Osaka e Kvitova: l'Australian Open delle attaccanti - Pagina 4 di 4

Al femminile

Osaka e Kvitova: l’Australian Open delle attaccanti

A Melbourne è andata in scena una eccezionale edizione dello Slam, che ha offerto diverse partite memorabili

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Naomi Osaka e Petra Kvitova - Australian Open 2019
 

La finale: Osaka contro Kvitova
E così si è arrivati alla finale tra Osaka e Kvitova. Una partita che non assegnava solo il titolo dello Slam, ma anche quello di numero 1 del mondo. Un match ricco di incognite per entrambe, visto che mai si erano affrontate prima in carriera. Alcuni temi del confronto si potevano immaginare, ma rimaneva da capire su quale aspetto si sarebbe spezzato l’equilibrio.
Al servizio? Si sapeva che Naomi ha una prima più potente (15-20 km/h di differenza), ma Kvitova ha una seconda più consistente e leggermente più rapida. E poi questi erano dati medi: al dunque sarebbe contata la tenuta mentale, e la capacità di mantenere il proprio livello anche in una giornata tanto importante. Chi, per esempio, sarebbe stata più spesso in grado di servire la prima nei frangenti decisivi del match? Nel torneo sotto questo aspetto Osaka aveva fatto leggermente meglio, ma certezze non si potevano avere. E poi rimaneva tutta da scoprire l’efficacia in risposta, visto che mancava la conoscenza diretta per interpretare il gesto dell’avversaria.

Alla vigilia erano stati intervistati i due coach (Bajin e Vanek) e l’unico a sbilanciarsi un po’ era stato Bajin quando aveva detto che riteneva le protagoniste ugualmente pericolose nei primi due-tre colpi, ma che confidava in Naomi una volta entrati nello scambio.

Bajin aveva detto proprio così “i primi due-tre colpi”. E invece, alla prova dei fatti, direi che la previsione di Bajin è stata smentita: penso che a fare la differenza sia stato soprattutto il terzo colpo. Cioè il cosiddetto colpo in uscita dal servizio. Ecco, in questo Osaka mi è apparsa chiaramente superiore. Dato che entrambe provavano a rispondere molto aggressivamente, mi ha stupito la capacità di Naomi di ritrovare molto più rapidamente l’assetto dopo la battuta, organizzando il terzo colpo con una incisività e una percentuale di riuscita superiore a quello di Petra. Fase fondamentale di assestamento per gli sviluppi successivi del gioco.

Questo è un aspetto di Osaka che non ricordavo nello scorso anno. Forse non me ne ero reso conto, o forse è qualcosa di nuovo. Tanto che mi viene da dire che, se nel periodo di preparazione 2017-18 il progresso fisico principiale si era notato nella resistenza e nella mobilità laterale, per questa nuova stagione l’ulteriore miglioramento atletico di Osaka sta proprio nella rapidità di coordinazione: una dote che le ha permesso di non perdere di aggressività anche in situazioni di scambio molto complicate. A soli 21 anni ci sono ancora margini di progresso nell’affinamento atletico, ma già oggi Naomi è una giocatrice alta (1,80), potente, ma anche sempre più rapida e agile. Ed è chiaro che se si riescono a possedere tutte queste qualità contemporaneamente ci si ritrova nell’eccellenza del tennis mondiale.

La partita è durata due ore e 27 minuti, e malgrado i tre match point avuti da Osaka sul 7-6, 5-3 0-40 servizio Kvitova, è occorso il terzo set per decidere la vincitrice, dato che Petra ha reagito da campionessa ribaltando le sorti del secondo set. Ma, come già nella semifinale contro Pliskova, Osaka ha saputo riprendersi dalla delusione vincendo il terzo, grazie a un solo break e senza mai cedere la propria battuta.

Segno di una grande capacità di tenuta nervosa, al di là degli sbandamenti temporanei, di cui uno particolarmente pericoloso: dal 7-6, 5-5, 40 pari, Petra ha vinto undici punti consecutivamente: è salita 6-5, ha strappato a zero la battuta a Naomi, vincendo così 7-5 il secondo set; poi ha tenuto a zero il proprio turno di apertura nel secondo set, e conquistato lo 0-15 sul primo turno di battuta di Osaka.
Ecco, più che le palle break mancate nel primo set, penso che sia stato in questo frangente che, forse, Kvitova avrebbe potuto far girare le sorti della partita. Ma la serie si è interrotta proprio grazie a un terzo colpo fenomenale di Osaka: in uscita dal servizio su una risposta profonda tra i piedi, Naomi si è inventata un rovescio anomalo (eseguito con il ginocchio sinistro a terra) che ha pizzicato la riga laterale: un vincente diretto, ricavato in una situazione difficilissima, che ha fermato l’emorragia e le ha permesso di recuperare l’equilibrio tecnico e nervoso necessario per aggiudicarsi il terzo set. Ecco il colpo in questione:

Naomi Osaka – Australian Open 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

Naomi e Petra ci hanno offerto una partita memorabile, da attaccanti di eccezionale qualità; un match in cui Kvitova ha dimostrato di essere una degna finalista, al di là del percorso favorevole avuto nei turni precedenti; ma soprattutto un match che ha messo in luce l’enorme potenziale di Osaka, una giocatrice che ha ancora alcune aree di gioco ampiamente migliorabili, ma che con quello che sa fare oggi è già in grado di stare in cima al mondo.
Perché se è vero che c’è ancora spazio per crescere in tutti gli aspetti legati alla verticalizzazione dello scambio (palle corte e colpi di volo, in cui Kvitova è stata chiaramente superiore), la attuale Osaka ha la eccezionale capacità di far sembrare quasi normali colpi al rimbalzo di difficoltà massima. Nelle ultime finali Slam ha sconfitto le due giocatrici ritenute in grado di offrire il tennis più dominante del circuito attuale, Serena Williams e Petra Kvitova; e lo ha fatto tenendo testa alla loro potenza. Anzi: ha messo in campo la stessa pesantezza di palla, ma con un numero più basso di errori non forzati. E servito prime di maggiore incisività.

Sul piano mentale dopo la prestazione “zen” della finale di New York, nella quale era stata capace di non perdere la calma in uno stadio diventato una bolgia infernale, a Melbourne è apparsa più umana e vulnerabile, ma a conti fatti ha comunque saputo essere forte quando contava di più, cioè nel terzo e decisivo set. A 21 anni ha vinto “appena” tre tornei, ma di peso specifico massimo: Indian Wells, US Open e Australian Open. In pratica i tre più importanti eventi che si tengono sul cemento outdoor.

Ora tutti si chiedono cosa saprà fare in futuro. Come si adatterà alle superfici meno congeniali, cioè terra ed erba? Quanto saprà resistere alla pressione e alle aspettative? Il suo coach ha, fin dall’inizio, sempre sostenuto che Naomi è una grande lavoratrice, con un costante desiderio di migliorare. A questo mi sento di aggiungere un paio di impressioni ricavate dalle ultime conferenze stampa.

La prima: a Naomi piace il tennis, e lo si capisce dalla risposta che ha dato quando le è stato chiesto se tra una partita e l’altra aveva bisogno di staccare e di pensare ad altro. Ha replicato: “Quando è il momento dello Slam a me piace guardare tutte le partite, quindi terrò acceso il televisore e continuerò a passare da un canale all’altro. Non devo necessariamente staccare la spina dal tennis”. A me sembra proprio la risposta di qualcuno che ha la passione per il proprio sport. E questo è un notevole vantaggio: si dice che una delle più grandi fortune della vita sia poter fare una professione che piace, perché i sacrifici che quella professione richiede non si percepiscono come tali. E solo una appassionata di tennis si mette a fare zapping tra un campo e l’altro per seguire i match dello Slam.

La seconda: Naomi sembra non avere problemi di sazietà. Nella conferenza stampa successiva alla finale di Melbourne, ha detto: “Per me, l’obiettivo è sempre vincere i tornei. A partire dal prossimo che gioco. Ad esempio, giocherò di nuovo a Indian Wells. Di conseguenza mi piacerebbe rivincerlo. E poi c’è Miami: spero di vincere anche lì. Chi vince Indian Wells e Miami (back-to-back), di solito fa parte dei migliori giocatori del mondo. Questo sarebbe il mio prossimo obiettivo. Sì, mi sento come se stessi andando con il flusso. È stato il mio motto per tutta la vita, quindi…“

Naomi ha sempre la capacità di porgersi con leggerezza, ma la sostanza delle intenzioni è inequivocabile. Che il giorno stesso della vittoria nel secondo Slam arrivi a pensare a un obiettivo a breve termine così concreto ma anche tanto arduo, mi pare indicativo del suo modo di ragionare. Confermato dal desiderio di conquistare uno Slam subito dopo avere vinto il primo. Una mentalità piuttosto preoccupante per le avversarie…

Alla luce di tutto questo, oggi assume un valore diverso perfino una sua battuta scherzosa fatta agli Australian Open 2016, quando aveva citato la sigla del cartone animato dei Pokemon. Una battuta che avevo riportato nel primo articolo che le avevo dedicato tre anni fa, dopo che era riuscita per la prima volta a entrare fra le prime 50 del mondo. Allora le era stato chiesto quali erano i suoi obiettivi futuri. E lei aveva risposto con ironia, citando appunto la sigla dei Pokemon. Quali erano le parole della sigla? “Voglio essere la migliore, come nessuna lo è mai stata prima”.

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