La stampa italiana celebra la finale Djokovic-Nadal e la finale juniores di Musetti (Crivelli, Semeraro, Piccardi, Azzolini) - Pagina 2 di 2

Rassegna stampa

La stampa italiana celebra la finale Djokovic-Nadal e la finale juniores di Musetti (Crivelli, Semeraro, Piccardi, Azzolini)

La rassegna stampa di sabato 26 gennaio 2019

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Mi sono sentito un Dio” (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Nel 1978 Corrado Barazzutti in semifinale al Roland Garros perse 6-0 6-1 6-0 contro Bjorn Borg. «Scusa se ti ho fatto un game», gli disse stringendogli la mano a rete. I campioni di oggi, in media, hanno meno autoironia. I cannibali invece esistono ancora. E fanno sempre paura. «ll mio piano era di essere aggressivo – mormora Lucas Pouille, che contro Djokovic, in semifinale a Melbourne, di game ne ha rimediato qualcuno di più, quattro, comunque una miseria – Ma non ho neanche avuto il tempo di provarci. Se Nole sta costantemente a 10 centimetri dalla riga, diventa difficile. Quando gioca così, è d più forte di tutti». In Australia l’appetito di Novak Djokovic, il più giovane dei tre Orchi ancora in servizio effettivo e permanente, fra l’altro è da record. Domani giocherà la sua settima finale a Melbourne, eguagliando il record dell’era Open di Federer. Come Roger e Roy Emerson – che però ci riuscì prima che nel 1968 ai pro’ fosse consentito mischiarsi ai dilettanti – ha vinto sei volte, l’ultima nel 2016. «Negli ultimi due anni gli infortuni mi hanno reso la vita difficile – dice il numero uno – Ma se penso agli ultimi dieci anni, qui ho vinto parecchio. Come tutti mi piace iniziare bene la stagione». ALTRA DIMENSIONE. Contro Pouille, a cui ha concesso la miseria di otto punti nei propri turni di servizio, gli è riuscita la «partita perfetta, tutto è andato bene fin dall’inizio, e oltre le previsioni. Si, è vero, volevo riuscire a concedere meno game di Rafa (che a Tsitsipas ne aveva lasciato sei il giorno prima; ndr). E’ stata dura, ma in qualche modo ce l’ho fatta»». Non una sbavatura, non una incertezza «Quando capita così ti senti come un dio, come se giocassi in un’altra dimensione, non hai nemmeno bisogno di pensare a quello che fai. Ci metti un po’ ad arrivarci, ma di solito ci rimani un po’. Se mi ripeterò contro Rafa? Dipende. A volte guardi a chi c’è dall’altra parte della rete e ti innervosisci. Di sicuro quella contro Rafa è la sfida più estrema. Ma vincere 10-8 al quinto contro di lui ha Wimbledon mi ha come catapultato ad un livello mentale superiore». […] PAPA’. «Non ho mai pensato davvero a ritirarmi, anche se dubbi ne avevo. Pensavo di poter tornare a questi livelli? Beh, la risposta è sì, anche se ammetto che allora sembrava altamente improbabile. Non ho mai smesso di credere in me stesso, l’autostima è qualcosa che mi porto dentro. Quando ti affidi alle tue qualità migliori, e continui a pensare che il percorso che stai facendo è quello giusto, alla fine ce la fai». “With a little help from my friends”, con un po’ d’aiuto dai miei amici, direbbero i Beatles e Joe Cocker: Nel caso di Nole, Marian Vajda, il suo coach storico, che aveva mollato per cercare nuovi stimoli assumendo Andre Agassi, e a cui è tornato ad affidarsi; e il fisioterapista Gerhard Gritsch, mentre gli erano sempre rimasti a fianco i suoi angeli custodi italiani, il manager Dodo Artaldi e l’addetta stampa Elena Cappellaro. La sua “famiglia” tennistica, mentre quella vera è già rientrata a Belgrado. «Mio figlio maggiore Stefan (quattro anni e mezzo, la secondogenita, Tara ne ha due; ndr) ha iniziato l’asilo, l’ho sentito tre quarti d’ora prima del match, si preparava ad uscire e mi ha parlato dell’Uomo Ragno. Poi mi ha detto: “Papà, vinci, mi raccomando”. Potevo deluderlo? lo e mia moglie Jelena stiamo insieme da 15 anni e siamo genitori di due angeli. Questa è la nostra vita». Papà Novak, il Cannibale della porta accanto.


Djokovic contro Nadal, la nuova storia infinita del tennis che non cambia (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Domani fa cinquantatré. 53 volte che un serbo tenace affronta uno spagnolo coriaceo, 53 volte di Djokovic-Nadal. Benché Rafa individui in uno svizzero (con buoni motivi) il rivale per eccellenza, sono i due lati scaleni della triangolazione Federer-Nadal-Djokovic ad aver prodotto, dal giugno 2006 (Roland Garros, vittoria del niño nei quarti per ritiro) a oggi, la rivalità più lunga della storia del tennis. Ventiseiesima sfida sul duro: Djokovic conduce 18-7.15a in uno Slam: Nadal è avanti 9-5. Ottava in una finale Major: Nadal guida 4-3. Seconda in Finale all’Australian Open e la prima ce la ricordiamo tutti: Melbourne 2012, quando al Djoker servirono cinque ore e 53 minuti di corpo a corpo rovente per domare il satanasso di Manacor. […] Se le resurrezioni di Nadal non si contano, quest’ultima ha del clamoroso. Ritirato in semifinale all’ultimo Us Open, dolorante a coscia e caviglia, operato a novembre dopo aver ceduto lo scettro al Djoker. Ed eccolo qui, canotta d’antan e servizio nuovo di zecca, pimpante in finale contro l’avversario con il quale l’equilibrio è più marcato (27-25 per il serbo i precedenti), perché non è certo dal particolare di due match in una vita che si giudica un giocatore. Djokovic-Nadal, numero uno contro numero due, è la finale più giusta e non potrebbe essere altrimenti (il super tie-break dovrebbe snellire la pratica): il tennis tre set su cinque non mente mai. «Con la sua intensità, Rafa mi spinge ai confini — ha spiegato ieri il serbo dopo l’allenamento con il francese —. Mi ha convinto a ripensare il mio gioco e ad andare oltre i miei limiti». Che è esattamente ciò che Nadal direbbe di Federer e viceversa. Uscito di scena il Maestro, tocca agli eredi legittimi. Djokovic gioca per il 15° titolo Slam, Nadal per il 18°. Un’enormità irraggiungibile per il resto del genere umano, inclusa quella Next Gen di cui Tsitsipas è punta di diamante, rispedita a fare i cesti dalla prepotente restaurazione di due dinosauri per niente in vena di estinzione. Sono solo Nole, 31 anni, e Rafa, 32, a poter agganciare a quota 20 Slam un Federer con la data di scadenza incorporata, che ormai manda lampi di luce a intermittenza. Ed è per questo che, in un certo senso, il futuro del tennis comincerà domani a Melbourne


Il colpo in serbo (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Non servivano poteri da supereroe per garantire all’accaldato pubblico di Melbourne la 47° finale dell’Era Open tra il primo giocatore del mondo e il secondo (il bilancio delle vittorie incredibilmente è in parità, 23 a 23), cioè l’attesa riproposizione della rivalità più consistente della storia del tennis maschile, quella tra il numero uno Novak Djokovic e il valletto nel ranking Rafael Nadal, al 53° incrocio pericoloso di una sfida ormai eterna, con il serbo avanti 27-25. MEGLIO NON SI PUO’ Dopo la passeggiata di salute del giovedì di Rafa, neppure Nole perde troppo tempo per disfarsi della pratica Pouille, devastato in 83 minuti di tennis chirurgico abbellito da 24 vincenti e appena 5 gratuiti, esorcizzando dunque il rischio-stanchezza del match per il titolo affrontato con un giorno in meno di riposo. Che poi tanto dannoso non deve essere, se è vero che nelle ultime 10 finali australiane chi ha giocato la seconda semifinale ha vinto cinque volte. […]«Sì, è stata una delle migliori partite che abbia mai giocato in Australia». Un anno fa, il serbo salutava la compagnia già negli ottavi contro Chung e da lì decideva di farsi operare al gomito destro, mettendo sostanzialmente a rischio la carriera prima di affidarsi di nuovo al calore degli affetti tecnici (coach Vajda) dei tempi d’oro: «Speravo di poter tornare dove sono oggi, ma è stato difficile. La cosa più importante è stata credere in me stesso, di poter giocare ancora così». IMBATTUTO A questo punto, verrebbe da dire che alla fine delle due settimane Nole ha raggiunto la comfort zone dove si sente intoccabile, visto che nelle precedenti sei finali sulla Rod Laver Arena ha sempre vinto e domani con il settimo sigillo può staccare Emerson e Federer tra i plurivincitori dello Slam che apre la stagione, oltre a diventare l’unico della storia a conquistare tre Slam di fila (è campione di Wimbledon e Us Open) per la terza volta in carriera. Melbourne è un posto senza dubbio magico: gli offri il primo Major nel 2008 e nel 2012 gli regalò probabilmente il successo più sentito, il trionfo in 5 ore e 53′ (la finale Slam più lunga di sempre) proprio contro quel Nadal che guarderà negli occhi domani, dopo due semifinali in cui hanno concesso appena dieci game totali, e in Australia non succedeva da 110 anni. Un appuntamento da brividi: «Con il super tie break non potrà durare così tanto, ma il biglietto per una partita così lo comprerei subito». Anche se non ha prezzo.

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Quando Barazzutti si scusò con Borg per avergli preso un game a Parigi (Gianni Clerici, La Repubblica)

Chissà se Pouille sarà stato spiritoso quanto Corrado Barazzutti che nel 1978, stringendo la mano al suo vincitore, Bjorn Borg, gli disse: «Scusa se ti ho preso un game». La partita tra Borg e Barazzutti, al Roland Garros (6-0, 6-1, 6-0) era la prima semifinale, come oggi quella di Pouille contro Djokovic, mentre l’altra semifinale se la giocarono Guillermo Vilas e l’americano Dick Stockton (6-3, 6-3, 6-2), senza che affiorasse il dubbio che l’argentino potesse smarrire un set. […] Della partita col francese non c’è molto da dire. Anche perché nei giorni scorsi si era ecceduto nello scrivere di Amélie Mauresmo, e cioè di un coach femmina che allenava un maschio, Pouille, e non solo lo allenava, ma lo aveva migliorato proprio nel momento in cui era stato vicino a abbandonare il tennis, dato che il suo abituale coach Planque non sapeva più motivarlo. Ieri Amélie è stata sommersa di attenzioni televisive e di interviste, e il suo bel visetto è apparso sempre più depresso nel subire, come il suo protetto, i colpi ingiocabili, lunghissimi, regolarissimi di Novak. In campo Pouille ha fatto da raccattapalle e Djokovic ha scivolato sul campo in cemento quasi si trattasse della neve che circondava la pizzeria dei suoi genitori, prima che diventasse un campione. Un campionissimo – mi affretto a correggere – che ha realizzato 27 punti a 11, quasi il francese fosse diventato un incostante allenatore. Non c’è stato confronto nella lunghezza e nella solidità dei tiri, e se Pouille ha raccattato due games, una caduta di Novak nel 4° game non ne è stata certo la causa, come se il serbo fosse di gomma. Lo stesso Djokovic avrebbe ammesso, dopo un 3° set terminato 6-2, di aver vinto giocando uno dei migliori match sul campo che ospiterà la sua 7a finale. Alla quale parteciperà in perfetta condizione, con colpi lunghi e infallibili, contro un altro della Old Generation, un difensore divenuto attaccante. Un tipo che, diversamente da lui, è riuscito a cambiare gioco. E quindi prepariamoci a vedere il miglior Djokovic contro un nuovo Nadal, che potrebbe diventare il terzo a vincere tutti i grandi Slam almeno due volte insieme a Rod Laver e Roy Emerson. Sarà una grande finale

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