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Al femminile

WTA Finals: ombre cinesi

Ashleigh Barty ha confermato il primato nel ranking vincendo il Masters 2019, ma l’organizzazione WTA non è stata all’altezza dell’importanza del torneo

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Elina Svitolina e Ashleigh Barty - WTA FInals 2019 Shenzhen
 

Tutti questi problemi legati allo scenario tecnico delle Finals hanno occupato molto spazio nell’articolo. Per questo sono obbligato a trascurare una parte di tennis giocato, dedicandomi solo alle quattro giocatrici approdate alle fasi finali del torneo: Pliskova, Bencic, Svitolina e Barty.

Karolina Pliskova
Pliskova ha confermato a Shenzhen il risultato raggiunto nelle ultime due edizioni delle Finals di Singapore: infatti è alla terza semifinale consecutiva. Nel 2017 aveva perso contro Wozniacki (7-6, 6-3) che poi avrebbe vinto il titolo. Nel 2018 a sconfiggerla era stata Sloane Stephens (0-6, 6-4, 6-1), poi superata in finale da Svitolina. Anche nel 2019 Karolina ha perso in tre set, battuta dalla numero 1 e futura vincitrice Barty: 4-6, 6-2, 6-3.

Ci sono punti in comune in questi tornei? Forse sì. Intanto ci dicono che tutto sommato Pliskova se la cava piuttosto bene anche su campi di massima lentezza. Del resto in carriera Karolina vanta una semifinale al Roland Garros 2018 e soprattutto la vittoria sulla terra di Roma nel 2019, un torneo che non spicca certo per velocità del campo.

Come mai? Possibile spiegazione: sicuramente i campi rapidi la aiutano nel produrre vincenti quando ha in mano lo scambio; d’altra parte quelli lenti la agevolano nelle fasi difensive e interlocutorie del punto, dandole più tempo per raggiungere la palla, visto che non ha nella mobilità un punto forte. Se in più è in ottima giornata alla battuta, grazie al suo servizio superiore riesce comunque a ricavare punti facili anche su campi poco rapidi, raggiungendo un equilibrio di gioco soddisfacente, tanto da renderla competitiva contro ogni tipo di avversaria. Lo si è visto anche nei match del Gruppo viola di Shenzhen 2019.

È accaduto nell’esordio contro Svitolina, da cui pure è stata battuta (7-6, 6-4), ma dopo un match davvero combattuto in cui molto si è deciso nel tie-break chilometrico di apertura (14-12) E Karolina aveva avuto anche un set point a favore.

Non si sono potute avere verifiche credibili contro Andreescu, visto che Bianca si è infortunata nel terzo game del match, e la partita è in sostanza finita lì, anche se poi si è giocato tutto il primo set (6-3, ritiro).

Abbiamo però avuto una ulteriore conferma contro Halep (6-0, 2-6, 6-4). Una vittoria arrivata al termine di una partita con un andamento abbastanza anomalo, in cui le giocatrici si sono accese e spente in fasi opposte e alternative. Solo gli ultimissimi game hanno visto un autentico confronto, testa a testa, e pochissimi punti hanno fatto la differenza. E di nuovo Karolina se l’è giocata alla pari contro una avversaria fortissima nel gioco di contenimento e nei recuperi difensivi.

Abbastanza sorprendentemente, per l’esito finale non ha nemmeno inciso molto il servizio, con soli 3 ace messi a segno in tutto il match e break e contro-break a chiudere l’incontro. Il punto determinante sul match point è arrivato con Halep al servizio sul 30-40 grazie a un nastro amico. Piccola fortuna? Di sicuro. Ricordo però che Pliskova quest’anno ha perso a Wimbledon contro Muchova un altro match importantissimo ed estremamente equilibrato (4-6, 7-5, 13-11) servendo sul match point da 30-40 e perdendo il punto per un nastro fortunato di Muchova. Situazione del tutto identica, ma nella posizione opposta.

La corsa di Pliskova si è fermata contro Barty (4-6, 6-2, 6-3). Dopo questo match sono sei i confronti diretti: 4-2 per Barty, ma in cinque occasioni Pliskova ha vinto il primo set. Proprio come accaduto a Shenzhen, dove ha cominciato meglio, giocando molto bene anche in risposta e facendo soffrire Ashleigh nei primi turni di servizio.

Poi però l’inerzia del match è girata, quando nel secondo set Karolina ha mancato tre occasioni consecutive per strappare il servizio a Barty (sul 6-4, 2-1 0-40 servizio Barty). Da quel momento Ashleigh è diventata sempre più incisiva in battuta; mentre dopo l’avvio brillante Pliskova ha progressivamente perso energie, arrivando svuotata nel finale di partita.

Di questo match sottolineerei due aspetti: la sorprendente differenza negli ace (11 Barty, solo 1 Pliskova) e l’importanza che ha avuto lo slice di rovescio di Ashleigh, che sulla superficie particolare di queste Finals ha obbligato Karolina a un faticosissimo lavoro di piegamenti per raccogliere le parabole particolarmente basse dall’alto del suo 1,86. E questo ha finito per pesare sul risultato.

Come la stessa Pliskova ha spiegato: “Il gioco di Barty è molto difficile da affrontare quando sei rimasta senza energie: devi sempre scendere bassa con le gambe per replicare agli slice. E ti fa correre molto. E poi c’è il servizio: si deve essere super reattive per intercettarlo”. (“Her game is just too difficult playing without energy. You always have to go down to the slice. She makes you run a lot. Then the serve, you need to be super quick to react”).

Belinda Bencic
Bencic si era qualificata in extremis alle Finals, grazie ai punti raccolti a Mosca, ultimo torneo utile vinto in finale su Pavlyuchenkova. Stranamente i bookmaker non le davano molto credito (quote a 12, le più alte di tutte le protagoniste), ma invece Belinda ha dimostrato di essere in condizione e competitiva.

Nel match di esordio contro Barty, ha iniziato bene, ma poi ha finito per perdere il bandolo della matassa, spegnendosi dopo il primo set e lasciando campo libero nei due set successivi (5-7, 6-1, 6-2).

Dopo la sconfitta all’esordio ha affrontato un match fondamentale contro Kvitova. Era reduce dalla sconfitta di Pechino contro Petra (un doppio 6-3) e aveva vinto solo una volta in quattro occasioni precedenti. Ma è riuscita a giocare meglio i punti importanti, nelle fasi decisive del terzo set: prima ha salvato una pericolosissima palla break sul 3-4 e servizio, poi invece è riuscita a strappare la battuta sul 4-4 Sul 30-40 servizio Kvitova è stata una risposta fulminante con il rovescio incrociato a farle guadagnare il punto decisivo.

Grazie al successo è tornata in corsa e si è giocata la qualificazione non più contro Osaka, ma, dopo il ritiro di Naomi, contro la sua sostituta Bertens. Come ho scritto sopra, le caratteristiche del campo di Shenzhen sembravano ideali per il tennis di Kiki, ma Bencic non ha potuto metterle alla prova sino in fondo perché il malessere di Bertens ha fermato il match sul 7-5, 1-0.

Qualificata da seconda, ha trovato come avversaria in semifinale una Svitolina in super-fiducia, reduce da una serie di 9 vittorie consecutive al Masters. Da una parte la forza difensiva di Svitolina, e la sua capacità di allungare lo scambio grazie alla estrema dedizione nel gioco di contenimento. Dall’altra le geometrie e gli anticipi di Belinda, alla ricerca di punti più brevi. Bencic ha avuto la meglio in volata nel primo set, ma poi nel secondo Svitolina è diventata sempre più sicura in battuta. Impressionante lo score al servizio di Elina: 16 ace in due set e mezzo. Segno però che Bencic ha avuto qualche problema di troppo a leggere il servizio della sua avversaria, che l’ha costantemente sorpresa con battute verso la T. Per questo penso che uno spostamento verso il centro nella posizione di risposta sarebbe stato utile. In più Belinda ha cominciato a soffrire di crampi e questo ha finito per determinare il ritiro nel terzo set (5-7, 6-3, 4-1).

Alla fine malgrado la delusione della semifinale ha concluso un torneo sicuramente positivo, che conferma i progressi della stagione 2019, nella quale ha chiuso con un record di 11 vittorie contro Top 10 (a fronte di 8 sconfitte).

a pagina 4: Le finaliste: Svitolina e Barty

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