Federer rincorre Connors, Barty dritta alla meta

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Federer rincorre Connors, Barty dritta alla meta

Roger a sette titoli di distanza da ‘Jimbo’, Ashleigh numero 1 di costanza. Si rivedono Goffin e Goerges, il doppio trionfo di Feliciano Lopez. Tutti i numeri della settimana

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Roger Federer - Madrid 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

3 le vittorie ottenute da Gilles Simon nelle ultime ventotto volte che aveva affrontato un tennista tra i primi 10 del ranking ATP. Il francese classe 84 la scorsa settimana ha parzialmente migliorato tale score superando, col punteggio di 6-1 4-6 6-4, al secondo turno del Queen’s Kevin Anderson. L’ex top ten (lo è stato per quasi un anno) e top 20 (ha terminato ben sei stagioni in tale zona di classifica) sebbene reduce da appena tre vittorie negli ultimi sei tornei giocati e da una tradizione piuttosto negativa al Queen’s (una semifinale nel 2015, ma anche tre eliminazioni al primo turno nelle cinque precedenti partecipazioni), ha confermato la sua peculiarità di giocatore capace di far bene su ogni superficie. Gilles, all’età di 34 anni, ha infatti sinora vinto quattordici titoli, divisi tra duro indoor (5), cemento all’aperto (4) e terra battuta (5).

Anche sull’erba – lui che è uno dei pochi tennisti ad aver sconfitto almeno un volta tutti i Fab 4 – aveva dimostrato di sapersela cavare (finale a Eastbourne 2013 e quarti a Wimbledon nel 2015, uno dei soli due raggiunti nei Major dal francese). Per raggiungere la finale al Queen’s – la terza più importante della carriera, dopo quelle al Masters 1000 di Madrid indoor 2008 e Shanghai 2014 e a pari merito con quella vinta ad Amburgo nel 2011 – l’ex numero 6 del mondo è dovuto stare in campo dieci ore e mezza complessive nei quattro match giocati, vinti tutti al terzo. Oltre ad Anderson, ha avuto la meglio su Ward (3-6 6-3 7-6, dopo essere stato dietro di un break nel terzo), Mahut (7-6 5-7 7-6) e Medvedev (6-7 6-4 6-3). In finale, una nuova lotta durata più di due ore e mezza gli è andata in questo caso male, garantendogli comunque il 25esimo posto nel ranking, miglior posizione occupata da più di due anni a questa parte.

6 le sconfitte rimediate da Ashleigh Barty contro tenniste oltre la 50esima posizione del ranking WTA, da febbraio 2017 a oggi. L’australiana poco più di due anni fa era rientrata nel circuito per la seconda parte della sua carriera – le prime partite ufficiali del rientro, dopo la pausa dall’attività iniziata a settembre 2014, risalgono a giugno 2016 – e in pochi mesi era stata capace, in seguito all’Australian Open 2017, di essere al 158esimo posto del ranking. Nessuno in quel periodo poteva immaginare riuscisse ad arrivare ad essere la 27esima numero 1 dell’Era Open, eppure Ashleigh ce l’ha fatta migliorando costantemente il suo tennis, che da subito valeva però ben più di quella mediocre classifica.

In questi ventotto mesi, contro tenniste non presenti nella top 50 del ranking WTA, perdeva a New York 2017 contro Stephens che avrebbe poi vinto il torneo e contro tre ex numero 1 come Azarenka, Serena e Osaka (le altre due giocatrici a non essere, al momento di averla battuta nella top 50, sono Mladenovic durante gli ultimi Internazionali d’Italia e Sakkari a Indian Wells 2018). Negli ultimi ventotto mesi non ha mai perso contro una tennista non presente nella top 100 – ad eccezione della già citata sconfitta contro Williams al Roland Garros 2018 – e anche contro giocatrici non tra le prime 20 vanta un’incredibile score complessivo di 94 vittorie e appena 12 sconfitte. Con tale continuità di rendimento era impossibile non scalare la classifica sino alla vetta, per il cui aggancio è stato fondamentale un 2019 nel quale è stata nettamente la più forte di tutte.

Unica del circuito a vincere nell’annata in corso tre tornei, tra l’altro su superfici diverse (Miami, Roland Garros e Birmingham) – mentre con Kvitova primeggia nel computo delle finali, ben quattro – ha vinto il maggior numero di partite, ben 36, staccando a 32 la seconda, Bencic. L’allungo finale che le ha consentito di fare nell’ultimo mese il grande balzo da numero 8 a 1 è davvero impressionante: Barty ha vinto le ultime dodici partite perdendo un solo set, il primo giocato contro Anisimova durante la semifinale di Parigi. Difficile trovare una maniera più legittima per prendersi la corona del circuito WTA.

16 la striscia consecutiva di tornei nei quali David Goffin non era riuscito a vincere tre partite di fila. Con questo pessimo score, iniziato dopo gli ultimi US Open, quando era ancora nella top 10, il classe ’90 belga si è presentato per la terza volta in carriera ad Halle. Dopo aver terminato in anticipo il 2018 nella prima tappa della trasferta asiatica a Shenzhen a causa di un infortunio al gomito destro, era rientrato con difficoltà nel circuito. Dopo la splendida finale raggiunta alle ATP Finals 2017, a dire il vero già la scorsa stagione era stata piuttosto deludente: nessun titolo, né tantomeno alcuna finale, ma solo quattro semi (di cui una a Cincinnati).

Il 2019 era iniziato con sofferenza: le due semifinali a Marsiglia e Estoril erano poco per ritrovare punti e fiducia, tanto che il belga a marzo a Phoenix (dove perdeva da Caruso) tornava a giocare un challenger dopo cinque anni. Ad Halle è arrivato da 41esimo giocatore nella Race e da 33 ATP (la posizione più bassa occupata da settembre 2014) su una superficie sulla quale aveva ottenuto appena una finale (‘s-Hertogenbosh 2015) e altri due soli quarti. La sua undicesima finale della carriera, persa lottando solo nel primo set contro Federer, l’ha raggiunta sconfiggendo un top 50 – Albot in ottavi (4-6 6-4 6-3) – due top 30 – Berrettini in semi (7-6 6-4) e Pella al primo turno (duplice 6-1) – e un top 5 – Zverev nei quarti(3-6 6-1 7-6). 

32 le partite vinte nel 2019 da Roger Federer. Ad eccezione del 2015, l’anno delle finali perse sempre contro Djokovic a Londra, New York e alle ATP Finals – quando si presentò ai Championships con 34 vittorie frutto dei titoli a Brisbane, Dubai, Istanbul e Halle e delle finali a Indian Wells e Roma (a differenza di questo 2019, non c’era però nessun Masters 1000 vinto) – era dal 2012 in poi che il campione svizzero non arrivava a Wimbledon con un numero maggiore di partite vinte. Un ottimo bottino, sebbene si sia molto lontani dal record di cinquantuno successi conquistati a metà giugno nel 2005 (quell’anno Roger aveva vinto in questo periodo già sette titoli tra Doha, Rotterdam, Dubai, Indian Wells, Miami, Amburgo e Halle). Tra l’altro Federer, anche quando non era ancora trentenne, e precisamente nel 2007 (da numero 1 del mondo) e nel 2010 (detronizzato solo dopo il Roland Garros dalla vetta del ranking) aveva vinto a metà giugno meno partite di quest’anno.

Nulla sorprende ormai più nei risultati del campione svizzero, ma se sulla qualità – intesa come capacità di vincere nei tornei importanti – dei suoi successi si poteva forse immaginare a inizio stagione che Roger avrebbe detto la sua, quel che davvero sorprende è come, a meno di un mese e mezzo dal suo trentottesimo compleanno, Federer riesca, superata la metà della stagione tennistica, a essere il secondo per numero di partite vinte. Se Tsitsipas con 34 successi è il tennista ad averne vinti di più (distribuite tra sedici tornei), solo Nadal eguaglia Federer a 32 (entrambi avendo però  giocato appena sette eventi nel 2019). Segue il nostro Berrettini con 31 (ma cinque successi sono arrivati a livello challenger, con la vittoria a Phoenix) e poi troviamo Djokovic, Medvedev e Auger-Aliassime a 28.

Ad Halle Federer ha sconfitto un solo top 20 (Bautista Agut) e altri due top 50 (Herbert in semi e Goffin in finale), ma vincere cinque incontri in sei giorni resta una grande impresa per un classe 81. La vittoria del Noventi Open è corrisposta al 10 titolo in Sassonia, il 19esimo sull’erba e al 102esimo in carriera. Roger resta ora staccato di soli sette titoli da Connors, primatista assoluto con 109 tornei vinti. Federer, per portare a casa gli ultimi sette trofei, ha impiegato un anno e mezzo: vista la longevità ad altissimi livelli dello svizzero, non è dunque impossibile il sorpasso allo statunitense, in quello che sarebbe l’ennesimo record da poter vantare.

45 la posizione nella race di Julia Georges la scorsa settimana. La semifinalista dello scorso Wimbledon, unico Slam nel quale in carriera sinora ha superato il terzo turno, nella top 10 sino a fine 2018, rischiava ormai di uscire anche dalle prime 20, fascia di classifica che occupa ininterrottamente da ottobre 2017. Colpa di un 2019 che, dopo la vittoria per la seconda volta consecutiva dell’International di Auckland (sesto complessivo della carriera), non l’aveva mai vista vincere tre partite di fila (e due vittorie consecutive erano arrivate solo a Doha). Reduce da tre vittorie negli ultimi otto tornei giocati, la trentenne tedesca ha parzialmente allontanato lo spettro della pesante cambiale di 780 punti in scadenza con i prossimi Championships.

Lo ha fatto grazie alla finale conquistata al Premier di Birmingham, al quale partecipava appena per la terza volta in carriera. Dopo aver rischiato al primo turno contro una top 40 come Yastremska (era sotto di un set e di un break prima di imporsi 3-6 6-4 6-3), aveva vinto facilmente le successive tre partite contro tre tenniste rispettivamente nella top 80, 50 e 30 come Rodina (6-4 6-3), Putintseva (6-3 6-2) e Martic (6-4 6-3). In finale, contro Barty – con la quale sempre a Birmingham la scorsa settimana è arrivata in doppio sino alla semifinale – ha ceduto il passo al grande momento della nuova numero 1 al mondo, dovendosi accontentare dei 305 punti riservati alla finalista del Nature Valley Classic.

100 la posizione nel ranking ATP di Stefano Travaglia. Un nuovo tennista italiano riesce a entrare per la prima volta nel tennis che conta, la zona di classifica che garantisce l’accesso diretto ai tabelloni principali degli Slam: il marchigiano lo fa a 27 anni e mezzo, già maturo dal punto di vista umano, ma ancora giovane tennisticamente. Nella settimana che celebra l’ingresso a 23 anni e due mesi – un record di precocità per il tennis maschile italiano – di Berrettini nella top 20 e che vede, come non accadeva da quattro decenni, un tennista azzurro tra i primi 10 e un altro tra i migliori 20. Travaglia ci riesce con una classifica costruita soprattutto con successi a livello Challenger, dove nelle ultime cinquantadue settimane vanta un titolo (a Francavilla, lo scorso aprile), una finale e altre quattro semi.

Nel circuito maggiore nello stesso periodo ha infatti vinto appena una partita (il primo turno agli Australian Open, superato sconfiggendo  Andreozzi). Proprio a livello ATP Travaglia ha ancora tanto da dover dimostrare: fattosi conoscere al grande pubblico sconfiggendo Fognini nel primo turno degli US Open 2017 tristemente noto per la squalifica per offese sessiste comminata al ligure, ha sinora vinto appena altre quattro partite a livello ATP e superato solo in nove occasioni complessive dei top 100. Complimenti sinceri a Stefano per il grande traguardo raggiunto in uno sport come il nostro, nel quale è così difficile emergere: il suo ingresso nel tennis che conta – quanto a dedizione, professionalità e capacità di crederci – può essere un esempio per tanti connazionali più giovani. Ora a Stefano non resta che dimostrare di meritare quanto, con tanti sacrifici, ha raggiunto.

877 le settimane nella top 100 che hanno permesso le sessantanove presenze consecutive negli Slam di Feliciano Lopez, record per il circuito maschile. Una serie iniziata al Roland Garros 2002, quando, non ancora 21enne, superò al primo turno il connazionale Didac Perez. Nulla meglio di questo record può dimostrare l’eccezionale longevità ad alti livelli, dovuta alla tanta professionalità (e a un pizzico di fortuna) richiesta per stare per diciotto stagioni almeno entro il 104esimo posto del ranking ATP, come noto l’ultima posizione utile per entrare negli Slam. Feliciano, che può vantare di aver chiuso tre stagioni nella top 20, 14 nella top 50 e 17 tra i primi 100, prima dell’ultima edizione del Queen’s aveva vinto sei tornei (su tutte le superfici, ma ben tre erano arrivati sull’erba) e raggiunto altre undici finali (di cui due sui prati). Che l’erba fosse la sua superficie preferita, era ben noto (tre dei quattro quarti di finale raggiunti nei Majors sono arrivati a Wimbledon).

Tuttavia, l’avanzare dell’età, l’inizio di attività extra campo (da quest’anno è il direttore del Mutua Madrid Open) e il ridursi della carriera agonistica (nel 2019 aveva giocato appena nove tornei, vincendo tre sole partite nel circuito maggiore) che gli era costato l’uscita dalla top 100 per la prima volta da luglio 2002, non lo mettevano tra i grandi favoriti a questa edizione del Queens, nonostante lo avesse vinto solo due anni fa. Invece, approfittando anche del ritiro dello sfortunatissimo Del Potro, Feliciano ha prima eliminato Fucsovics (6-7 6-3 6-4), poi i primi due tennisti canadesi, Raonic nei quarti (4-6 6-4 7-6) e Auger-Aliassime in semi (6-7 6-3 6-4). In finale, giocando un gran tennis per quasi tre ore, ha vinto contro Simon il titolo e guadagnato la 53esima posizione del ranking. Un successo bissato in doppio con un altro redivivo del nostro sport, Andy Murray: chissà che questa settimana non allunghi inaspettatamente la carriera di tennista a Feliciano.

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