Osaka e Kvitova: l'Australian Open delle attaccanti - Pagina 2 di 4

Al femminile

Osaka e Kvitova: l’Australian Open delle attaccanti

A Melbourne è andata in scena una eccezionale edizione dello Slam, che ha offerto diverse partite memorabili

Pubblicato

il

Naomi Osaka e Petra Kvitova - Australian Open 2019
 

Naomi Osaka verso la finale: da Hsieh a Svitolina
Mentre Kvitova veleggiava relativamente tranquilla sino alla finale, Osaka sulla sua rotta verso il settimo match ha dovuto superare frangenti ben più complicati e rischiosi. Al terzo turno ha trovato una cliente difficilissima: Hsieh Su-Wei, che già l’anno scorso a Melbourne aveva fatto soffrire Kerber dopo avere eliminato Radwanska e Muguruza.

In questo momento nel circuito femminile non esiste una giocatrice paragonabile a Hsieh: i colpi bimani, la sicurezza a rete, il tocco infallibile, la illeggibilità delle direzioni dei suoi colpi, l’alternanza fra palle rapide e tese e palle senza peso, la rendono un vero e proprio unicum tennistico. Nelle giornate di vena è complicatissimo affrontarla, per ragioni non solo tecniche ma anche mentali: per uscire indenni occorrono concentrazione, autocontrollo e pazienza superiori. E non è detto che si sia sempre pronte a metterli in campo: infatti contro Su-Wei Naomi si è trovata a un passo dall’eliminazione. Prima di arrivare sino al punto di crisi, Osaka nel match aveva attraversato due momenti distinti: una prima fase di difficoltà a proporre il suo solito tennis, e una seconda in cui aveva provato a cambiare tutto, arrivando perfino a utilizzare delle moonball. Scelta autolesionista, non adatta alla sue caratteristiche, che non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.

Ormai sull’orlo del precipizio (sul 5-7, 1-4), Naomi ha finalmente ritrovato l’orientamento necessario alla sopravvivenza: meno rischi, meno soluzioni azzardate o stravaganti, in favore di uno scambio più semplice, paziente e profondo, in attesa della palla giusta da attaccare. Lo ha raccontato in conferenza stampa lei stessa, spiegando apertamente come ha ragionato sia sul piano tattico che su quello psicologico.

Apro una parentesi a proposito delle conferenze stampa di Osaka: tutti i media del mondo hanno scoperto agli US Open il suo particolare senso dell’umorismo, che ne ha fatto un personaggio molto amato nel giro di poche settimane. Questa però non è un sorpresa per chi, come i lettori più affezionati di Ubitennis, conosce Naomi da diversi anni.

No, quello che oggi rende speciali le interviste di Osaka è che, anche da campionessa Slam, continua a non rinnegare la sua trasparenza di analisi, raccontando senza filtri i pensieri che attraversano la sua mente durante il match; sia per quanto riguarda gli aspetti tecnico-tattici che psicologici. Di fronte alle domande giuste, Naomi arriva a spiegare nel dettaglio che cosa ha funzionato e che cosa no, e le contromisura adottate. Per questo le sue conferenze stampa sono, in questo momento, di gran lunga le più interessanti che il circuito femminile possa offrire. Ecco per esempio il giorno della  partita contro Hsieh:

Sottolineo un aspetto fra i tanti. Dopo aver tratteggiato il gioco di Su-Wei, Naomi spiega la sua condizione (dal minuto 2’58”): “Lei non sbagliava mai e rimandava indietro tutto. Stava giocando benissimo, così bene che a me non rimaneva che accettarlo e praticare un tennis di attesa. Ma, a essere onesta, io non sono un tipo da tennis paziente, così per me è stato difficile fare questo; ma ho capito che dovevo fidarmi delle mie forze atletiche e accettarlo. Mi sono fidata della mia preparazione atletica migliorata in off-season”. In poche parole Osaka ci dà una grande quantità di indicazioni su se stessa, in positivo come in negativo.
Se penso che ci sono tenniste che per tutta la carriera non fanno altro che ripetere “I just focused on my game”, frase standard che abbiamo sentito all’infinito e in pratica significa nulla… Dalle conferenze stampa di Osaka negli ultimi due Slam, da quelle in Australia in particolare, si possono ricavare moltissime informazioni, tanto che mi piacerebbe in futuro preparare un articolo esclusivamente basato su quanto ha raccontato nei quindici giorni di Melbourne.

Ma torniamo alla partita contro Hsieh. Grazie all’approccio più paziente, alla ritrovata lucidità e anche grazie a un minimo di aiuto ricevuto dall’avversaria (non è mai facile chiudere un match contro una campionessa Slam, e Su-Wei ha un po’ aumentato il numero degli errori non forzati), Osaka si è salvata: dal 5-7, 1-4 ha vinto cinque game di fila ribaltando il secondo set e chiuso nel terzo per 5-7, 6-4, 6-1.

Alla fine questo durissimo ostacolo si è trasformato nella preparazione ideale in vista di un’altra tennista difficile, che ama mischiare le carte variando molto gli spin e la velocità di palla, come Anastasija Sevastova. Di nuovo a Naomi è occorso un set per prendere le misure e riuscire a girare il match a proprio favore (4-6, 6-3, 6-4), ma senza attraversare i rischi estremi del turno precedente.

Si era ormai ai quarti di finale, e a quel punto è apparso chiaro che Osaka non era il tipo di tennista da soffrire la “sbornia” da primo Slam: a distanza di pochi mesi dal successo di New York era ancora in corsa, e faceva sul serio. Per questo credo che non abbia sorpreso la vittoria in due set contro Elina Svitolina (6-4, 6-1) in settanta minuti senza particolari problemi.

a pagina 3: Osaka contro Pliskova e le novità del 2019

Pagine: 1 2 3 4

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement