US Open: per Matteo Berrettini è quasi un Open d’Australia

Editoriali del Direttore

US Open: per Matteo Berrettini è quasi un Open d’Australia

Il Next Gen Popyrin e forse “crazy” Kyrgios sulla strada dei quarti per il romano. L’eroico Lorenzi ci proverà anche con Wawrinka. L’ammirazione di Boris Becker. Coco Gauff, Taylor Townsend, il tennis non è più solo lo sport dei bianchi

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da New York, il direttore

Otto azzurri in primo turno, quattro al secondo, due al terzo, speriamo almeno uno in ottavi.

Berrettini e Lorenzi sono i nostri azzurri superstiti, Sonego e Fabbiano sono out. Non mi aspettavo che Lorenzi ce la facesse, dopo la maratona di 4h e 20m dell’altro giorno e soprattutto dopo il primo set, pur vinto, che aveva visto il quasi ventenne Kecmanovic dominare gli scambi e Paolo remare da fondo. E ancor più dopo il secondo che Paolo si è mangiato quando ha servito per il set, ha avuto due set point, ha sbagliato il primo, ha commesso un doppio fallo sul secondo e lo ha fatto seguire da un altro doppio fallo e poi da un break. Due game dopo altro tiebreak e addio set. Un disastro che avrebbe potuto restargli nella testa per tutto il resto della partita. Ma nemmeno al quinto set lui ha dato l’impressione di ripensarci. Grande forza mentale e anche grande forza fisica, perché alla fine pareva più stanco il ragazzino cui rendeva 18 anni piuttosto che lui. Non mi era certo dispiaciuta la pioggia di mercoledì e un giorno in più di riposo, dopo la maratona con Svajda e anche le 3 ore e mezzo dell’ultimo match di quali (perso 7-6 al terzo con Vesely).

Lorenzi avrebbe desiderato giocare stasera contro Wawrinka, quando fa più fresco. Invece giocherà intorno alle 14 (20 italiane) e spera di far la stessa bella figura che nei primi due set contro Andy Murray qui nel 2016 (7-6 5-7 6-2 6-3 per il Brit che però nel primo set annullò set point). “Quella è stata forse la mia più bella partita”. Di Svajda e Kecmanovic Lorenzi poteva essere anche il papà. Di Wawrinka, 34 anni, no.

Per un Lorenzi che mi ha sorpreso in positivo devo invece confessare la mia delusione per la prova incolore di Lorenzo Sonego, confuso dalle strategie intelligenti di Andujar che rispondeva benissimo e poi invischiava il torinese nelle sue ragnatele. Fare solo 8 game in tre set non è da Sonego. Sono deluso anch’io, giocavo così bene in queste ultime tre settimane…”.

Non ha giocato bene nemmeno Berrettini, ma quando si vince senza giocare bene è un buon segno. Thompson non è un fenomeno, gioca in modo prevedibile, solido di rovescio perché non lo rischia (“È un colpo che si fa leggere male, e anche il servizio che ha un movimento così rapido…”, avrebbe detto Matteo), falloso di dritto perché cercava il punto. Matteo lo ha un po’ sofferto perché il servizio gli entrava poco (56% di prime) e mi ha detto di “non sentire bene la palla”. Però nel quarto l’ha sentita e ha dato 6-1 all’australiano.

Ora a Matteo tocca un altro australiano, il ventenne Popyrin, che ha battuto Kukushkin, quindi è certamente in forma anche se il ranking (105) lo farebbe pensare abbordabile. Matteo lo conosce, e ancor meglio di lui lo conosce suo fratello Jacopo che ci ha perso un paio d’anni fa al torneo junior (grado A) di Santa Croce. Se vincesse come da pronostico – ma mai fidarsi dei pronostici: si credeva in molti che Sonego fosse favorito con Andujar e al contrario che Lorenzi non lo fosse con Kecmanovic (il serbo n.50 e lui n.135) e avete visto che cosa è accaduto – Matteo si troverebbe in ottavi per la seconda volta consecutiva dopo Wimbledon e stavolta contro il russo Rublev oppure contro un terzo australiano di fila, il funambolico e… spesso isterico Kyrgios.

Peccato per la sconfitta di Fabbiano. Avanti di due set sembrava più che a metà dell’opera, ma Bublik ha cominciato a infilare un ace dopo l’altro e ha ribaltato la partita. Così, noi che sognavamo un terso turno con un derby italico Sonego-Fabbiano siamo rimasti con un palmo di naso.

Non ci resta che sperare in Berrettini, perché onestamente all’eroico maratoneta Lorenzi (4h e 48m ieri, 4h e 20m lunedì, 3h e 28m venerdì scorso: fate voi il conto), per quanto mostratosi ancora una volta irriducibile, non credo si possa chiedere di battere anche Stan Wawrinka già oggi pomeriggio intorno alle 20 italiane (14 americane) quando il meteo dice che potrebbe fare anche piuttosto caldo. Vero che anche Wawrinka non è più un ragazzino, con le sue trentaquattro primavere e qualche acciacco, ma lui questo torneo lo ha addirittura vinto, mentre il miglior risultato di Paolo è l’ottavo di finale contro Anderson due anni fa quando fu lì lì per raggiungere il quinto set contro il sudafricano che sarebbe arrivato in finale.

L’avversario di Matteo, Popyrin, lo scorso anno aveva vinto un solo match nel circuito maggiore dopo l’attività junior. Durante la stagione sull’erba ha aggiunto Pat Cash, il campione di Wimbledon 1987, al suo team e Cash è un convinto assertore delle qualità del ragazzo. “Ha ovviamente un gran servizio e un gran dritto (Berrettini aveva detto: “Il suo gioco assomiglia un po’ al mio”), ma quello ormai ce l’hanno tanti: Alex ha però anche una gran mano, è molto buono sotto rete, ha vero talento. Intanto ha un talento eccezionale, poi gioca molto bene sotto pressione (ha vinto più della metà dei tiebreak giocati, 9-8) e questi sono aspetti importanti che lui ha di natura. È un grande bonus. Sugli altri aspetti lui che è un gran lavoratore, migliorerà certamente… ma avendo quelle basi sarà tutto più facile”.

Insomma anche l’Australia ha i suoi Next-Gen più che promettenti. In questo momento Popyrin ne ha dieci davanti in relazione alle finali Next Gen di Milano a novembre. Ma forse, grazie a Sinner e a Musetti che hanno due anni di meno, stiamo meglio noi, in questo momento. Boris Becker mi ha detto ieri, nel corso di un incontro organizzato da Eurosport nel proprio stand: “Dovreste considerarvi fortunati voi italiani ad avere così tanti giovani in gamba… anche se io resto un grande fan di Fognini, un artista capace di dispensare grandi emozioni italiane, a volte nei modi sbagliati, ma comunque ‘i love him’. Se vorrei allenare qualche tennista italiano? No, nessuno, allenerò invece i tedeschi che capitanerò in Coppa Davis a Madrid.

Esaurito il capitolo italiano, registrando un pareggio accettabile anche se almeno il 3-1 di giornata pareva proprio raggiungibile, va sottolineata la buona stella di Nadal che come a Montreal (quando uno sfinito Monfils dette forfait perché aveva dovuto giocare un quarto di finale lottatissimo nella stessa giornata a causa di un rinvio per pioggia) gode di un turno supplementare di riposo che certo non gli dispiacerà: ne fruisce per l’ennesimo ritiro dello sfortunatissimo Kokkinakis.

Rafa incontrerà al terso turno il redivivo coreano Chung, riemerso dalle qualificazioni dopo 18 mesi disgraziati. Chung ha battuto 7-6 al quinto Verdasco e sempre al quinto aveva vinto al primo turno con la wild card americana Escobedo. Non credo che potrà creare alcun problema a Rafa, mentre invece in ottavi un Isner in giornata con il servizio potrebbe rivelarsi temibilissimo. Lo ricordo capace di trascinare Rafa al quinto perfino al Roland Garros. Secondo me l’americano è più pericoloso dei quattro che potrebbero approdare ai quarti in quel settore a fronteggiare Nadal, e cioè Zverev (abbonato ai quinti set), Bedene, Schwartzman e Sandgren.

Mentre Andy Murray perdeva nel challenger di Maiorca, casa Nadal, dal nostro Viola, un inglese, Dan Evans, ha dato soddisfazione al tennis Brit superando brillantemente Pouille e sarà lui oggi a sfidare nientemeno che Federer. Lo svizzero, che non ha davvero fatto faville nei primi due turni, entrambi superati in quattro set, oggi gioca a mezzogiorno e non c’è davvero più abituato. Roger ha battuto Evans due volte, quest’anno in Australia al secondo turno senza dominarlo: 7-6 7-6 6-3.

Ma i duelli più avvincenti sono stati tre match femminili. Kvitova sorpresa da Petkovic, Halep battuta nonostante il matchpoint a favore dalla mancina di colore Taylor Townsend che ha fatto serve&volley per tutta la partita come non avevo più visto fare a nessuna donna dai tempi di Martina Navratilova e infine la battaglia con la quale la ragazzina prodigio Coco Gauff si è imposta sull’ungherese Babos facendo dilagare ancor più la Gauff-Mania.

Ho già una raccolta di titoli, di articoli su Gauff che potrei scriverci un libro, prendendo spunti qua e là. Contro Babos non ha giocato particolarmente bene, ma quando si va nella lotta, lei ne esce vincente, da vera guerriera. Sarà magari giovanile incoscienza, ma non trema. Recupera palle impossibili, lotta, suda, grida e alla fine vince. Al suo angolo un po’ troppa gente, per la verità, ha un entusiasmo eccessivo e forse pericoloso perché è difficile che una ragazzina di 15 anni che vede tutto un box con sostenitori che sfoggiano una maglietta con su scritto ”Call me Coco” non finisca per montarsi la testa, per perdere il senso della realtà.

Mah, il prossimo ostacolo è di quelli tosti. È un suo idolo, Naomi Osaka, la campionessa dello scorso anno e dell’Australian Open, la n.1 del mondo. È possibile che domani, però, la più nervosa possa essere proprio Osaka, non ancora il prototipo della solidità fatta persona.

Sotto un profilo squisitamente tecnico non c’è dubbio che Taylor Townsend abbia offerto il tennis migliore. Di certo quello più inconsueto. 2-6 6-3 7-6 ad Halep, campionessa di Wimbledon. Sette anni fa ricordo di aver visto per la prima volta Townsend: vinse singolo e doppio junior in Australia e divenne n.1 under 18. L’anno successivo perse la finale junior di Wimbledon da Bencic. Il suo problema maggiore, fin da allora, era un fisico davvero eccessivamente pesante che finiva per annullare la straordinaria facilità di braccio della ragazza di Chicago.

Infatti ci ha messo 5 anni, dal 2014 all’anno scorso per far breccia fra le top 100: n.74 a fine anno dopo aver raggiunto il best ranking a n.61 a luglio. Non era mai approdata al terzo turno qui, nelle quattro precedenti presenze. Il suo coach è stato, dacché lei aveva 8 anni e ad Atlanta, il papà dell’ex n.1 junior Donald Young. Donald Young senior era amico dei suoi genitori. Non so se Taylor, con quel gioco fantastico, purtroppo unico e anacronistico ormai, riuscirà a confermarsi – prossima avversaria Cirstea, poi semmai Wozniacki o Andrescu e diventerà durissima – ma di certo le sue partite, come quelle di Hsieh, non vorrei mai perdermele.

Ieri molti dei 70.236 spettatori di giornata se la sono goduta. E certo in questo torneo che si è aperto con la celebrazione collegata alla statua finalmente dedicata alla leggendaria Althea Gibson, prima afroamericana a vincere uno Slam – anzi 3 – dopo i tanti successi delle due Williams che pure sembravano appartenere soprattutto a una straordinaria famiglia, quello di Sloane Stephens due anni fa su Madison Keys, l’avvento dirompente di Coco Gauff in questi mesi, ora questo straordinario exploit di Taylor Townsend… si ha proprio la sensazione che finalmente negli USA il tennis non sia più soltanto lo sport dei bianchi. Da Lassù, ne sono certo, quel grande uomo, prima ancora che campione, Arthur Ashe sarà in questi giorni più felice perfino di quando vide quel ragazzino che lui aveva scoperto in Camerun, Yannick Noah, trionfare nel Roland Garros del 1983.

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