nel 2022 è riuscito a fare un passo in più prima di soccombere – sempre in quattro set – con l’australiano Alex De Minaur. Dunque si prospetta un’altra pesante assenza per i colori britannici, dopo quella di Emma Raducanu – anche lei in preda a continui infortuni di carattere fisico, ma che a differenza di Jack è stata costretta ad andare sotto i ferri.
ATP
Dominic Thiem cede la poltrona austriaca: da lunedì non sarà più n.1 del suo Paese
Sconfitto al secondo turno di Heilbronn, il ventinovenne Dominic Thiem è costretto a lasciare il primo posto del tennis austriaco a Sebastian Ofner

Dopo la sconfitta al secondo turno all’ATP Challenger di Heilbronn, Dominic Thiem è costretto a cedere il gradino più alto del tennis austriaco a Sebastian Ofner.
Moritz Thiem, fratello di Dominic che ha allenato sia lui che Ofner, ha analizzato la partita di Heilbronn senza troppi filtri: “Non è stata una bella partita, fatta eccezione per il primo set. Adesso (Dominic) deve iniziare a trasformare in partita i colpi che sta già giocando in allenamento, altrimenti farà sempre fatica contro tutti”.
Si apre invece per Ofner una nuova finestra, più luminosa ma più dispendiosa. Col passaggio alla posizione n. 80 al mondo il ventisettenne stiriano avrà nuove importanti opportunità, che deve però essere bravo a sfruttare al meglio e al momento giusto: il rischio che venga superato presto da altri giocatori è dietro l’angolo. Per ora si riposa, godendo dell’attesa della gloria (ufficiale) che arriverà con l’aggiornamento della classifica della nuova settimana. Giocherà il suo primo match da n.1 austriaco sull’erba di Ilkley (Gran Bretagna, 19-25 giugno 2023).
Marianna Piacente
Flash
Roland Garros, doppio femminile: la finale sarà Fernandez/Townsend contro Hsieh/Xinyu Wang
Domenica mattina l’ultimo atto del doppio femminile del Major parigino. Solo la 37enne Hsieh Su-Wei ha già vinto uno Slam tra le tenniste in campo

Nella giornata in cui l’attenzione mediatica è completamente rivolta verso le due semifinali maschili del Roland Garros, in particolare quella tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz, tra la mattinata e il primo pomeriggio di venerdì 9 giugno si è però anche definita quella che sarà la finale di doppio femminile nello Slam di Bois de Boulogne. Fernandez/Townsend e Hsieh/Xinyu Wang si contenderanno la coppa nell’atto conclusivo in programma domenica mattina.
Si tratta della prima finale in un Major per il duo composto dalla canadese Leylah Fernandez e dalla statunitense Taylor Townsend, che si presentavano a Parigi da teste di serie n° 10 e che hanno battuto in semifinale la coppia, in questo caso tutta americana, Gauff/Pegula, seconda forza, sulla carta del tabellone, nonché formazione finalista nel 2022. Il punteggio a favore di Fernandez/Townsend è stato piuttosto netto, solo 4 games concessi e un 6-0 6-4 eloquente in 1 ora e 4 minuti, condito addirittura da un bagel nel primo parziale.
Guardando individualmente all’una e all’altra giocatrice che hanno raggiunto questo prestigioso traguardo e quindi, in sostanza, separando per un attimo la coppia, per Townsend è la seconda finale a livello Slam, che si aggiunge a quella centrata allo Us Open del 2022 al fianco di Caty McNally, mentre per Fernandez, già finalista in singolare a Flushing Meadows nel 2021 nell’incontro perso con Emma Raducanu, sarà invece, quella dell’11 giugno, la primissima volta in finale in doppio in un palcoscenico tanto importante.
Traslando invece l’attenzione alle loro rivali, la taiwanese Hsieh Su-Wei e la cinese Xinyu Wang arrivano in finale da non teste di serie, anche perché stiamo parlando di un connubio tennistico recente. Dei cinque incontri disputati per ottenere il risultato, però, ben quattro successi le hanno viste estromettere delle giocatrici seeded, tra cui, proprio in semifinale, le seste favorite del tabellone Melichar-Martinez/Perez, in tre set con lo score di 6-2 3-6 6-3.
Anche in questo caso, esaminando singolarmente le due giocatrici, va rimarcato che Hsieh è rientrata nel circuito a 37 anni suonati solo all’inizio di maggio del 2023, dopo uno stop volontario di 18 mesi. I suoi tre titoli in singolare non sono nulla rispetto alle 30 coppe ottenute in doppio (ex n° 1 di specialità), tra cui il trionfo proprio a Bois de Boulogne nel 2014, quando condivideva il campo con Peng Shuai. Xinyu Wang (classe 2001), invece, può dimenticare la batosta subita in singolare da Iga Swiatek al terzo turno di questo Roland Garros con la sua prima finale in doppio in uno Slam.