Editoriali del Direttore
Osaka, un gesto stupendo, da vera campionessa. Berrettini sconsigliabile ai deboli di cuore
NEW YORK – Dopo un periodo di confusione post Serena Williams – dodici diverse semifinaliste in tre Slam – forse la WTA ha trovato una vera leader. E il tennis italiano pure

È difficile che un grande campione non sia anche una grande persona. Può succedere, ma è abbastanza raro. La storia del tennis maschile di questi ultimi tre lustri lo dimostra, Federer, Djokovic, Nadal, Murray, non sono soltanto grandi campioni con la racchetta in mano. Sono anche personalità carismatiche, personaggi positivi, intelligenti, persone sensibili, in una parola un po’ antica… gente perbene con qualità che hanno saputo mostrare anche fuori dal campo.
Beh, non so se Naomi Osaka, dopo aver vinto due Slam ed essere diventata n.1 del mondo giovanissima ed aver attraversato però poi un periodo poco brillante (non da n.1, di certo), riuscirà a imporre una leadership duratura. Ma il gesto che ha fatto a fine gara, la gara più attesa della giornata, andando a parlare con la piccola Coco in lacrime persuadendola ad accompagnarla al centro del campo e a dire anche lei qualche parola al pubblico che l’aveva osannata, è stato un gesto da grande persona. Da persona sensibile e rispettosa, non egocentrica, intelligente.
“Mi è venuto d’istinto – ha risposto alla mia prima domanda – perché quando le ho stretto la mano ho visto che le stavano scendendo delle lacrime sul viso. Quello mi ha fatto ricordare quanto fosse giovane. Per me quando perdo scappo negli spogliatoi e piango, poi vengo in sala stampa che, vi amo ragazzi, ma non è il massimo! Poi ho pensato che la gente normale non guarda le conferenze stampa, a meno che siano veri tifosi… La gente sarebbe rimasta a guardare il match successivo e non avrebbero saputo cosa le passava per la testa. E allora mi sono detta che sarebbe stato carino per lei rivolgersi a tutta quella gente che era venuta a vederla, a tifare per lei (la stragrande maggioranza)… sì, è stato un gesto istintivo”.
Un gesto che è venuto da una ragazza che, al di là di essere l’attuale n.1, ha qualcosa in più rispetto a quasi tutte le top-ten degli ultimi anni. Il tennis femminile ha visto allargarsi la base, crescere moltissimo in profondità il proprio livello, ma non si è più intravista una n.1 e un personaggio come Serena Williams, dacché Serena è rimasta incinta, è diventata mamma e non ha più vinto un torneo.
Ecco, forse Naomi Osaka, e non lo scrivo oggi perché ha battuto 6-3 6-0 – leggete l’attenta, eccellente disamina di Vanni Gibertini – una ragazzina di 15 anni che aveva già fatto un miracolo a raggiungere i traguardi centrati, potrebbe mettere fine a un periodo storico che è diventato negli ultimi anni piuttosto confuso. Incapace di esprimere una vera leader che rimpiazzasse Serena e anche sua sorella Venus. Naomi ha il tennis, il talento, la testa, la personalità, per diventarlo. Forse non avrà mai la cattiveria agonistica delle sorellone cresciute nel ghetto di Compton, ma non è detto che quella debba essere una qualità essenziale. Talvolta, però, aiuta.
Nel 2019 abbiamo avuto fin qui tre diverse campionesse nei tre Slam (Osaka, Barty e Halep), sei diverse finaliste, ben 12 diverse semifinaliste. Una cosa così era successa soltanto nel 2004. Del resto Halep, sorpresa da una qualificata di sicuro talento come Townsend (che però non era mai andata oltre il terzo turno qui e una sola volta in quattro apparizioni) aveva detto prima dell’inizio del torneo: “Sono davvero tante oggi le tenniste che possono vincere un torneo, anche uno Slam”.
E infatti lei campionessa di Wimbledon ha perso dalla n.116 del mondo che ora si ritrova in ottavi di finale e se la può giocare con Andreescu: la n.116 di oggi è molto ma molto più forte della n.116 di 10 anni fa. E le vincitrici degli Slam degli ultimi anni non sono assolutamente imbattibili da chi sta loro molto più indietro. Barty e Pliskova, n.2 e n.3, hanno vinto fin qui ma sempre soffrendo, spesso al terzo set. Kerber che ha vinto tre Slam fra 2016 e 2018 ha perso già lunedì da Mladenovic n.54 (che poi ha perso al turno successivo da Ferro). Idem Muguruza campionessa al Roland Garros nel 2016 e a Wimbledon nel 2017 sconfitta da Riske n.36. E Riske ha perso da Ostapenko, altra campionessa recente di Slam – due anni fa a Parigi – già eliminata dalla sorprendente Ahn, n. 141.
Vi immaginate come giocava la n.141 del mondo 10 anni fa? E Stephens, campionessa all’US Open due anni fa da chi ha perso al primo turno? Dalla n.127, la russa Kalinskaya (anche lei sconfitta al turno successivo). Potrei continuare con Kvitova, pluricampionessa a Wimbledon, che perde da Petkovic n.88… e poi Petkovic perde da Mertens. Insomma, se nel tennis maschile i Fab Four hanno dettato legge per tre lustri almeno, in quello femminile a me pare che Naomi Osaka sia la sola – anche se da gennaio in poi ha patito anche qualche pesante sconfitta, sia a Parigi al terzo round sia a Wimbledon al primo – a poter aspirare all’eredità delle Williams con qualche fondamento.
Ripeto: non avrebbe forse troppo senso magari dirlo oggi perché ha battuto una bimbetta che aveva fatto risultati prodigiosi e altri ne farà. Ma la maturità che Naomi ha dimostrato sia invitando la piccola piangente Coco a non uscire dal campo e abbracciandola con grande trasporto e affetto (“Com’on you are amazing Coco!”) – come succede di solito a tutte le sconfitte che raccolgono in fretta e furia borsoni e racchette e a testa bassa si incamminano verso gli spogliatoi – sia nella successiva conferenza stampa nella quale ha detto solo cose sagge, me la fanno apprezzare talmente come persona che mi sento di scommettere sul suo futuro.
Anche se qui già in ottavi contro Bencic, dalla quale ha perso due volte su due quest’anno (a Madrid e a Indian Wells), dovesse perderci per la terza. Una donna con quelle qualità secondo me alla fine è di un altro livello. Con una postilla però: sulla terra rossa per ora non ha dimostrato di sapersi adattare.
Due parole su Coco: per metà primo set è stata in partita con la n.1 del mondo. Non mi sembra davvero poco. Ha 15 anni, neppure 15 e mezzo. Ragazzi, ma che pretendiamo? Anche il tennis delle donne è diventato più muscolare di una volta. Tirano tutte delle randellate, a cominciare dal servizio, che fanno paura. Coco ha fatto miracoli. Ha potuto giocare solo pochissimi tornei per i limiti imposti dalla WTA fin dai tempi di Jennifer Capriati, a seguito degli incresciosi episodi che la videro, suo malgrado, protagonista. Datele un paio di anni di crescita e vedrete.
Mi ha fatto piacere che Townsend abbia vinto ancora, con il suo tennis “anacronistico”, giurassico, ma bellissimo. Con Andreescu sarà più dura che con la seconda rumena paratasi sul suo cammino, Cirstea. Se il serve&volley è un gioco sconosciuto, di conseguenza anche il passante lo è per quasi tutte.
Ma veniamo finalmente al nostro Berrettini. Se ritengo che Osaka possa diventare la leader del tennis mondiale, Matteo Berrettini diventerà molto presto il leader del tennis italiano, almeno fino a quando Jannik Sinner non avrà 20 anni.
Andrea Pellegrini Perrone, un giovanottino di 20 anni che si sta facendo valere qui a Flushing nella sua prima missione da inviato e la cui prosa non è appesantita dal doppio cognome né dall’essere figlio… d’arte (il padre Massimo ha scritto di sport e numeri per Repubblica, Gazzetta, Corriere dello Sport, dopo essere stato una delle prime scelte di Tommasi direttore a Tele Più), ha riportato fedelmente tutto quanto accaduto nel match vinto con il promettente australiano di genitori russi, 20 anni compiuti a maggio, quindi tre anni più giovane di Berrettini e meno esperto, ma non troppo meno forte.

Per la terza volta consecutiva Matteo ha vinto i primi due set, ha perso il terzo, ha chiuso al quarto. Però ha fatto rischiare l’infarto ai deboli di cuore. Perché il quarto set lo ha riacciuffato per i capelli dopo aver giocato un pessimo, lunghissimo, interminabile undicesimo game sul 5 pari: 21 minuti, 26 punti, quattro palle mancate per il 6-5, break subito alla settima pallabreak. Mettere solo 8 prime in 26 punti non è stato davvero un bell’exploit. E deve ringraziare il “braccino” che si è impadronito di Popyrin, per tutto il resto del match invece intraprendente e coraggioso (impressionante la sua mano sotto rete), perché conquistare tre set point per andare al quinto e fare due doppi falli su tre punti in quei frangenti è stata – per Matteo – pura Provvidenza.
Oggi si sottolineerà la sua prova di carattere, che certo c’è stata. Insieme al fatto che nessun italiano di 23 anni (o meno) era mai stato capace di conquistare due ottavi in due Slam nello stesso anno. Però io direi anche, senza nulla togliere ai suoi meriti perché nel primo e nel secondo set, e anche una parte del terzo, è stato quasi impeccabile. Servizio e dritto hanno fatto sfracelli. Anche se gli stessi colpi di Popyrin non erano da meno. Tennis moderno, pallate a tutta randa.
“A Wimbledon ero arrivato sulla scia di tornei vinti, di ottime partite, qui invece, dopo l’infortunio alla caviglia, era un po’ più… barcollante. Quindi forse la soddisfazione è maggiore, perché più inattesa”
Come andrà contro Rublev, con il quale ha perso a Marsiglia quest’anno dopo averlo dominato nel torneo vinto di Gstaad un anno fa? Beh, il ragazzo russo che quando parla tiene sempre gli occhi bassi, sembra timido ma invece dice anche cose per nulla banali, due anni fa era giunto nei quarti ma oggi gioca decisamente meglio, perché non si affida soltanto al talento e a colpi devastanti: “Due anni fa giocavo senza le gambe. Non difendevo, non recuperavo, non volevo scambiare, dovevo fare il punto nei primi due, tre scambi, e diventavo facilmente pazzo – ha detto proprio così, crazy – se le cose non si mettevano subito per il verso giusto. Ora invece ho lavorato tanto, fisicamente e mentalmente, per lottare per fare un punto, correre, rincorrere… con Tsitsipas abbiamo fatto scambi interminabili e io sono stato lì. Anche con Federer sono stato bravo, perché giocare contro lui, con quel che sa fare, con il nome che si porta dietro… non è stato facile a Cincinnati”.
Rublev mi diceva queste cose (intorno a mezzanotte, ed eravamo solo in tre ad ascoltarlo) appena dopo aver dato tre set a zero a Kyrgios che non giocava per perdere, come gli è capitato di fare diverse volte. Sarà un osso duro, durissimo, secondo me. Matteo dovrà giocare al massimo, forse come ha fatto con Gasquet (“La mia partita migliore anche tatticamente”). Ma Rublev non si fa spingere sui teloni di fondo, anticipa eccome. Però non serve benissimo…
“È raro che io finisca un match senza perdere un paio di volte la battuta… con Kyrgios dovevo stare super concentrato, perché con lui può bastare perdere un game di battuta e perdi anche il set”
“Berretto” alla fine della intervista televisiva con il collega di Eurosport che aveva citato il mio compleanno (due volte 35 anni…), mi ha detto: “Non lo sapevo Ubaldo, ma ti ho fatto un regalo no?”. Io gli dico adesso, sfacciatamente: “Fammene un altro Matteo, batti anche Rublev e poi nei quarti contro Monfils (che con Andujar dovrebbe vincere) ce la giochiamo!”. Già, con lui ho la sensazione di giocare anch’io. Non potrà farmi soffrire più che in quel quarto set al cardiopalmo.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: Il caldo opprimente, la libertà dello scooter, i posti vuoti per i troppi biglietti agli sponsor, il riscatto del tennis donne, Zverev-Ruud forse migliore di Alcaraz-Djokovic
Muchova-Sabalenka, Swiatek-Haddad Maia hanno creato spettacolo e suspence. La bielorussa però…sciupona. Djokovic, l’ultimo dei Mohicani lotterà per sé, per il 23mo Slam ma anche per gli altri Fab 4. E’ l’ultimo che può respingere l’assalto di Alcaraz e dei giovani rampanti. Sarà davvero un gran match?

Il tris di Swiatek sembra aleggiare nell’aria calda, opprimente e insolita di Parigi. Non ricordo, in 47 anni che vengo al Roland Garros e negli ultimi 20 che ci vengo con uno scooter della Piaggio – in passato erano le classiche, tradizionali Vespe, adesso sono MP3 350cc con le tre ruote, così non si casca e si parcheggia facile – un altro torneo nel quale abbia fatto sempre così caldo da dover restare in maglietta anche la sera tardi. Fino a un paio d’anni fa non c’erano nemmeno le sessioni serali. Mi dilungo sul meteo…, perché sembra impossibile che invece nel Bel Paese, quando parlo con i miei familiari che vivono in diverse parti d’Italia mi dicono che il tempo continua a essere invece orribile. E non da ieri soltanto. Una rivoluzione climatica con uno scambio meteo Italia-Francia? Beh almeno questo non è colpa della politica, di questo o quel Governo.
Qua mi sono sempre bagnato molto più che a Wimbledon, però a giudicare dalle migliaia di scooter – in gran parte proprio Piaggio con le tre ruote (che hanno avuto qua evidentemente molto più successo che in Italia, chissà perché) – che circolano a Parigi e che parcheggiano fra Porte d’Auteuil, Porte Molitor e il Bois de Boulogne, si vede che lo scooter, e spesso sono davvero grossi gli scooter che sfrecciano sulle varie “Routes Periferique”, è un mezzo popolarissimo, tanto da farmi pensare che allora il maltempo nel quale io mi sono imbattuto in tanti passati Roland Garros non sia stato una regola, ma l’eccezione che la conferma. Altrimenti di scooter non se ne venderebbero così tanti e qui sono tantissimi parcheggiati proprio ovunque anche i motorini Uber (più vari competitor), a nolo orario, come da noi in certe città italiane capita per le biciclette e le auto “Enjoy” , ma non mi è capitato ancora di vedere anche per i motorini.
Certo è anche che qui, in certe strade, e non solo sui perennemente ingolfatissimi Champs Elisèe, si resta facilmente imbottigliati nel traffico, in code insopportabilmente infinite. Ecco perchè lo scooter diventa un gran bel salvagente.
Va detto poi, e chiudo questa inutile parentesi, che la reputazione di Wimbledon ostaggio della pioggia è dovuta certamente anche al fatto che se lì, in Church Road, cade anche la pioggerellina più ridicola, purtroppo sull’erba non si può giocare e gli incontri vengono sospesi. Anche tre, quattro volte nello stesso giorno. Quando a Parigi, come a Roma, si continuerebbe tranquillamente a giocare. Insomma, salvo che per quest’anno nella Roma più acquazzonata di sempre, se piove da noi e a Parigi di solito non ci si fa caso. A Wimbledon ci se ne accorge tutti e soprattutto se ne accorgono quei poveri inservienti che tirano e srotolano su e giù di continuo quei pesantissimi tappeti che devono restare alti tipo tende sui courts, a scanso guazza sottostante.
Piuttosto anche qui come a Roma c’è la piaga dei posti venduti, e venduti assai a caro prezzo, agli sponsor e ai clienti degli sponsor. Così spesso – si sarà visto e notato in tv – quelli che sarebbero i posti migliori, sono spesso vuoti. Perché a quel tipo di quei clienti, evidentemente, interessa più fare atto di presenza al Roland Garros, un must, p.r. o semplici chiacchiere con un bicchiere di champagne in mano, piuttosto che guardare il tennis e scoprire chi siano Ruud e Rune.
Molti francesi che pure ho incrociato al Roland Garros, mica al Louvre, non sanno ancora chi sia Alcaraz. L’ho scoperto con un certo raccapriccio. E quando dico loro con aria un minimo scandalizzata: “Ma suvvia, è il numero uno del mondo!” reagiscono con un: “Ma davvero? E non è Djokovic?”.
L’altro giorno un signore che era appena uscito da una di quelle elegantissima suite ha chiesto a una hostess elegantissima in camiseta Lacoste: “Ma Nadal quando gioca?”.
Non ho voluto sentire la risposta. Temevo di sentire anche dalla hostess una risposta incerta, interlocutoria. Per carità, è meglio che sappiano chi sia stato Carlo Magno.
Soltanto per Roger Federer si va sul sicuro: tutti sanno che lui, il Mito, la Leggenda, si è ritirato. Meno male che almeno questo non è sfuggito a nessuno dei presenti.
Siamo messi così. Il tennis è sempre più un business colossale. E chi lo organizza mira a far ciccia, cioè soldi, e se l’immagine di uno stadio semideserto a bordo campo non è una buona immagine il promoter miope oggi dice: “Chissenefrega. L’importante è che loro comprino i biglietti e noi si aumenti l’incasso”. Ma alla lunga andrà sempre così?
In Francia forse è anche per il risultato di questa politica che ha fatto sì, però, che di tennisti francesi competitivi non se ne vede più neppure l’ombra. Quest’anno, come nel 2021, hanno perso tutti prima del terzo turno. Per una federazione ricca, ricchissima, come quella francese che ha un carico di dipendenti vicino al migliaio, e un cespite di entrate monstre come il Roland Garros è un bello smacco.
Per fortuna, e non solo per fortuna, sia dato a Cesare…(Binaghi) quel che è di Cesare, in Italia non è così. Però qui mi sono imbattuto in diverse persone che mi hanno chiesto: “Ma perché a Roma si vedeva spesso lo stadio così vuoto? Vendevano i biglietti troppo cari?”.
Ho spiegato a chi aveva la pazienza di ascoltarmi, che a) a Roma quest’anno avevamo avuto un tempo da lupi, mai vissuto prima a quel modo, b) ma anche che la programmazione non era stata spesso indovinata, c) che troppe volte si era creduto di far bene pensato piegandosi anche alle richieste dei giocatori italiani più viziati per programmarli sul più “cozy” Pietrangeli, straboccante di folla, mentre sul “centrale” venivano programmati incontri poco appetitosi. Assai prevedibilmente poco appetitosi, a dire il vero, se in contemporanea se ne giocavano altri con tutti gli azzurri sul Pietrangeli che la gente non abbandonava neppure quando diluviava perché…”chi va via perde il posto all’osteria”.
Errori che probabilmente l’anno prossimo non verranno ripetuti. Almeno non in questa misura, io spero. Anche qui, già che ci sono lo dico, i prezzi di chi passa 10 ore in questo magnifico posto…sono però fuori di testa, assolutamente esagerati, e la qualità del cibo non fa davvero onore alla tradizione della cucina francese. Per mangiare crepes, waffles, gelati (confezionati e dai 4,80 euro in su) e svuotare il portafogli si fanno code lunghissime. Del resto anche al Foro Italico l’alimentazione è davvero “very cheap”, pizze, panini, hamburger, hot-dog, come se abitassimo in America e non nel Bel Paese famoso nel mondo per la sua cucina. Ristoranti di modesta qualità e prezzi esosi, mal assistiti da servizi igienici non frequentabili. A quest’ultimo proposito organizzerei, durante i prossimi Internazionali d’Italia, una giornata in cui i dirigenti FITP e gli ospiti degli sponsor BNL, BMW, EMU e partner vari, fossero obbligati a servirsi dei servizi igienici che spettano ai normali spettatori. Chissà, forse le cose cambierebbero.
Angelo Binaghi ha promesso che in futuro ci sarà qualche posto coperto in più (non solo il tetto per il 2026) di modo che quando piove come quest’anno l’unico riparo non sia più il proprio ombrello. Ma anche un ristorante in più di discreto livello senza che il conto si riveli un furto con scasso, non guasterebbe. Certo lì al Foro gli spazi sono quelli che sono.
Al Roland Garros, soprattutto dopo essersi allargati fino al Simonne Mathieu, sono ben altri. E all’Orangerie si mangia come in un ristorante serio. Chic.
Finalmente, portate pazienza, ora scrivo di tennis giocato. Non mi diverto sempre a vedere tennis femminile. Troppo spesso è a senso unico. Pensate alle precedenti partite di Iga Swiatek, 6-0, 6-0 a questa e a quest’altra una miseria di game concessi, 14 set di fila vinti in 7 match anche contro la promessa Coco Gauff, finalista un anno fa. Dov’è la suspense?
Ieri giovedì l’eccezione. Due partite piene di pathos, di situazioni avvincenti, ben giocate come nei primi due set di Sabalenka Muchova, prima di un terzo set con un calo di qualità e quell’altalena di tante partite femminili che non è facile spiegare se non sei un…coach mentale.
Quando Aryna Sabalenka sale a forza di missili, sul 5-2, prima di avere e mancare il matchpoint sul 5-2, il match sembra finito. La Muchova aveva già vinto comunque il suo sorprendente torneo, mi stavo apprestando a scrivere.
Macchè, “it is never over until is over”. La Sabalenka prima si distrae, poi dilapida (53 errori gratuiti contro i 27 della Muchova, sono quasi il doppio e comunque tanti, tantissimi per una potenziale n.1 del mnndo), quindi si innervosisce. Dal 5-2 in suo favore perderà 5 game di fila, la partita, l’approdo alla finale, il possibile n.1 WTA. A un certo punto la serie negativa la vede con 4 punti all’attivo e 16 al passivo. Quasi soltanto a lei, almeno fra le grandi sebbene sia capace di fare anche due doppi falli a fila quando il momento è capitale e ha un matchpoint, succedono certi improvvisi prolungati scivoloni.
Muchova, 27 anni best ranking 19, 2 di più di Sabalenka, non crede ai suoi occhi. Anni fa il suo medico, dopo l’ennesimo infortunio, le aveva suggerito di abbandonare il tennis. Di ritirarsi. Lei era precipitata oltre il 200mo posto. Ma non si è ritirata. E sabato lei, .n.43 del mondo, giocherà la sua prima finale Slam contro quella Swiatek che lei battè nel 2018 nell’unico precedente. Solo che Iga era ancora una bambina e lei, ventiduenne, solo una promessa incompiuta e molto sfortunata. Lo scorso anno, come sarebbe accaduto a Zverev contro Nadal, ma prima di lui, si storse una caviglia e uscì piangendo lasciando il passo alla Anisimova. Questa volta le lacrime invece sono state di gioia.
Iga in questo torneo era a rischio trono: la Sabalenka minacciava di spodestarla. Invece la sconfitta della bielorussa e la contemporanea vittoria della polacca sulla tenace brasiliana Haddad Maia le garantisce il possesso della corona anche dopo questo Roland Garros sia che lei vinca il quarto Slam e il terzo RG di fila, sia che perda dalla sorprendente Muchova.
Beatriz sognava di emulare Maria Ester Bueno, la campionessa del suo Paese che trionfò in 7 Slam, ma non è ancora arrivato il momento del suo primo. Ha perso nettamente il primo set, ma nel secondo si è arrampicata al tiebreak e perfino a un setpoint. Le è mancata un po’ di agilità, annullarle due matchpoint con grande garra non le è bastato.
Ha fatto tremare Iga e si può rallegrare per un grande torneo che probabilmente, con la nuova fiducia acquisita, non sarà l’ultimo.
Oggi c’è attesa spasmodica per la prima semifinale, Alcaraz-Djokovic, Next Gen vs Old Gen. Conflitto più generazionale di questo non si poteva programmare. Ognuno giocherà per sé, ma un pochino anche per i coetanei. Alcaraz ha preferito fare ieri giovedì un po’ di palestra, senza tennis. Invece Djokovic ha giocato un’oretta abbondante sul campo 5 con uno sparring partner, Carlos Gomez Herrera.
E se invece la semifinale più bella fosse quella che giocheranno dopo Ruud e Zverev? Se uno dei protagonisti della prima semifinale giocasse molto al di sotto della propria reputazione, Djokovic per uno stato di forma ancora incerto messo magari a dura prova per il caldo, Alcaraz per uno stato di tensione cui non può essere ancora del tutto abituato – un conto è aver vinto 22 Slam, un altro averne vinto uno solo – ecco che la seconda semifinale potrebbe inopinatamente diventare la migliore. Per come ho visto giocare Ruud contro Rune e Zverev in questi giorni, sono quasi certo che giocheranno entrambi molto bene. E per il contrasto di stile dei due giocatori lo spettacolo non mancherà. Il duello fra il diritto a sventaglio di Ruud e il magnifico rovescio di Zverev sembra poterlo garantire. Nella prima semifinale, invece, lo show potrebbe essere eccelso, ma anche deludente. Quando le attese sembrano eccessive…tante volte in passato è accaduto che siamo rimasti con un palmo di naso. Speriamo allora invece che tutti e due giochino al meglio.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: Djokovic-Alcaraz arriva troppo presto? Per Novak forse sì
Stasera Rune-Ruud. Chi vince partirà favorito contro il vincente di Zverev-Etcheverry. Ma c’è chi crede al duello serbo-spagnolo come ad una finale anticipata. Infuria il caso Sabalenka-Svitolina

Daniil Medvedev ha fatto un gran dispetto a Novak Djokovic vincendo Roma. Eh sì. Lo ha scavalcato in classifica mondiale e poi il sorteggio del Roland Garros ha piazzato Novak nella stessa metà tabellone di Carlitos Alcaraz. E il sorteggio non ha fatto un favore al serbo, semmai lo ha fatto ad Alcaraz.
Sì, perché il Djokovic visto sin qui, a Montecarlo (Musetti), Banja Luka (Lajovic) Roma (Rune) e Parigi (con Davidovich Fokina e Khachanov) non mi è sembrato davvero il miglior Djokovic.
Ma il serbo, come capitava anche a Nadal, più partite gioca e meglio gioca. Per lui sarebbe stato meglio approdare alla finale con Alcaraz piuttosto che affrontarlo già in semifinale (sempre che alla finale ci fossero semmai arrivati entrambi eh).
Il Djokovic del primo set e mezzo con Khachanov è stato quasi imbarazzante, senza nulla togliere ai progressi del russo n.11 del mondo (che Sonego poteva battere).
Ma certo Alcaraz contro Tsitsipas fino a quando non si è distratto un po’, sul 6-2,6-1,5-2 e primi match point, è sembrato di un altro pianeta. Rispetto a chiunque. Aveva lasciato 7 game a Shapovalov, 7 a Musetti (vabbè 7 anche a Cobolli, e 5 a Taro Daniel nei 3 set vinti su 4), stava per lasciarne solo 5 a Tsitsipas. Carlitos faceva paura. Mazzate di dritto, incrociate come a sventaglio, rovesci debordanti lungolinea a sorprendere l’ateniese ogni qualvolta lasciava scoperto il proprio angolo destro per coprire con il dritto 7 metri e mezzo degli 8 e 23 centimetri della riga di fondo. E come aveva sospinto Tsitsi verso i teloni di fondocampo, zac, l’implacabile, irridente smorzata. Sempre vincente o quasi.
Sembrava quasi che Tsitsipas non fosse il quinto tennista del mondo. E ripensavo a Musetti che almeno qualche colpo bello e vincente era riuscito a giocarlo. Tsitsi quasi neppur quello. La critica è stata severa con Musetti, neo n.17 ATP a partire dal prossimo lunedì, ma allora come avrebbe dovuto trattare Tsitsipas?
E allora mi dicevo: ma Djokovic come farà ad arginare questa furia spagnola?
Però, però poi mi sono anche detto: visto quel che è successo a Khachanov? Djokovic che sembrava in giornata no, ha finito da dominatore.
Già, perché Nole, indiscutibilmente il miglior ribattitore del mondo, nel primo set aveva fatto la miseria di 6 punti in 5 turni di battuta di Khachanov. 4 turni persi a 15, uno a 30.
Fino al quarto game del secondo set Djoko non era riuscito ad arrivare a 40. Ok, Khachanov serviva bene, ma quel Djokovic non era Novak. Forse era Marko, il fratello. Fino al tiebreak e al primo game del terzo set…Marko Djokovic non era stato capace di conquistarsi una pallabreak, limitandosi ad arrivare a 40 pari quattro volte in 11 game di risposta.
Al tiebreak era giunto avendo collezionato 13 errori gratuiti di dritto, alcuni davvero clamorosi, come quello che aveva consentito a Khachanov di raggiungere il 3 pari. E i dritti vincenti erano meno della metà di quelli sbagliati. Aveva però cominciato a servire meglio e a tenere molto più agevolmente i suoi game di servizio. A zero quello del 5-4, a zero quello del 6-5, game per solito delicati.
E poi la svolta cruciale, nel tiebreak: 7 punti a zero!
Lì Djokovic è tornato vicino a quello che ha vinto 22 Slam e cerca il 23mo per lasciarsi alle spalle per sempre Nadal, mentre Khachanov si è lasciato andare al punto da beccare un 6-2 senza alcuna reazione perché sul servizio di Novak gli ha strappato un solo punto e perso altri tre game a zero.
La grande occasione di battere un Djokovic dimesso – e sarebbe stata soltanto la seconda volta in 10 duelli – era svanita. Lui Karen… pollo, mi permetto di dire. Perché bastava poco di più. Nole era nervoso e in sua balìa.
Poi, invece non c’è più stata storia. Però date ad Alcaraz il Djokovic dei primi due set e Carlitos ne farà un sol boccone.
Quante volte però i fenomenali Fab-Four (o 3 via) cominciavano uno Slam in modo incerto e poi nell’arco delle due settimane salivano esponenzialmente di rendimento? Non so se questi 2 set finali con Khachanov sono bastati a Djokovic a sentirsi forte come ai bei tempi, a dargli quella fiducia che forse si era un tantino incrinata.
Credo che gli avrebbe fatto bene giocare e vincere un’altra partita, per arrivare supercompetitivo nel faccia a faccia con Alcaraz.
Il quale Alcaraz potrebbe aver imparato la piccola lezione che gli ha dato il finale del match con Tsitsipas: invece di stare attento e far di tutto per chiudere sul 5-2 del terzo set si è un po’ ingolosito, ha esagerato nel giocare troppe palle corte, nel giocare lob liftati più narcisisti che efficaci, e si è ritrovato 5 pari e poi al tiebreak con un Tsitsipas di nuovo carico che faceva il pugnetto.
Per il greco, che ha quel rovescio così così, non c’è stato nulla da fare per coltivare il sogno della rimonta. Alcaraz ha avuto bisogno del sesto matchpoint per chiudere (3 prima del tiebreak), ma né lui né Juan Carlos Ferrero hanno tremato neanche per un attimo.
“Sul 5-2 mi sono un po’ deconcentrato” ha confessato il ragazzo di Murcia che, come dimenticarlo?, ha smesso i panni del teenager soltanto il 5 maggio scorso.
Beh, di certo Ferrero gli dirà prima di venerdì, che se si permettesse una simile leggerezza contro Djokovic probabilmente la pagherebbe cara. Novak gli monterebbe in testa.
Capsco, a questo punto, che avendo vissuto una intensa giornata caratterizzata dalle due partite di quarti di finale della metà alta del tabellone, ho trascurato le chance di vittoria finale di chi sta nella metà bassa, cioè del vincitore del primo “quarto” fra il risorto Zverev e l’argentino Etcheverry e forse ancor più dei protagonisti del derby scandinavo Ruud-Rune. (N.B. sull’appartenenza alla Scandinavia della Danimarca, peraltro, si può discutere). Io so solo che i loro derby, fin da quello nei quarti qui a Parigi un anno fa e poi la semifinale di Roma che ha rovesciato l’esito favorevole per 4 volte a Ruud, per me è sempre stato fastidioso. Sì, per il mio bloc-notes. Di solito riporto infatti sulla colonna sinistra l’iniziale del cognome di chi batte. E quando proprio due tennisti hanno la stessa iniziale rimedio con la seconda lettera del cognome. Ma qui c’è un RU contro un altro RU…e lo spazio in un piccolo bloc-notes è un tesoro prezioso da proteggere. Vabbè, scusate l’eccesso di personalismo.
Fra Ruud e Rune, fra Rune e Ruud, ce n’è uno che è la quintessenza dell’educazione e del fairplay. E l’altro che ne è la negazione. C’è bisogno che spieghi a chi mi riferisco?
Però fra i due secondo me Rune è più cavallo da Gran Premio. Se vincesse il suo primo Slam non sarebbe poi una sorpresa pazzesca, salvo il fatto che Alcaraz in questo momento sembra una spanna superiore a tutti. Mentre Ruud, nonostante due finali in altrettanti Slam, qui e a New York, non mi convince mai del tutto perché lo si possa definire un grande talento, un grande campione. Forse perché è troppo ragazzo perbene, troppo modesto, senza lampi…nemmeno quelli di maleducazione!
Chiudo qui perché dell’altro fatto del giorno, con la foto più cliccata di tutto il torneo – Iryna Sabalenka che aspetta alla rete Elina Svitolina come se non sapesse che la Svitoliana la mano non gliela avrebbe mai stretta – ne abbiamo scritto a lungo e avrete certo letto anche le dichiarazioni delle due ragazze.
Sabalenka, costretta a presentarsi in conferenza stampa, è finita sotto il fuoco incrociato di tutti i giornalisti perché non aveva indovinato la mossa di sottrarsi alle loro domande al termine delle ultime due partite.
La colpa, oltre che sua che aveva richiesto l’esenzione per troppo stress mentale, era stata anche del torneo che aveva bleffato, inventandosi la balla di aver dato vita a una conferenza stampa ridotta, quando invece si era trattato della registrazione di un monologo bielorusso. Un autogol evitabilissimo. Perché era chiaro che sarebbe venuto fuori…il segreto di Pulcinella.
Elina Svitolina è stata coerente con la decisione sua e delle altre ragazze ucraine, giusta o sbagliata che possa essere la loro scelta. Non meritava quindi i buuh che l’hanno seguita all’uscita. E forse Sabalenka poteva evitare quella che è parsa un po’ una sceneggiata. Situazioni difficili da vivere e, all’esterno, da interpretare. Di certo con la tragedia quotidiana che stanno vivendo le famiglie ucraine – e quasi tutte le tenniste ucraine la stanno vivendo sulla loro pelle e quella dei loro cari – chi vorrebbe che sport e politica non si sfiorassero non si trova nella loro situazione e penso che non possa capirla appieno. Il rischio che un qualsiasi giudizio diventi superficiale c’è tutto.
Editoriali del Direttore
Roland Garros – Il dubbio è: Djokovic è sempre lui o no? Se lo è la probabile semifinale Djokovic-Alcaraz sembrerà una finale anticipata
Djokovic ha perso una sola volta con Khachanov, Alcaraz mai con Tsitsipas. Ancora rimpianti per la sconfitta di Sonego. E Rune si conferma un gran maleducato

Un brutto e triste risveglio, come ho detto anche nel video, ritrovarsi al Roland Garros senza un tennista italiano da seguire nei tabelloni principali.
Ci siamo fermati agli ottavi, e a domenica, con i due Lorenzo, Musetti e Sonego. E i rimpianti soprattutto per la partita di Sonego ci sono e tanti. Poteva vincere sia secondo sia terzo set, con un pizzico di fortuna in più e oggi sarei qui a presentare il match Sonego-Djokovic invece che ad aspettare di constatare se Djokovic è ancora lui.
Se Nole fosse ancora il vero Nole probabilmente anche il miglioratissimo Khachanov, non avrebbe via di uscita. Il russo è stato battuto dal serbo 8 volte su 9 è l’unica volta che vinse fu a Bercy, il torneo dove non sai mai se chi lo gioca va lì perché ci deve andare, ma se è ormai qualificato per le finali ATP che cominciano di lì a pochi giorni si impegna il giusto.
Se Nole non fosse il vero Nole beh, allora anche Sonego avrebbe potuto giocare le sue carte.
Ma dei se e dei ma sono piene le fosse e ci tocca soltanto sperare che le cose vadano meglio sull’erba di quanto sono andate sulla terra battuta, una volta nostro terreno di maggior raccolta.
Da qualche anno a questa parte però, Berrettini bi-campione al Queen’s e finalista a Wimbledon, Sinner nei quarti in Church Road, forse otteniamo migliori risultati oltre Manica.
Intanto contro lo scorrettissimo Rune Francisco Cerundolo ha dimostrato che Sinner non aveva perso a Roma da un pisquano qualsiasi.
Magra consolazione, direte, ma pur sempre consolazione. Mi è sembrato davvero poco competitivo, anche se è stato un break avanti nel secondo set, Grigor Dimitrov con Zverev. Il bulgaro che aveva lasciato soltanto 8 game a Altmaier, sarebbe stato più competitivo e determinato contro Sinner? Non lo sapremo mai.
Piuttosto quanti avevano dato per molto probabile l’approdo di Jannik ai quarti di finale, non avevano fatto i conti con il recupero di Sasha Zverev, il quale ora non giocherà più da n.3 del mondo, ma nemmeno da n.27 come è adesso.
Insomma questo Zverev sarebbe stato un osso duro anche per un buon Sinner. Era la zona ancora più bassa, quella dove si è infilato Etcheverry,quella che avrebbe potuto essere un buon terreno da conquistare, grazie anche al k.o. di primo turno di Daniil Medvedev.
Ma Sinner era piazzato più, fra Dimitrov e Zverev, quindi è inutile piangere sul latte versato altrove. L’argentino ha dominato Nishioka quindi non sarà un avversario comodissimo neppure per il risorto Zverev.
Ma non c’è dubbio che il quarto più interessante della metà bassa lo giocheranno nella giornata di mercoledì Ruud e Rune, con il danesino che vorrebbe ripetere il risultato della semifinale di Roma, dopo che dal norvegese aveva perso 4 volte su 4. Intanto non si è fatto né in qua né in là quando si è trattato di “rubare” un punto importante ai danni di Cerundolo. Aveva fatto rimbalzare la palla due volte e lo sapeva benissimo. Si è preso il punto con la complicità dell’arbitro dalla voce baritonale ma distratto.
Io penso però che il vincitore del torneo uscirà dalla metà alta del tabellone. Oggi si affrontano Djokovic e Khachanov e in serale Alcaraz e Tsitsipas, con i primi che hanno dominato i confronti diretti: 8-1 come già detto il serbo sul russo, 4-0 lo spagnolo sul greco,.
Se Djokovic batte Khachanov vuol dire che sta bene e che allora la probabile semifinale Alcaraz-Djokovic potrebbe essere presentata con un po’ di spregiudicatezza come una finale anticipata. A Roma Djokovic perse da Rune, ma non era il vero Djokovic.
Per quanto riguarda il torneo femminile dall’alto in basso abbiamo questi accoppiamenti nei quarti: Swiatek-Gauff (che fu la finale lo scorso anno), Haddad Maia-Jabeur – e qui c’è almeno un po’ di fantasia geopolitica, una polacca contro un’americana, una brasiliana contro una tunisina –mentre nella metà bassa e in campo oggi ci sono tutte tenniste dell’Europa dell’Est, Muchova e Pavlyuchenkova – con la prima che ha fatto stragi di azzurre (Trevisan e Giorgi) e la seconda che 2 anni fa fece finale qua ma oggi è n.333 WTA perché è stata a lungo infortunata – Svitolina e Sabalenka per un altro duello che si concluderà senza una stretta di mano.
La Svitolina, un po’ perché sposata con Gael Monfils e mamma di un erede nato ad ottobre, un po’ perché ucraina, è stata adottata dal pubblico francese come se fosse nata e cresciuta sugli Champs Elysées. Se dovesse vincere la porterebbero sotto l’Arco di Trionfo. Intanto ieri ha riservato alla Kasatkina lo stesso trattamento rivolto alla Blinkova. Nessuna stretta di mano. La Kasatkina non si faceva illusioni ma c’è rimasta male, sia per il comportamento orribile del pubblico francese, sia per il mancato gesto della Svitolina perché lei in fondo è stata una delle poche russe che ha provato a esporsi un po’. Cosa che non ha fatto, ad esempio, la bielorussa Aryna Sabalenka che anzi –sulla scia di Naomi Osaka – è riuscita convincere i deboli organizzatori a riunire un gruppo qualificato di giornalisti scelti dalla stessa organizzazione. Non avrebbe dovuto essere tollerato. Ma i giornalisti oramai sono tutti talmente appiattiti che nessuno osa più opporsi a niente. Del resto basta leggere le domande le trascrizioni delle domande fatte ai tennisti per rendersi conto di quanto l’autonomia, la indipendenza dei giornalisti, la loro personalità sia scaduta.
E’ responsabilità dei vari organismi che gestiscono il tennis questa assenza di un minimo di verve nelle conferenze stampa. I giocatori vengono istruiti per non dire nulla di interessante e ci riescono benissimo. Negli altri sport non è così. Poi ci si lamenta se nel tennis, in parallelo con il progressivo e inevitabile prepensionamento dei FabFour, mancano le personalità. Quelle che ci sarebbero vengono soffocate. E va a finire che le sole interviste che vengono lette ovunque sono quelle “inarrestabili” di Kyrgios che gioca pochi mesi l’anno, cioè quando gli va..
E’ un errore, anche culturale, di chi si occupa della comunicazione del nostro amato sport. Si sentono dire solo le cose più scontate, ammantate di dichiarazioni politically correct. Sandra Mondaini, pace all’anima sua, direbbe al suo Raimondo Vianello: “Che noia che barba, uffa che noia che barba!”.
Vabbè, oggi ero di cattivo umore e vi ho spiegato perché. Agli azzurri impegnati nelle fasi finali dei grandi tornei, ormai mi ci ero abituato. Non vorrei tornare a …digiunare come mi è toccato fare per 40 anni.