Rimane da raccontare l’impresa londinese. Ai Championships Karolina si presenta da numero 68 del mondo. Supera nei primi due turni Krunic e Brengle e al terzo trova la prima testa di serie: di nuovo, come a Parigi, è Anett Kontaveit, che questa volta sconfigge in due set 7-6(7), 6-3. Durante il match offre, oltre alle sue tipiche discese a rete, anche una soluzione che temevo appartenesse ormai agli archivi del tennis: punti in risposta affrontati con il chip&charge.
Ma la partita speciale è il derby contro Karolina Pliskova, rivincita degli Australian Open di qualche mese prima. Candidato a diventare uno dei match dell’anno non solo per il punteggio (4-6, 7-5, 13-11), ma per la qualità di gioco espressa, con entrambe le giocatrici a saldo attivo fra vincenti/errori non forzati: Muchova +11 (54/43), Pliskova +12 (41/39). 14 ace per Muchova, appena 7 per Pliskova, che però in questa occasione è scesa a rete più spesso: 51 a 41. Numeri che danno l’idea dell’atteggiamento offensivo di entrambe.
Una lotta sul filo del rasoio, una di quelle partite quasi da pareggio, che ha una vincitrice perché nel tennis funziona così; un incontro in cui il match point è beffardamente deciso da un nastro. Per Muchova è il primo successo in carriera contro una Top 10, e le riesce giocando nel torneo più prestigioso del mondo; ad applaudirla è presente al suo angolo anche l’amica Rebel Wilson.
Ma al di là del risultato, ciò che va sottolineato in prospettiva per Muchova è che nelle 3 ore e 17 minuti di gioco le due Karoline si sono misurate alla pari, ben lontane dalla profonda differenza che solo qualche mese prima aveva segnato il loro confronto di Melbourne.
E se Muchova è stata fortunata sul punto finale nel derby ceco, è invece sfortunata con il calendario. Infatti a Wimbledon tutti gli ottavi si disputano di lunedì, mentre i quarti di martedì. In sostanza Karolina ha giocato un match da oltre tre ore alla vigilia dell’unico turno che non prevedeva il giorno di riposo. Al contrario la sua avversaria Elina Svitolina è reduce da un successo piuttosto agevole (6-4, 6-2) contro Petra Martic alle prese con un risentimento alla schiena.
Nella partita dei quarti Karolina inizia meglio, con mezz’ora di gran tennis. Conduce la partita fino al 5-2 e servizio, offrendo di nuovo una prestazione di alta varietà tecnica; poi ha una flessione che si traduce in un parziale di cinque game a zero per Svitolina, che decide il primo set. Situazione simile nel secondo: avanti di un break non riesce a tenere testa sul piano fisico e mentale al ritorno di Elina, che termina senza particolari problemi per 7-5, 6-4.
Con i quarti di finale a Wimbledon, Muchova compie un ulteriore progresso nella sua carriera. Ottiene il nuovo best ranking (numero 43), vale a dire una scalata di oltre 150 posti in meno di dodici mesi. E dimostra di essere capace di sconfiggere una Top 10 come Pliskova. Infine porta il montepremi vinto a 884.242 dollari; una certa differenza rispetto ai 103 mila ottenuti in tutta la carriera precedente agli US Open 2018…
Dopo questi exploit, sta per arrivare il difficile, perché ormai Karolina non è più una outsider semisconosciuta. Le avversarie di sicuro non la sottovaluteranno, mentre alcuni obiettivi cominceranno a far parte delle aspettative sue, e del suo team. E si sa che nel tennis, più ancora che salire in classifica, è difficile confermare i traguardi raggiunti. Per questo al momento è impossibile definire con sicurezza il preciso valore di Muchova. Ho provato a individuare i suoi molti pregi, ma anche alcuni limiti fisico-tecnici; del resto la tennista perfetta, da voto massimo in tutti gli ambiti del gioco, non esiste.
Aggiungerei due questioni caratteriali che andranno riconsiderate in futuro. La prima: in carriera ha un bilancio deficitario nelle finali. 2 vinte e 8 perse, di cui tutte le ultime sette, cioè le più importanti. Per cui il suo palmarès è quasi paradossale: la giocatrice capace di arrivare nei quarti di finale di Wimbledon vanta solo due successi nei 10K ITF, cioè il livello più basso previsto nel tennis professionistico.
Seconda questione. La passione per il punto spettacolare, per la soluzione brillante a volte può trasformarsi in un problema, se questo implica farlo a discapito di scelte meno difficili e soprattutto più concrete.
Ma diciamoci la verità: se con un solo match, quello vinto contro Muguruza a New York, era riuscita a suscitare l’interesse di molti appassionati, è proprio per il suo gusto verso un tennis speciale, particolarmente ricco di creatività. Ecco perché da spettatore mi auguro che sia in grado di rimanere stabilmente nei piani alti della classifica, riuscendo a conciliare concretezza e spettacolarità. A 23 anni ancora da compiere, e con tutta una carriera davanti, sarebbe un regalo inatteso ma prezioso per il circuito femminile.