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Al femminile

Azarenka è tornata?

Dopo alcune stagioni piene di difficoltà, in Messico Vika è stata di nuovo protagonista di un torneo sino all’ultimo match

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Victoria Azarenka - Monterrey 2019 (foto via Facebook, @AbiertoGNPSeguros)
 

Il recupero definitivo è iniziato? È difficile rispondere, e per il futuro mi sembra emergano sia pro che contro. Cominciamo dai punti negativi. Primo punto: purtroppo, ancora una volta, a Monterrey Azarenka non è riuscita ad arrivare in fondo al torneo senza dare segni di fragilità. Dopo l’ottima prestazione in semifinale, 2 ore e 13 minuti di lotta con netto dominio conclusivo (6-4, 4-6, 6-1), il suo fisico è durato circa mezz’ora in finale contro Garbiñe Muguruza, prima di arrendersi per un problema al polpaccio (6-1, 3-1 ritiro). Di fatto privandoci di un confronto che aveva avuto un solo precedente, ma di qualità altissima, tanto che tre anni fa avevo messo il loro match (concluso 7-6, 7-6 per Azarenka) in cima ai più memorabili della stagione 2016.

Secondo aspetto non positivo per Vika: è finita la stagione del cemento, e comincia quella della terra rossa. A livello WTA Azarenka ha vinto un solo torneo su terra: nel 2011 a Marbella superando la allora numero 138 del ranking Irina Camelia Begu. In carriera ha raggiunto altre sei finali su terra, ma tutte perse. Ma forse il dato più significativo è che non arriva più alla partita conclusiva di un torneo sul rosso dal 2013, quando fu sconfitta a Roma da Serena Williams. Per la Azarenka in recupero tecnico e anche morale di Monterrey sarebbe stato importante potersi misurare ancora sul duro, alla ricerca di continuità di rendimento, ma il calendario non offre più occasioni

Terzo tema, questa volta a favore: la qualità di gioco espressa la scorsa settimana. Che è in fondo anche il motivo per cui ho deciso di scrivere l’articolo. Finalmente in Messico abbiamo rivisto frangenti della vera Azarenka, la giocatrice capace di dare filo da torcere a chiunque, perché in possesso di un tennis molto equilibrato, vincente contro qualsiasi tipo di avversaria. In grado di disinnescare le bombardiere per la qualità alla risposta (ai vertici assoluti del circuito) e in generale nel gioco di contenimento; ma in grado anche di avere la meglio sulle regolariste per la capacità di resistere senza problemi nello scambio lungo, e poi di chiudere con un vincente quando si presenta l’occasione.

Infine, oltre agli aspetti fisici e tecnici, rimarranno da scoprire gli aspetti mentali. Di natura diversa. Come detto, fin da Wimbledon 2017 era emersa una certa difficoltà ad affrontare i punti più importanti e i game decisivi dei match. La Azarenka degli anni migliori era una giocatrice dal carattere forte, che difficilmente si faceva prendere dal braccino. Tanto che a volte veniva accusata di essere perfino troppo spavalda in campo. Quella Vika così sicura non la vediamo più dal 2016; difficile dire se la sicurezza e il coraggio siano andati persi per mancanza di risultati o viceversa; ma di certo sotto questo aspetto ci sono ancora molti margini di miglioramento.

E poi c’è un aspetto psicologico ancora più generale, sul quale non possiamo avere certezze: la forza e la profondità delle sue motivazioni rispetto alla professione. Perché il tennis è uno sport individuale, che non permette di bluffare: per vincere bisogna dimostrarsi più forti delle avversarie. Ogni giorno, in ogni match. E per farlo occorre giocare bene, e anche allenarsi bene. Non ci sono alternative né scorciatoie.

Stiamo parlando di una donna di quasi trent’anni, con un figlio nato da poco e che in carriera ha guadagnato di soli montepremi 30 milioni di dollari (29,508,512 secondo le indicazioni WTA). Insomma, potrebbe anche avere qualche buona ragione per decidere di smettere. Azarenka non è più nella condizione vissuta da teenager: allora per affermarsi era stata disposta ad abbandonare la famiglia in Bielorussia e trasferirsi da sola negli Stati Uniti. Era stata ospitata in Arizona, a Scottsdale, da Nikolai Khabibulin, giocatore di hockey professionista, che l’aveva conosciuta perché anche sua figlia giocava a tennis. Dopo aver scambiato qualche palla con Vika, aveva deciso di sostenerla (economicamente e logisticamente) in prima persona, dato che la famiglia di Azarenka non se lo poteva permettere.

Khabibulin aveva spiegato cosa l’aveva convinto: “Lei aveva 14 anni, e io faticavo a reggere il suo palleggio. Non sono un vero esperto di tennis, ma quando giocava si poteva vedere il fuoco nei suoi occhi. In lei c’era il desiderio profondo di migliorare“ (“She was hungry, very hungry, to get better”).

Che il tennis sia ancora fonte di forti emozioni per Azarenka lo abbiamo capito dal suo discorso durante la premiazione a Monterrey, pronunciato con le lacrime agli occhi. Ma la concorrenza è molto agguerrita, ancor più negli ultimi tempi in cui una nuova leva di giovani sta affermandosi. Per questo penso che, se il fisico reggerà, molto dipenderà da quanto di quella “fame” è ancora rimasta in Vika. Una fame necessaria per trovare la forza di risalire e tornare ai vertici: di certo una impresa non semplice, ma forse nemmeno del tutto impossibile.

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