Osaka e Kvitova: l'Australian Open delle attaccanti

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Osaka e Kvitova: l’Australian Open delle attaccanti

A Melbourne è andata in scena una eccezionale edizione dello Slam, che ha offerto diverse partite memorabili

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Naomi Osaka e Petra Kvitova - Australian Open 2019
 

Che torneo: lo Slam più bello degli ultimi anni. È sempre difficile valutare un avvenimento appena concluso e, a caldo, fare paragoni con il passato. Ma questa volta sono davvero convinto: non ricordo un Major recente altrettanto ricco di partite di qualità, capaci di regalare equilibrio, rovesciamenti di fronte, divertimento, ma soprattutto autentica sostanza tennistica. E non solo per merito delle due finaliste, Osaka e Kvitova, ma grazie anche ad altre protagoniste come Pliskova, Serena Williams, Halep, Hsieh, Barty, Giorgi.

È stato anche uno Slam che ha visto prevalere le attaccanti sulle difensiviste, ribaltando l’esito di dodici mesi fa, come si può dedurre dalla composizione delle semifinaliste: Wozniacki, Halep, Mertens e Kerber nel 2018. Osaka, Kvitova, Pliskova e Collins nel 2019. Sugli aspetti generali degli Australian Open 2019 tornerò con un secondo articolo, dedicato alle giocatrici che non sono riuscite ad arrivare sino in fondo, ma che meritano comunque di essere ricordate per quanto hanno saputo offrire. Per ragioni di spazio oggi comincio con le due finaliste; il resto a martedì prossimo.

Kvitova a Melbourne: un crudele déjà vu
Dopo la anomala stagione 2018, in cui Kvitova aveva vinto più di tutte a livello WTA (5 tornei) ma sempre fallito negli Slam, finalmente agli Australian Open 2019 Petra ha riconquistato la ribalta anche in un Major. E siccome nessun evento raccoglie lo stesso interesse di uno Slam, si è tornati a parlare della sue vicenda personale, caratterizzata dal complesso recupero fisico che ha dovuto attraversare dopo l’accoltellamento alla mano sinistra subito nel dicembre 2016. Evento determinante che oggi, a torneo finito, si somma ad altre questioni di tennis più lontane e troppo poco ricordate.

 

Penso infatti che se vogliamo provare a capire più profondamente la storia di Kvitova occorra allargare il quadro di riferimento, recuperando quanto le accadde proprio in Australia sette anni fa, nel 2012. Perché Petra a Melbourne ha subito diverse cocenti delusioni, ma una l’ha segnata in particolare: probabilmente il maggiore rimpianto della sua carriera. Torniamo al passato.

Nel gran caldo australiano diverse volte Kvitova ha perso match contro avversarie che sulla carta erano da battere. Sconfitte al primo o secondo turno, come quella nel 2018 contro Petkovic (che in quel momento era numero 98 del ranking), contro Gavrilova nel 2016 e soprattutto contro Kumkhum nel 2014, in une edizione che pure aveva affrontato con una forma fisica eccezionale, frutto della più dura e scrupolosa preparazione atletica mai svolta sino ad allora in off-season.

Ma è un’altra la sconfitta che Petra non ha mai del tutto metabolizzato, e che sono convinto si sia incisa, profonda come una cicatrice, nei suoi ricordi. Si tratta della semifinale del 2012, persa da favorita contro Maria Sharapova. Quella partita rappresenta una ferita mai del tutto sanata, tanto che forse quel match potrebbe essere diventato uno spartiacque rispetto al suo ruolo nel circuito femminile: da potenziale numero 1 del Tour a figura capace di grandi exploit, ma non sufficientemente consistente per essere la leader del movimento.

Oggi siamo abituati a percepire Kvitova come una tennista di grande talento ma non abbastanza continua per comandare il ranking. Ma nel gennaio 2012 le cose stavano in modo molto diverso. Ad appena 21 anni, nella stagione 2011 Kvitova aveva disputato otto finali (7 a livello WTA, 1 a livello ITF), e ne aveva vinte sei; non solo Wimbledon, ma anche Madrid e il Masters, oltre alla Fed Cup (che non assegna punti WTA). Per una manciata di punti non aveva concluso l’anno da numero 1 del mondo, ma un po’ tutti pensavano che il sorpasso nei confronti di Wozniacki sarebbe stato imminente; solo una questione di tempo.

Quel sorpasso Petra lo aveva mancato anche per scelte di programmazione fatte prima di sapere quanto poco le sarebbe bastato per arrivare in cima al mondo: per esempio la rinuncia al torneo di Roma 2011, perché aveva già preso l’impegno di giocare l’ITF di Praga. O la decisione di disputare l’Hopman Cup, una manifestazione che non assegna punti in classifica, all’inizio del 2012; e così la sua vittoria a Perth proprio contro Wozniacki non era servita a cambiare le gerarchie mondiali.

Prima degli Australian Open le sarebbe bastato arrivare in finale a Sydney per prendere il comando della classifica; ma si era fermata a un solo passo dal traguardo: aveva perso in semifinale contro Li Na dopo aver dominato il primo set e avere condotto di un break nel secondo (1-6, 7-5, 6-3). Una delle rare occasioni in cui l’aveva bloccata il braccino, in un confronto asimmetrico sul piano emotivo, visto che per Li Na quella partita non aveva particolare significato.

Racconto tutte queste circostanze per restituire la sensazione che si viveva in quel momento: un primato a portata di mano, tanto vicino quanto però sempre sfuggente. Poi era arrivato lo Slam, e le cose erano andate in modo sorprendentemente simile a quanto è successo qualche giorno fa. Ecco perché il 2019 si ricollega al 2012.
Alle fasi finali erano approdate più giocatrici con la possibilità di conquistare il numero 1; ma mentre per scalzare Wozniacki a Kvitova sarebbe bastato arrivare in finale, a Sharapova e Azarenka occorreva vincere il torneo. Le semifinali erano Azarenka contro Clijsters e, Kvitova contro Sharapova. Di nuovo a un solo match dal primato in classifica, Petra aveva perso da Sharapova in semifinale, in una partita caratterizzata dalla diversa capacità di gestione delle palle break: 5 occasioni per Sharapova, tutte convertite; 14 palle break per Kvitova, ma con appena 3 conversioni. Nemmeno l’essere stata in vantaggio di un break nel terzo set era bastato per vincere. Risultato: 6-2, 3-6, 6-4 per Masha. Come contro Li Na a Sydney, quel giorno Petra aveva giocato con troppa pressione, consapevole che quella partita avrebbe significato la conquista del primato in classifica, un traguardo che segna una carriera.

E anche se Kvitova non è mai entrata nel dettaglio di quel match, lo ha ricordato in diverse interviste come la sua peggiore sconfitta. Nella finale 2012 Azarenka vinse in scioltezza il suo primo Major (6-3, 6-0 a Sharapova) e poi avrebbe disputato una primavera fenomenale, a colpi di vittorie in serie che avrebbero reso definitivamente fuori portata il primato nel ranking per tutte le altre. Per Kvitova la leadership del movimento era ormai svanita.

Ecco perché quanto successo a Melbourne 2019 sembra un crudele déjà vu. Per come oggi è costruita la classifica di Petra (con i punti in scadenza di S. Pietroburgo e Doha), le possibilità di aspirare al numero 1 sono ridottissime, e dunque la delusione è stata doppia. Un aspetto che va tenuto presente per capire più a fondo le sue parole nella conferenza stampa di sabato scorso, quando ha confessato che le ci vorrà un po’ di tempo per assorbire la sconfitta contro Osaka.

Ma naturalmente sarebbe sbagliato dipingere l’avventura australiana 2019 di Petra solo a tinte fosche. Al di là della delusione in finale, rimane comunque il dato complessivo della vittoria a Sydney, e soprattutto del ritorno ad alti livelli nello Slam.
Un Australian Open che, a conti fatti, ha offerto un notevole squilibrio tra la parte alta del tabellone (quella di Osaka) e quella bassa (di Kvitova): mentre nella parte alta si succedevano partite di altissima qualità, in quella bassa le principali favorite si sono perse per strada, lasciando spazio a qualcosa di simile a uno one-woman show, che ha visto proprio Kvitova protagonista. Per arrivare in finale da testa di serie numero 8, Petra ha infatti affrontato una sola avversaria fra le prime 30 del mondo, Ashleigh Barty (numero 15); per il resto non ha dovuto fare altro che regolare giocatrici fuori dalle teste di serie; certo, lo ha fatto con grande autorevolezza, ma senza quasi poter dimostrare fino a che punto fosse in grado di giocare bene.

In più vanno considerate le questioni ambientali. È noto quanto Kvitova soffra le alte temperature, al punto che in certi giorni rischia di perdere più  per la difficoltà a esprimersi con il grande caldo che per la forza dell’avversaria. Un problema che però in questi Australian Open ha evitato per due circostanze fortunate e difficilmente ripetibili.
La prima: essendo arrivata in extremis a Melbourne dopo la vittoria di Sydney, ed essendo stata sorteggiata nella parte di tabellone che scendeva in campo per prima, è stata comprensibilmente tutelata dagli organizzatori, che l’hanno programmata il più tardi possibile (lunedì sera); e da allora ha giocato sempre a fine giornata (ad eccezione del match contro Anisimova), con temperature meno aggressive.

E quando invece, in semifinale contro Collins, era arrivato il momento della verità, con la partita fissata alle due del pomeriggio e oltre 35 gradi da affrontare, paradossalmente è stato proprio il caldo eccessivo a salvarla: sono subentrate le regole che prevedono la chiusura del tetto per salvaguardare la salute delle giocatrici. Quale differenza di rendimento ci sia tra la “Kvitova outdoor sotto il sole cocente” e la “Kvitova indoor”, lo abbiamo potuto sperimentare in modo semplice e diretto. Inclusa Danielle Collins, che dopo aver fatto partita pari con il tetto aperto (4-4), ha resistito ancora qualche game nelle fasi di aggiustamento alle nuove condizioni, ma poi nulla ha potuto una volta che Petra si è messa in carreggiata (7-6(2), 6-0).
Dunque sei match vinti senza perdere un set. E così, per capire fino a che livello Kvitova potesse giocare bene si è dovuta aspettare la finale contro Naomi Osaka, in un confronto inedito (non c’erano precedenti) che non ha deluso le aspettative.

a pagina 2: Naomi Osaka verso la finale: da Hsieh a Svitolina

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US Open: Trevisan vince una sfida di nervi interminabile contro Putintseva e si trascina al secondo turno, Giorgi dominata da Pegula

I crampi non fermano Martina Trevisan che in 3 ore e 20 minuti di gioco conquista il primo turno degli US Open. Camila raccoglie 4 giochi contro la N.3 del seeding

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M. Trevisan b. Y. Putintseva 0-6 7-6(0) 7-6(8)

Martina Trevisan vince il primo turno degli US Open contro Yulia Putintseva in 3 ore e 20 minuti al tiebreak del terzo set: 0-6 7-6(0) 7-6(8).

Quante volte può cambiare una partita di tennis non smetteremo mai di chiedercelo. Quella di oggi, tra Martina Trevisan e Yulia Putintseva è stata l’ennesima dimostrazione che niente può essere prevedibile, tanto meno sui campi di Flashing Meadows. C’era stato un solo precedente tra le due giocatrici, al torneo di Abu Dhabi 2021, dove la kazaka aveva vinto con un doppio 6-3. Difficile quindi dire, a inizio partita, chi fosse la favorita tra due giocatrici separate solo da 20 posizioni in classifica e 1 anno di età. L’azzurra di 29 anni, numero 58 del mondo, è partita malissimo. Demoralizzata, nervosa e notevolmente fallosa. Il primo parziale si è concluso con 24 punti a favore della kazaka numero 78 del ranking, contro i soli 5 punti di Trevisan e nient’altro da aggiungere. Ma nel secondo parziale è entrata in campo la lottatrice che conosciamo ed è iniziata un’altra partita. La giocatrice toscana ha iniziato a mettere in gioco dei cambi di ritmo, alternando colpi in cui respirare a sfiammate di dritto imprendibili. Non a caso per due volte nel set è stata avanti di due game. E nonostante la kazaka sia riuscita a recuperarla entrambe le volte, Trevisan, con le idee decisamente più chiare è arrivata a prendersi un tie-break vinto a 0. Ma nonostante i precedenti 7 punti consecutivi dell’azzurra e il recupero di un set, Putintseva è rimasta lucida nel terzo parziale, dove gli errori sono aumentati da entrambe le parti. A metà del terzo set la partita sembrava di nuovo finita: Trevisan ha iniziato a non reggersi più in piedi per via dei crampi, e il match, dopo il turno di servizio perso a 0 dell’azzurra, sembrava scritto. Ma proprio in quel momento la partita è cambiata ancora. Trevisan ha iniziato a correre di nuovo, trovando l’energia chissà dove, e da sotto 4-2 è riuscita a rimontare 4 giochi pari. Da lì è stata una lotta punto dopo punto, scambi perfetti seguiti da errori non forzati sul finale di scambi strazianti. La partita non ha preso una direzione precisa fino alla fine del tiebreak decisivo dove con soli due punti di distanza, la giocatrice Toscana ha chiuso 10 punti a 8 mettendo a segni i due punti più belli dell’intero match. Al secondo turno l’aspetta la testa di serie numero 9, Marketa Vondrousova.

 

IL MATCH

Primo set: Dominio totale di Putintseva e prestazione inesistente di Trevisan

Trevisan inizia al servizio e si ritrova subito costretta a salvare tre palle break. Annulla la prima con uno schema servizio e dritto vincente. Ma Putintseva risponde aggressiva sul secondo servizio e segue con una palla corta insidiosa che costringe Trevisan a rispondere male, buttando largamente fuori la palla. Il primo vantaggio è della Kazaka: 1-0.  Inizia la serie infinita di errori gravi da parte di Trevisan che nei primi due game porta a casa un punto soltanto: 2 a 0 Putintseva. Anche nel terzo gioco l’azzurra si ritrova in svantaggio e la kazaka continua ad avere le idee molto più chiare. Grazie ad un dropshot sotto rete e un passante preciso Putintseva si aggiudica anche il terzo game: 3-0. Completamente fuori dalla partita, Trevisan lascia poco spazio alle parole e concede anche il 4 gioco alla kazaka. Prende anche il triplo break a sfavore e si ritrova sotto 5 game a 0 con 21 punti a 4 a favore di Putintseva. Proprio sul finale, Trevisan sembra risvegliarsi, annulla molto bene i primi due set point risalendo da sotto 40-0 a 40-30. Ma Putintseva sfrutta la terza chance per chiudere il primo parziale totalmente dominato.   

Secondo set: La rivincita di Trevisan premiata da un tie-break perfetto, agevolato dagli errori di Putintseva

 Per la prima volta dall’inizio del match Trevisan prende tre punti di vantaggio consecutivi nel primo game e tiene a 0 il turno di servizio:1 a 0. Entra finalmente in campo un’altra giocatrice italiana che va a prendersi le prime due palle break del match per chiudere avanti 2-0. Nel terzo gioco ritornano gli errori non forzati dell’azzurra e Putintseva si riprende il game di svantaggio. La kazaka regala qualcosa a Trevisan nel quarto gioco trascinandosi fino ai vantaggi. Putintseva inizia ad avere le idee più confuse ma l’italiana è ancora troppo fallosa e non sfrutta le occasioni fino in fondo: 2 giochi pari. Arriva un altro calo di Trevisan al servizio che regala alla kazaka tre palle break consecutive. Ma l’italiana riesce ad arrampicarsi con le unghie fino a vantaggi per poi chiudere un game complicatissimo: 3-2. Con quel carico di fiducia, Trevisan strappa il servizio all’avversaria per ritornare sopra 4-2. Ottima reazione della kazaka che dimostra di essere ancora nettamente in partita e va a prendersi subito due occasioni per chiudere il game sul servizio di Trevisan: 4-3. Nell’ottavo gioco arriva lo scambio più lungo del match dove Trevisan non vuole mollare, ma è lei la prima a sbagliare: 4 pari. L’azzurra non si fa demoralizzare dalla seconda rimonta del set di Putintseva e tiene dignitosamente il turno di servizio per restare avanti 5-4. Per sei volte, Trevisan si ritrova a due punti dal set ma la kazaka non molla la presa e con un lob imprendibile conquista il decimo e più lungo game del match: 5 pari. Dopo tanta fatica, Trevisan gioca due brutti punti e Putintseva vede uno spiraglio dove attaccare di prepotenza. Con coraggio, Trevisan annulla tre palle break, di cui due consecutive, per guadagnarsi la prima chance di 6-5. E grazie al servizio si tira fuori da un fosso profondo. La kazaka tiene bene il turno di servizio successivo che la porta al tiebreak decisivo.

 Tiebreak: Inizia con un vincente di dritto Trevisan e tiene il turno di servizio: 1-0. L’italiana fa correre in avanti la kazaka due volte di fila con due drop-shot efficaci e conquista due mini-break consecutivi: 3-0. Continua il tiebreak perfetto di Trevisan che tiene il servizio e avanza: 5 a 0. Putintseva ormai sembra senza idee, sbaglia di rovescio e concede un altro punto importante: 6-0. E dopo un ‘ora e 45 minuti, Trevisan vince il tiebreak senza concedere neanche un punto.

Terzo set: Una sfida di nervi interminabile dove non c’è spazio per nessun vantaggio netto, ma il tiebreak decisivo lo vince Trevisan

Ora la partita sembra davvero essere girata: Trevisan attacca fin dal primo punto e come nel secondo parziale parte in vantaggio: 2-0. Nel quarto game, l’italiana avanti 2-1 commette un doppio fallo e perde il turno di servizio a 0. Putintsova rientra nel terzo set: 2 pari. Insiste con la palla corta la kazaka, Trevisan corre ma inizia a far fatica a stare in piedi per i crampi dopo quasi 2 ore e mezza di gioco. Si arrende a Putintseva che chiude il terzo game di fila e va in vantaggio: 3-2. L’azzurra può finalmente chiamare il fisioterapista anche se sa bene che per i crampi non può farsi trattare. Torna a servire Trevisan, ma senza forze, e regala di nuovo a 0 il suo turno di servizio alla kazaka che ora conduce 4-2. Difficile immaginare che la numero 58 del mondo possa rientrare in partita. Ma questo match è totalmente imprevedibile: l’azzurra ricomincia a correre e recupera con grande personalità il break di svantaggio: 4-3 Putintseva. Continua a muoversi meglio Trevisan che riesce a guadagnarsi due chance del 4 pari. Il primo dritto finisce in corridoio, ma il secondo prende un angolo maledetto e la 29enne toscana resta aggrappata: 4 pari. Putintseva sale nuovamente in cattedra con un rovescio incrociato perfetto: 5-4 per la kazaka. Il decimo game è il momento più importante fino a qui per l’italiana che è costretta a tenere un turno di servizio determinante ai vantaggi. Trevisan tiene la battuta: 5 giochi pari e quasi 3 ore di gioco. Da quel momento in avanti inizia una lotta infinita, straziante: parità e vantaggi; break e contro-break. L’ultima parola va al tie-break decisivo.

Tiebreak: Trevisan parte di nuovo bene anche nel secondo tiebreak del match e si prende il vantaggio avanti 2-0. Chiude con un schiaffo al volo la kazaka che si prende il primo punto dei due tiebreak giocati: 3-1 per la toscana. Con un dritto scarico a metà rete e un doppio fallo Trevisan deve ricominciare da capo: 3 pari. Senza mini-break di vantaggio Trevisan va a servire sotto 5-4. Chiude di rovescio lungolinea il primo punto ma la volée successiva la tradisce: 6-5 per la kazaka che le restituisce in fretta il favore con una pallonetto fuori dalla riga di fondo: 6 pari. Doppio fallo di Putintseva: 7-6. Ma finalmente, da sotto 7-8, la giocatrice toscana si aggiudica due punti consecutivi uno più bello dell’altro che le regalano il primo match-point di questa sfida. Senza forze, quasi in lacrime, Martina Trevisan si aggiudica il secondo turno degli US Open in 3 ore e venti minuti.


[3] J. Pegula b. C. Giorgi 6-2 6-2 (Federico Martegani)

Si sapeva che sarebbe stata dura per Camila Giorgi, che non aveva certo goduto di un sorteggio fortunato pescando al primo turno la testa di serie n° 3, nonché n° 3 del mondo, Jessica Pegula, e il pronostico è stato in tutto e per tutto rispettato, con un punteggio, 6-2 6-2 in un’ora e 24 minuti, forse anche troppo severo per quanto visto sul campo. Fatto sta che era l’undicesima volta che le due si affrontavano e solo in due circostanze l’italiana aveva avuto la meglio. Chiaro segnale che la solidità dell’americana, per di più sospinta dal pubblico ovviamente di parte, è per la marchigiana quasi sempre inscalfibile.

Giorgi ha mostrato un buon tennis soprattutto verso la metà di entrambi i parziali, ma è andata sotto troppo presto di un break sia nel primo che nel secondo, non riuscendo poi a rimontare. Il game chiave è forse stato proprio quello che ha offerto l’allungo decisivo a Pegula, avvenuto sul 2-2 del secondo set. Un gioco in cui Camila ha avuto cinque palle per rimanere con il naso avanti, ma che alla fine le è costato il break, decisivo per spezzare anche quei pochi appigli rimasti. Pegula avanza dunque al secondo turno e dovrà ora affrontare, in ogni caso da netta favorita, o Patricia Maria Tig o Rebecca Marino.

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US Open, Pegula: “Accordo tra WTA e Arabia Saudita? Se ci pagano abbastanza…”

Jessica Pegula parla anche del rapporto straordinario con Gauff: “Coco favorita, io vivrò alla giornata”

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Jessica Pegula - Montreal 2023 (foto Twitter @OBNmontreal)

C’è grande fermento e attesa negli Stati Uniti per l’edizione 2023 dell’US Open. In campo femminile le speranze sono riposte in Coco Gauff e Jessica Pegula. Le due sono pronte a riportare la propria nazione sul gradino più alto, spolverando i grandi fasti delle sorelle Williams. Gauff e Pegula sono state protagoniste nella stagione sul cemento che ha condotto le atleti all’ultimo Slam dell’anno: “Sono molto felice di essere qui – spiega Jessica – da americana poi si sente una responsabilità differente”.

La n. 3 del mondo debutterà contro Camila Giorgi lunedì 28 agosto e ha motivato la presenza di Ace, il cane che fa parte del suo team: “Esce sempre con me! Sto raccogliendo fondi anche per la fondazione di Elina (Svitolina) ed è molto divertente farlo. Mercoledì sera abbiamo contribuito a questa causa facendo un bel match di esibizione. Mi è servito per respirare l’aria pre torneo alla presenza di tanti tifosi. Mi sono adoperata anche per l’evento promosso dalla WTA. È stato davvero carino”.

Che effetto le fa arrivare all’US Open da atleta n. 3 del ranking: “Anche l’anno scorso ero in una posizione simile e so cosa si prova. Quest’anno sarà molto più impegnativo. In generale mi sento come se rappresentassi il tennis americano”. Pegula ha anche parlato del suo splendido rapporto con Coco Gauff: “La sconfitta subita a Wimbledon l’ha spinta a migliorare. E’ venuta fuori molto affamata da una situazione negativa ed è bello vedere che una tennista così giovane abbia già vinto tanto. Ho giocato a Montreal contro di lei, io poi ho vinto con Iga e lei ha fatto la stesa cosa a Cincinnati. Ha detto che la mia vittoria l’ha spronata a far bene. Succede spesso che le vittorie delle tue amiche o colleghe ti siano da stimolo, ti aiutano ad avere più fiducia. Sono felice che anche lei abbia acquisito sicurezza da quella settimana e sia riuscita a portarla a Cincinnati. Penso che sia davvero in fiducia. Quando un giocatore è in questo stato è più difficile da battere. So che adora giocare con il pubblico. Penso che ci siano molti favoriti, ma il pubblico potrebbe aiutarla molto. Sono felice che stia migliorando e imparando. Lei è il futuro di questo sport, quindi… è bello da vedere”.

 

Come membro del consiglio dei giocatori, come Pegula giudica l’impatto dell’Arabia Saudita sul tennis e sulla WTA che sta per stilare un accordo con i sauditi? “Parliamo di voci e non so se accadrà. Bisogna valutare i pro e i contro: di positivo c’è che entreranno più soldi nel nostro sport al femminile e lavoreremo per i diritti delle donne in Arabia Saudita per sperare in un cambiamento e sostenere le giuste cause. Se riusciamo a cambiare quei popoli sarebbe un grande successo. Sfortunatamente, molti posti non pagano abbastanza le donne e purtroppo non possiamo permetterci il lusso di dire no ad alcune cose. Credo che se i soldi fossero giusti e l’accordo fosse qualcosa per cui possiamo creare un cambiamento, andrebbe bene giocare là. Vediamo come andrà a finire”. Ma i soldi arabi hanno un attivo profumo, a sentire il direttore Scanagatta.

Ma come sta Pegula? “Non mi sento più in fiducia delle altre volte, a dire il vero. Ancora una volta, il tennis è così e cambiam di settimana in settimana. Ho vinto a Montreal, poi sono stata sconfitta e ho perso a Cincinnati. In un certo senso sono tornata al punto di partenza nell’analizzare le cose su cui lavorare. Prendo questo Slam come un’ulteriore sfida con me stessa”.

Per l’americana c’è il taboo semifinale e finale in uno Slam da abbattere. Sei quarti di finale negli ultimi suoi otto Major: “Mi manca solo vincere i quarti di finale (sorride). Questo mi aiuterebbe a superare i quarti di finale e arrivare in semifinale. Ci sono andata molto vicina a Wimbledon. Non so cos’altro dire. Cercherò sempre di vincere ogni singola partita, non importa in quale round sia. Il mio “must” è pensare una gara alla volta: penso che questo sia il modo migliore per giocare senza troppa pressione, affrontando una partita alla volta. Saranno due settimane lunghe. Ogni giorno mi sentirò diversa. Probabilmente ci saranno delle sfide mentali e fisiche da combattere o non mi sentirò al top. Dovrò vivere giorno dopo giorno”.

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Martina Navratilova sulle atlete trans: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti”

L’ex campionessa statunitense torna nel mirino dei social: il commento sulle atlete trans che stona con la sua veste di icona Lgbtq+

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Martina Navratilova contro le atlete trans: un paradosso che sa di reazionarismo. L’ex campionessa di tennis e icona Lgbtq+ nel panorama sportivo mondiale, tuona sulla questione legata alla presenza di atlete trans nei tornei per donne over 55 organizzati dall’USTA (United States Tennis Association) la Federazione tennis a stelle e strisce. Prima atleta professionista a fare coming out nel 1981, la tennista ceca (naturalizzata statunitense) si butta a capofitto nel mezzo di una discussione su Twitter riguardante, nello specifico, la vittoria di una tennista nata uomo, Alicia Rowley che ora partecipa ad eventi per donne dopo il periodo di transizione: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti” commenta Navratilova.

E continua ribadendo: “Hey, Usta: il tennis femminile non è per atleti maschi falliti, qualunque sia l’età. Questo sarà consentito allo US Open di questo mese? Solo con un documento d’identità? Non credo. […] È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire? È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport“.

Per quanto sorprendente, la posizione presa da Navratilova non è tuttavia una completa novità: nel 2019 era stata espulsa da un’associazione che combatte battaglie in sostegno di atleti omosessuali, l’Athlete Ally, accusata di transfobia per aver pronunciato le seguenti parole (riportate dal Sunday Times): “È sicuramente ingiusto per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei”. A distanza di quattro anni, nulla è cambiato. Almeno per lei.

 

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