Osaka, un gesto stupendo, da vera campionessa. Berrettini sconsigliabile ai deboli di cuore

Editoriali del Direttore

Osaka, un gesto stupendo, da vera campionessa. Berrettini sconsigliabile ai deboli di cuore

NEW YORK – Dopo un periodo di confusione post Serena Williams – dodici diverse semifinaliste in tre Slam – forse la WTA ha trovato una vera leader. E il tennis italiano pure

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Coco Gauff e Naomi Osaka - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

È difficile che un grande campione non sia anche una grande persona. Può succedere, ma è abbastanza raro. La storia del tennis maschile di questi ultimi tre lustri lo dimostra, Federer, Djokovic, Nadal, Murray, non sono soltanto grandi campioni con la racchetta in mano. Sono anche personalità carismatiche, personaggi positivi, intelligenti, persone sensibili, in una parola un po’ antica… gente perbene con qualità che hanno saputo mostrare anche fuori dal campo.

Beh, non so se Naomi Osaka, dopo aver vinto due Slam ed essere diventata n.1 del mondo giovanissima ed aver attraversato però poi un periodo poco brillante (non da n.1, di certo), riuscirà a imporre una leadership duratura. Ma il gesto che ha fatto a fine gara, la gara più attesa della giornata, andando a parlare con la piccola Coco in lacrime persuadendola ad accompagnarla al centro del campo e a dire anche lei qualche parola al pubblico che l’aveva osannata, è stato un gesto da grande persona. Da persona sensibile e rispettosa, non egocentrica, intelligente.

“Mi è venuto d’istinto – ha risposto alla mia prima domanda – perché quando le ho stretto la mano ho visto che le stavano scendendo delle lacrime sul viso. Quello mi ha fatto ricordare quanto fosse giovane. Per me quando perdo scappo negli spogliatoi e piango, poi vengo in sala stampa che, vi amo ragazzi, ma non è il massimo! Poi ho pensato che la gente normale non guarda le conferenze stampa, a meno che siano veri tifosi… La gente sarebbe rimasta a guardare il match successivo e non avrebbero saputo cosa le passava per la testa. E allora mi sono detta che sarebbe stato carino per lei rivolgersi a tutta quella gente che era venuta a vederla, a tifare per lei (la stragrande maggioranza)… sì, è stato un gesto istintivo”.

Un gesto che è venuto da una ragazza che, al di là di essere l’attuale n.1, ha qualcosa in più rispetto a quasi tutte le top-ten degli ultimi anni. Il tennis femminile ha visto allargarsi la base, crescere moltissimo in profondità il proprio livello, ma non si è più intravista una n.1 e un personaggio come Serena Williams, dacché Serena è rimasta incinta, è diventata mamma e non ha più vinto un torneo.

Ecco, forse Naomi Osaka, e non lo scrivo oggi perché ha battuto 6-3 6-0 – leggete l’attenta, eccellente disamina di Vanni Gibertini – una ragazzina di 15 anni che aveva già fatto un miracolo a raggiungere i traguardi centrati, potrebbe mettere fine a un periodo storico che è diventato negli ultimi anni piuttosto confuso. Incapace di esprimere una vera leader che rimpiazzasse Serena e anche sua sorella Venus. Naomi ha il tennis, il talento, la testa, la personalità, per diventarlo. Forse non avrà mai la cattiveria agonistica delle sorellone cresciute nel ghetto di Compton, ma non è detto che quella debba essere una qualità essenziale. Talvolta, però, aiuta.

Nel 2019 abbiamo avuto fin qui tre diverse campionesse nei tre Slam (Osaka, Barty e Halep), sei diverse finaliste, ben 12 diverse semifinaliste. Una cosa così era successa soltanto nel 2004. Del resto Halep, sorpresa da una qualificata di sicuro talento come Townsend (che però non era mai andata oltre il terzo turno qui e una sola volta in quattro apparizioni) aveva detto prima dell’inizio del torneo: “Sono davvero tante oggi le tenniste che possono vincere un torneo, anche uno Slam”.

E infatti lei campionessa di Wimbledon ha perso dalla n.116 del mondo che ora si ritrova in ottavi di finale e se la può giocare con Andreescu: la n.116 di oggi è molto ma molto più forte della n.116 di 10 anni fa. E le vincitrici degli Slam degli ultimi anni non sono assolutamente imbattibili da chi sta loro molto più indietro. Barty e Pliskova, n.2 e n.3, hanno vinto fin qui ma sempre soffrendo, spesso al terzo set. Kerber che ha vinto tre Slam fra 2016 e 2018 ha perso già lunedì da Mladenovic n.54 (che poi ha perso al turno successivo da Ferro). Idem Muguruza campionessa al Roland Garros nel 2016 e a Wimbledon nel 2017 sconfitta da Riske n.36. E Riske ha perso da Ostapenko, altra campionessa recente di Slam – due anni fa a Parigi – già eliminata dalla sorprendente Ahn, n. 141.

Vi immaginate come giocava la n.141 del mondo 10 anni fa? E Stephens, campionessa all’US Open due anni fa da chi ha perso al primo turno? Dalla n.127, la russa Kalinskaya (anche lei sconfitta al turno successivo). Potrei continuare con Kvitova, pluricampionessa a Wimbledon, che perde da Petkovic n.88… e poi Petkovic perde da Mertens. Insomma, se nel tennis maschile i Fab Four hanno dettato legge per tre lustri almeno, in quello femminile a me pare che Naomi Osaka sia la sola – anche se da gennaio in poi ha patito anche qualche pesante sconfitta, sia a Parigi al terzo round sia a Wimbledon al primo – a poter aspirare all’eredità delle Williams con qualche fondamento.

Ripeto: non avrebbe forse troppo senso magari dirlo oggi perché ha battuto una bimbetta che aveva fatto risultati prodigiosi e altri ne farà. Ma la maturità che Naomi ha dimostrato sia invitando la piccola piangente Coco a non uscire dal campo e abbracciandola con grande trasporto e affetto (“Com’on you are amazing Coco!”) – come succede di solito a tutte le sconfitte che raccolgono in fretta e furia borsoni e racchette e a testa bassa si incamminano verso gli spogliatoi – sia nella successiva conferenza stampa nella quale ha detto solo cose sagge, me la fanno apprezzare talmente come persona che mi sento di scommettere sul suo futuro.

Anche se qui già in ottavi contro Bencic, dalla quale ha perso due volte su due quest’anno (a Madrid e a Indian Wells), dovesse perderci per la terza. Una donna con quelle qualità secondo me alla fine è di un altro livello. Con una postilla però: sulla terra rossa per ora non ha dimostrato di sapersi adattare.

Due parole su Coco: per metà primo set è stata in partita con la n.1 del mondo. Non mi sembra davvero poco. Ha 15 anni, neppure 15 e mezzo. Ragazzi, ma che pretendiamo? Anche il tennis delle donne è diventato più muscolare di una volta. Tirano tutte delle randellate, a cominciare dal servizio, che fanno paura. Coco ha fatto miracoli. Ha potuto giocare solo pochissimi tornei per i limiti imposti dalla WTA fin dai tempi di Jennifer Capriati, a seguito degli incresciosi episodi che la videro, suo malgrado, protagonista. Datele un paio di anni di crescita e vedrete.

Mi ha fatto piacere che Townsend abbia vinto ancora, con il suo tennis “anacronistico”, giurassico, ma bellissimo. Con Andreescu sarà più dura che con la seconda rumena paratasi sul suo cammino, Cirstea. Se il serve&volley è un gioco sconosciuto, di conseguenza anche il passante lo è per quasi tutte.

Ma veniamo finalmente al nostro Berrettini. Se ritengo che Osaka possa diventare la leader del tennis mondiale, Matteo Berrettini diventerà molto presto il leader del tennis italiano, almeno fino a quando Jannik Sinner non avrà 20 anni.

Andrea Pellegrini Perrone, un giovanottino di 20 anni che si sta facendo valere qui a Flushing nella sua prima missione da inviato e la cui prosa non è appesantita dal doppio cognome né dall’essere figlio… d’arte (il padre Massimo ha scritto di sport e numeri per Repubblica, Gazzetta, Corriere dello Sport, dopo essere stato una delle prime scelte di Tommasi direttore a Tele Più), ha riportato fedelmente tutto quanto accaduto nel match vinto con il promettente australiano di genitori russi, 20 anni compiuti a maggio, quindi tre anni più giovane di Berrettini e meno esperto, ma non troppo meno forte.

Per la terza volta consecutiva Matteo ha vinto i primi due set, ha perso il terzo, ha chiuso al quarto. Però ha fatto rischiare l’infarto ai deboli di cuore. Perché il quarto set lo ha riacciuffato per i capelli dopo aver giocato un pessimo, lunghissimo, interminabile undicesimo game sul 5 pari: 21 minuti, 26 punti, quattro palle mancate per il 6-5, break subito alla settima pallabreak. Mettere solo 8 prime in 26 punti non è stato davvero un bell’exploit. E deve ringraziare il “braccino” che si è impadronito di Popyrin, per tutto il resto del match invece intraprendente e coraggioso (impressionante la sua mano sotto rete), perché conquistare tre set point per andare al quinto e fare due doppi falli su tre punti in quei frangenti è stata – per Matteo – pura Provvidenza.

Oggi si sottolineerà la sua prova di carattere, che certo c’è stata. Insieme al fatto che nessun italiano di 23 anni (o meno) era mai stato capace di conquistare due ottavi in due Slam nello stesso anno. Però io direi anche, senza nulla togliere ai suoi meriti perché nel primo e nel secondo set, e anche una parte del terzo, è stato quasi impeccabile. Servizio e dritto hanno fatto sfracelli. Anche se gli stessi colpi di Popyrin non erano da meno. Tennis moderno, pallate a tutta randa.

“A Wimbledon ero arrivato sulla scia di tornei vinti, di ottime partite, qui invece, dopo l’infortunio alla caviglia, era un po’ più… barcollante. Quindi forse la soddisfazione è maggiore, perché più inattesa”

Come andrà contro Rublev, con il quale ha perso a Marsiglia quest’anno dopo averlo dominato nel torneo vinto di Gstaad un anno fa? Beh, il ragazzo russo che quando parla tiene sempre gli occhi bassi, sembra timido ma invece dice anche cose per nulla banali, due anni fa era giunto nei quarti ma oggi gioca decisamente meglio, perché non si affida soltanto al talento e a colpi devastanti: “Due anni fa giocavo senza le gambe. Non difendevo, non recuperavo, non volevo scambiare, dovevo fare il punto nei primi due, tre scambi, e diventavo facilmente pazzo – ha detto proprio così, crazy – se le cose non si mettevano subito per il verso giusto. Ora invece ho lavorato tanto, fisicamente e mentalmente, per lottare per fare un punto, correre, rincorrere… con Tsitsipas abbiamo fatto scambi interminabili e io sono stato lì. Anche con Federer sono stato bravo, perché giocare contro lui, con quel che sa fare, con il nome che si porta dietro… non è stato facile a Cincinnati”.

Rublev mi diceva queste cose (intorno a mezzanotte, ed eravamo solo in tre ad ascoltarlo) appena dopo aver dato tre set a zero a Kyrgios che non giocava per perdere, come gli è capitato di fare diverse volte. Sarà un osso duro, durissimo, secondo me. Matteo dovrà giocare al massimo, forse come ha fatto con Gasquet (“La mia partita migliore anche tatticamente”). Ma Rublev non si fa spingere sui teloni di fondo, anticipa eccome. Però non serve benissimo…

“È raro che io finisca un match senza perdere un paio di volte la battuta… con Kyrgios dovevo stare super concentrato, perché con lui può bastare perdere un game di battuta e perdi anche il set”

“Berretto” alla fine della intervista televisiva con il collega di Eurosport che aveva citato il mio compleanno (due volte 35 anni…), mi ha detto: “Non lo sapevo Ubaldo, ma ti ho fatto un regalo no?”. Io gli dico adesso, sfacciatamente: “Fammene un altro Matteo, batti anche Rublev e poi nei quarti contro Monfils (che con Andujar dovrebbe vincere) ce la giochiamo!”. Già, con lui ho la sensazione di giocare anch’io. Non potrà farmi soffrire più che in quel quarto set al cardiopalmo.

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